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Alkemia International » Danimarca: avanti i giovani Progressisti  

DANIMARCA: AVANTI  I GIOVANI PROGRESSISTI
Di Matteo Tomasina

disegno di Francesco Tassi

C'è del nuovo in Danimarca: un governo in cui l'età media dei ministri è 43 anni e il più giovane, di 26 anni, è titolare del Fisco. Ciò che sarebbe fantapolitica in altri paesi, è invece realtà in Danimarca. La candidata premier del Partito Socialdemocratico Helle Thorning-Schmidt ha varato il 3 ottobre scorso il suo esecutivo. E' la prima donna alla guida politica del paese, e la sua squadra è la più giovane d'Europa.
Ha meno di trent'anni il ministro della Salute Astrid Krag, e 33 il ministro dell'Ambiente Ida Auken, mentre il membro più anziano è un cinquantasettenne. A 45 anni, la Thorning-Schmidt stessa è il primo ministro più giovane del continente (a pari merito però con l'inglese David Cameron). Nel suo esecutivo inoltre nove ministri su ventitrè sono donne, e Manu Sareen è il primo caso di ministro danese ad avere acquisito la cittadinanza dopo essere stato un migrante.                                                                                          
Si interrompono così dieci anni di egemonia del blocco liberale in Danimarca, e il lungo periodo passato all'opposizione dimostra di aver fatto bene alle capacità di rinnovamento del principale partito di sinistra del paese. Le preoccupazioni riguardo al futuro dell'efficientissimo e onnicomprensivo welfare state nazionale hanno probabilmente pesato molto sulla scelta degli elettori: i tentativi dei precedenti governi di destra di ridurre la spesa pubblica avevano infatti già sollevato proteste, in particolare nelle università. La vittoria dei progressisti pone il paese in controtendenza rispetto al resto d'Europa, dove prevalgono governi conservatori.     
Il programma ambizioso con cui la Thorning-Schmidt ha vinto le elezioni prevede un investimento di 1,3 miliardi di euro di stimolo all'economia e la contemporanea promessa di ridurre del 40% (rispetto agli anni '90) le emissioni di anidride carbonica entro il 2020. Un obiettivo ancora più alto di quello posto in campo ambientale dalla destra, mentre rimane l'impegno del paese di convertirsi completamente al rinnovabile entro metà secolo. In modo simbolico, sei ministri hanno deciso di recarsi alla loro nomina in bicicletta, per rimarcare il carattere “verde” dell’esecutivo.                                                             

Dal punto di vista dello stato sociale, nonostante quanto detto in precedenza, la situazione appare complessa. Il sistema danese è il più avanzato ed efficiente d’Europa, ma sono lontani i tempi in cui a Copenaghen si raggiungeva la piena occupazione e le disuguaglianza fra i redditi erano minime, tanto da far parlare di effettiva uguaglianza economica. Le diverse crisi e l'inizio delle migrazioni hanno modificato la situazione. Oggi la crescita della Danimarca è la più bassa fra quella dei paesi scandinavi, e anche i socialisti, in previsione dell'aumento del deficit, ritengono necessari dei tagli alla spesa pubblica. Sulle decisioni pesano gli equilibri all'interno della coalizione vincitrice: il PS governa con un'altra piccola forza di sinistra, e un partito radicale più moderato. Quest'ultimo ha posto il veto sia alla tassa sui milionari che a una tassazione ulteriore delle banche. Si prevede così l’aumento dell'età pensionabile e una riduzione dell'indennità di disoccupazione. Ma gli investimenti pubblici saranno indirizzati a creare più posti di lavoro per i giovani.                                                                                                                                     Più “progressiste” le proposte di abbassare il costo dei trasporti pubblici (Copenaghen è già la capitale meno trafficata d'Europa), offrire incentivi per le automobili ecologiche, e semplificare il percorso per l’ottenimento della cittadinanza danese. Inoltre, visto l’amore per il salutismo, saranno previste anche tasse su sigarette e junk food.                                                                                                                                                             
C’è chi critica la continuità su molti punti con i conservatori, ma la novità politica danese non può non trasmettere l’impressione di un paese che vuole raccogliere le sue forze migliori per rispondere alla propria crisi, rimarcando l’uguaglianza di genere e di opportunità dei suoi cittadini. Inoltre il ricambio di classe dirigente è uno dei sintomi di buon funzionamento della democrazia, il sistema che dovrebbe permettere di sostituire i governanti in modo regolamentato e pacifico.
Un “caso danese” che ci costringe a una breve riflessione sull’Italia che, non a caso, si colloca all’estremo opposto, basti pensare che Silvio Berlusconi, con i suoi 75 anni, è il leader più anziano d’Europa. Per non parlare dell’età media dei suoi ministri (57 anni), e dei suoi giovani che occupano dicasteri considerati di minor rilievo (Ambiente, Pari Opportunità, Gioventù). Ad abbassare l’età media sono soprattutto le donne come Giorgia Meloni, 34 anni, che è la più giovane dell’esecutivo, anche se la sua presenza ai vertici appare più che altro una sorta di testimonianza. Nel governo danese quasi la metà dei ministri sono donna, in Italia la stessa percentuale si riferisce agli ultra-sessantenni. Un caso italiano di estrema lentezza nel ricambio della classe politica e di gerontocrazia che diverge molto da quello di paesi più affini. Un unicum in tutta Europa.

23/10/11

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