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Le inchieste » Il diritto alla salute  

L’industria del farmaco

Effetti collaterali: il diritto alla salute

Mirca Garuti

“Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento”, così recita il giuramento di Ippocrate a cui tutti i medici devono fare riferimento e rispettarne l’impegno.

Oggi, non è sempre facile svolgere con rigore e serietà questa professione. Anche perché è sempre più tortuoso e oggetto di possibili conflitti d’interesse, il rapporto esistente tra gli operatori sanitari e l’industria del farmaco.

Per questo abbiamo deciso di affrontare questo argomento con la Dott.ssa Luisella Grandori, specialista in pediatria che, oltre a collaborare con l’azienda sanitaria di Modena e la regione Emilia-Romagna come esperta in vaccinazioni, salute pubblica e prevenzione, è la coordinatrice del gruppo “nograziepagoio”

Dottoressa, può spiegarci che cos’è il gruppo “nograziepagoio” e quali sono gli obiettivi che volete raggiungere?

Siamo un gruppo spontaneo, nato a Modena, che si auto finanzia, non siamo un’associazione. Abbiamo iniziato in tre nel marzo del 2004 e oggi, grazie ad un semplice passa parola sul nostro sito (www.nograziepagoio.it), siamo in 180 operatori tra medici generalisti, pediatri, ginecologi, farmacisti, direttori di distretto, ricercatori, psicologici, infermieri,…. su tutto il territorio nazionale.

Tutti insieme cerchiamo di dedicarci al rapporto che esiste tra gli operatori sanitari e l’industria farmaceutica che, in Italia resta un argomento di difficile discussione. Un problema che esiste, che si vorrebbe evitare ma non si può certamente ignorare.

L’unica associazione italiana di medici che, a nostra conoscenza, si sia data un codice di autoregolamentazione nel rapporto con l’industria è l’Associazione Culturale Pediatri (ACP), di cui alcuni di noi ne fanno parte. Sin dal principio, abbiamo cercato di allargare il più possibile l’iniziativa coinvolgendo operatori sanitari di qualsiasi ambito per definire norme di comportamento ancora più rigorose. Un idea ispirata dalle esperienze statunitensi e inglesi di “No Free Lunch”, con le quali siamo sempre in contatto.

I nostri obiettivi si possono riassumere principalmente in:

-stabilire regole di comportamento nei confronti dell’industria per delineare con chiarezza i rispettivi ruoli,

-raccogliere documentazione per creare una banca dati per nostra maggior conoscenza e per renderla disponibile a chiunque voglia approfondire l’argomento,

-diffondere informazioni riguardo alle violazioni dei codici internazionali che regolamentano la commercializzazione o la promozione dei prodotti medicinali o alimenti per l’infanzia e di tutti gli eventi significativi sul tema del conflitto di interesse tra sanità e industria,

-esplicitare, in ogni occasione adeguata, la nostra adesione ai principi di trasparenza e indipendenza del nostro agire in campo sanitario e alle regole che ci siamo dati.

Quali sono le regole di comportamento che avete definito?

Innanzitutto la necessità di instaurare con gli informatori farmaceutici rapporti strettamente limitati alle caratteristiche dei prodotti dell’azienda che rappresentano. Questa scelta implica il rifiuto di accettare regali di qualsiasi natura e valore, dal gadget della semplice biro, a quelli più onerosi come libri, il pagamento di iscrizioni a convegni, cene e viaggi. Perché, pur tutelando la possibile buona fede di alcuni informatori, questo meccanismo dei regali può influenzare le scelte dell’operatore sanitario. Ovviamente non devono essere accettati ancora compensi economici offerti dalle aziende per partecipare come relatori ad eventi formativi o per contribuire alla loro organizzazione. Uguale dicasi anche per la realizzazione e la distribuzione di materiale informativo, destinato ai colleghi o ai cittadini, evitando l’utilizzo dei materiali prodotti dalle stesse aziende farmaceutiche.

Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” in una lettera aperta nell’ottobre del 2001 ha scritto “ Gli informatori hanno il compito di illustrare i vantaggi dei propri farmaci rispetto a quelli offerti dai prodotti dei concorrenti; poiché sono pagati e fanno carriera sulla base dell’aumento delle vendite, è assai improbabile che nelle loro conversazioni si soffermino ad illustrare gli effetti tossici o i punti di debolezza dei loro prodotti. Inoltre la pressione propagandistica si traduce in una cifra che va dal 30 al 50% di medicine non necessarie”

In quale modo le multinazionali influiscono sulla nostra salute?

Il diritto alla salute è un diritto riconosciuto da tutti i governi del mondo, sancito nel 1978 ad Alma Ata in Kazakistan, ma il suo percorso è stato bloccato dal prevalere assoluto del profitto e della globalizzazione del mercato. Con la salute intesa come bene di consumo, le politiche sanitarie sono diventate oggetto di negoziati nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, tra governi ed imprese multinazionali.

