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Medio Oriente » P Chiarini - Articolo di Stefano Chiarini  


“Attualità di un insulto alla  vita e ai morti”…
Estratto da il manifesto, del 02 Settembre 2000

Stefano Chiarini

"L'assedio di Beirut, Sabra e Chatila: di là dalla nebbia del tempo resiste la memoria di quell'insulto alla vita. Un incubo, le fitte che dà una vecchia ferita quando si fa sera e di colpo piove e t'accorgi ch'è finita l'estate. E allora pensi ai vivi e ami i morti rimasti laggiù. A Beirut".
Così scriveva Igor Man a dieci anni dalla strage del 16 settembre del 1982 nella quale, in una Beirut occupata dall'esercito israeliano, vennero uccisi oltre 2.000 palestinesi (e tra di loro anche non pochi Libanesi) colpevoli solo di essere stati cacciati dalla loro terra, la Palestina alcuni decenni prima.
Un massacro per il quale, in un mondo dove si parla sempre di crimini di guerra, nessuno ha pagato. Né degli esecutori, come l'allora capo dei servizi delle Falangi, Elie Hobeika che è stato fino a poco tempo fa ministro del governo libanese, diventato ora fedele servitore di Damasco come nell'82 lo era stato di Tel Aviv. Né dei mandanti come Ariel Sharon, l'allora ministro della difesa israeliano, che è di nuovo candidato alla leadership del Likud e a quella del suo paese. O come il generale Amos Yaron, che fece entrare i falangisti nei campi "per ripulirli dei terroristi" e che li sostenne logisticamente, illuminando con i bengala il campo per tutta la notte, bloccando vecchi, donne e bambini che tentavano la fuga e rimandandoli indietro verso morte sicura. E che è stato nominato da Ehud Barak direttore generale del ministero della difesa israeliano. Tutti sembrano voler cancellare non solo l'esistenza ma anche il ricordo dei profughi palestinesi uccisi in quel caldo giorno di settembre del 1982. Tutti transitano tranquillamente sull'autostrada che dall'aeroporto di Beirut, porta al centro della città senza neppure gettare uno sguardo verso Chatila. Un misero campo, nei pressi del nuovo gigantesco stadio dove vivono ammassati in condizioni sub-umane 18.000 palestinesi. E dove si trova la fossa comune con i corpi di centinaia di vittime del massacro. Uno sterrato pieno di immondizia.

Per i palestinesi non c'è rispetto da vivi. Ma neppure da morti. Del resto la Palestina non era forse una terra senza popolo per un popolo senza terra? E quindi quei tre milioni e mezzo di persone ufficialmente non esistono. Ed ancora meno esistono i 350.000 profughi in Libano provenienti dalle fertili terre della Galilea. Non esistono nel mondo e non esistono al tavolo delle trattative nonostante la risoluzione 194 stabilisca il loro diritto a tornare nel proprio paese.
In un momento storico come quello attuale nel quale una guerra devastante contro la Serbia è stata giustificata proprio -nelle parole di Massimo D'Alema- "per riportare i profughi alle loro case in condizioni di sicurezza".
E i palestinesi? Il mondo pensa veramente che si possa arrivare alla pace ignorando la loro esistenza? Il mondo pensa veramente che si possa continuare a negare loro una casa, un lavoro e, nel caso di Chatila, anche una degna sepoltura?
Noi del Manifesto non lo pensiamo. E abbiamo deciso di batterci perché il ricordo di quei morti non vada perduto. Che venga data loro una degna sepoltura. E siamo stati sommersi di lettere di sostegno. Una risposta che è anche una speranza di giustizia. Se ognuno portasse a Chatila un fiore nessuno potrebbe più ignorare quella fossa.
Per quanto ci riguarda il sedici settembre noi saremo li con il "nostro fiore dall'odore del sangue ma anche del gelsomino".

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