Le grandi multinazionali esercitano un’influenza crescente sull’economia globale, condizionando quindi anche le scelte in campo sanitario. La cura, a cui si ricorre per combattere alcune malattie, viene dettata da linee guide rilasciate dall’OMS (organizzazione mondiale della sanità), ma curioso è che a questi tavoli decisionali, siedono anche i principali portavoce delle multinazionali del farmaco. In questo modo non è così difficile riuscire a creare delle nuove malattie. Questo può succedere abbassando principalmente i parametri entro i quali un determinato disturbo viene classificato appunto come “malattia” che ne provoca, come diretta conseguenza, l’innalzamento dell’uso cospicuo di determinati farmaci.

Unico modo per poter risolvere questo problema, sarebbe quello di costituire un comitato di controllo estraneo con poteri decisionali. Tutto questo meccanismo è spiegato molto bene nel libro, che consiglio, “Il mercato della salute” di A.Castagnola e M.Rossi edizione “Emi”.

Come vengono sviluppati gli incontri con gli informatori; avete dei progetti in merito?

A Modena abbiamo fatto una sperimentazione che prevede incontri di gruppo con gli informatori delle industrie farmaceutiche. Invece che il solito appuntamento nello studio medico con la sola presenza del rappresentante dell’azienda, l’incontro prevede la presenza di cinque o sei medici e l’argomento è concordato in anticipo. Questo consente agli operatori sanitari di potersi documentare con una bibliografia indipendente da quella proposta dall’azienda farmaceutica. Il risultato ottenuto è stato soddisfacente per entrambe le parti, in questo modo esiste più trasparenza e dignità e l’appuntamento si trasforma in una occasione di dibattito e confronto.

Per quanto riguarda il meccanismo del finanziamento alla ricerca, cosa avviene ?

Diverse sono le domande che dovremmo porci. Per esempio a chi serve e chi decide cosa studiare, dato che le industrie investono il 40% del proprio denaro per il marketing e solo il 20% in ricerca? Sono le industrie farmaceutiche che decidono, condizionando così nei fatti anche il mercato. I bravi ricercatori non mancano, ma purtroppo sono pagati poco, mentre le aziende

multinazionali, avendo la possibilità di pagare molto di più, sono in grado di poter “pilotare” le scelte degli stessi. In più, se si osserva l’investimento predisposto in questo settore dal nostro paese, decisamente inferiore a quello di molti altri paese europei, il rischio rimane che la ricerca venga fatta solo in funzione di un ritorno commerciale e non per la cura dei malati. In particolare occorre sottolineare la rarità delle ricerche sostenute da finanziamenti pubblici indipendenti, cioè quelle promosse direttamente da società scientifiche o da enti senza fini di lucro. Testimonia la crescente preoccupazione per questi problemi, un editoriale, pubblicato nel 2001, firmato dai direttori delle principali riviste scientifiche. Questo editoriale porta, in modo chiaro e crudo, allo scoperto le questioni sopra ricordate. Quello che preoccupa è la crescente tendenza con cui sono gli sponsor ad individuare i quesiti di ricerca, a gestire le analisi dei dati e ad avere il diritto a controllare la pubblicazione o meno dei risultati. Sostituendosi così al ruolo che dovrebbero invece essere esercitato liberamente e senza condizionamenti dai ricercatori clinici. Il risultato di questa importante iniziativa è stato che, alcune società scientifiche si sono fatte promotrici di una azione culturale ed etica. Azione che richiede ai propri membri ed a tutti quelli che si riconoscono in questo appello, di prestare la massima attenzione ed attivare le misure necessarie per scoraggiare quelle ricerche in cui il ricercatore non abbia l’autonomia decisionale nella scelta del protocollo della ricerca e non abbia la disponibilità di accedere, in modo indipendente, a tutti i dati raccolti nel corso della ricerca stessa. In Italia per questa ragione si è costituito, su iniziativa di alcuni ricercatori ed operatori sanitari, il CIRB (Coordinamento per l’Integrità della Ricerca Biomedica) con l’intento di promuovere la consapevolezza e la sensibilizzazione ai temi della indipendenza della ricerca biomedica. (www.cirb.it)

Il cittadino come può difendersi da tutto ciò?

Il cittadino deve solo chiedere, senza alcun timore, e pretendere informazioni dal proprio medico delle scelte di un farmaco anziché un altro. Una soluzione esiste ed è quella della prescrizione per principio attivo per tutti i farmaci, non solo per i generici. Questa non è una novità ed avviene regolarmente in tutto il Nord Europa, permettendo anche notevoli risparmi.

Scrivere sulla ricetta solo il nome del principio attivo e non invece il nome commerciale del farmaco, renderebbe più corretto e trasparente il rapporto nei confronti delle aziende e dei pazienti.

So che questa potrebbe essere una sfida, importante. Spesso le battaglie “dal basso” ottengono più risultati di quelle “comandate”. L’informazione rimane sempre l’arma vincente.


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