Per Israele è cominciata
la resa dei conti con Teheran
È iniziata l'ultima guerra mediorientale
di Israele contro l'Islam genocida. Gli antagonisti di Israele non saranno
Hamas e gli Hezbollah ma i Paesi loro protettori, Iran e Siria. Continuerà
per mesi, oppure molti anni. Ci saranno momenti di calma, magari accordi
temporanei e scambio di prigionieri, ma non saranno che semplici tregue.
Gli obiettivi di questa guerra sono la
distruzione del regime di Hamas e lo smantellamento delle infrastrutture
degli Hezbollah nel Sud del Libano: Israele non può coesistere con i vicini
che premono alla frontiera. In particolar modo non può permettere ad Hamas
di rimanere al potere — e di continuare il processo di indottrinamento
del popolo palestinese — poiché significherebbe la fine delle speranze
di una riconciliazione arabo-israeliana, non solo in questa generazione,
ma anche nella prossima.
Per la destra, è il momento del «noi ve
lo avevamo detto». Il fatto che i rapimenti e gli attacchi missilistici
siano provenuti dal Sud del Libano e da Gaza — precisamente le aree dalle
quali Israele si è ritirato unilateralmente — secondo la destra non è
che la prova del fallimento dell'unilateralismo. La destra però ha sempre
frainteso il senso del ritiro unilaterale. I favorevoli all'unilateralismo
non si aspettavano di avere come risultato delle frontiere tranquille,
ma la creazione di un confine dal quale si potesse attuare una difesa più
energica, e al tempo stesso godere di maggior consenso a livello interno
e di maggiore comprensione da parte della comunità internazionale. Ritirarsi
in anticipo non avrebbe significato una pace illusoria, ma un modo più
efficace di fare la guerra.
Perciò i missili non sono stati un colpo
inferto alla scelta unilateralista, ma una tiepida risposta di Israele.
Se gli unilateralisti hanno fatto un errore, è stato nel credere ai leader
politici — compresi Ariel Sharon e Ehud Olmert — quando hanno promesso
una politica di tolleranza zero contro ogni aggressione proveniente da
Gaza, una volta avvenuto il ritiro da parte di Israele. Fino a due settimane
fa questa politica non si è mai attuata. Ora, tardivamente, il governo
di Olmert cerca di riguadagnare la credibilità perduta. Ecco qual è il
vero significato della prima fase della guerra sia a Gaza sia in Libano.
Eppure in Israele molti pensano che il
governo stia procedendo con il freno a mano tirato. Un amico del partito
di Centro, elettore di Olmert, mi ha detto: «Se avessimo ucciso Haniyeh
(leader di Hamas) dopo il primo rapimento, Nasrallah (leader degli Hezbollah)
ci avrebbe pensato due volte prima di ordinare un rapimento». Israele non
sta pagando per il fallimento del ritiro, ma per non aver dato seguito
alla promessa di rispondere con durezza alle provocazioni che sarebbero
avvenute successivamente.
È assurdo come la maggior parte della comunità
internazionale interpreti il rapimento dei soldati israeliani come una
legittima azione di guerra: Israele ha fatto prigionieri palestinesi e
libanesi? Allo stesso modo Hamas e Hezbollah hanno fatto prigionieri degli
israeliani. Con una differenza però: quelli rinchiusi nelle carceri israeliane
ricevono le visite della famiglia e dei rappresentanti della Croce Rossa,
i prigionieri israeliani invece scompaiono nel nulla. Così è accaduto per
il pilota israeliano Ron Arad catturato dagli Hezbollah vent'anni fa, poi
venduto all'Iran, e del quale non si sono mai più avute notizie. Per questa
ragione gli israeliani sono ammattiti dopo il rapimento dei loro soldati.
Altra ragione, è la natura dei crimini
commessi dai prigionieri dei quali gli Hezbollah e Hamas chiedono la liberazione.
Uno di questi è Samir Kuntar, terrorista
dell'Olp: nel 1979 ha fatto irruzione in un appartamento a Naharya, a nord
di Israele, ha preso in ostaggio padre e figlio e ha fracassato la testa
del bambino contro una pietra. Le autorità palestinesi considerano Kuntar
un eroe, e un modello per i piccoli palestinesi.
La minaccia finale tuttavia non è tanto
Hezbollah o Hamas, ma l'Iran. E poiché l'Iran si avvicina al nucleare —
l'intelligence israeliana ritiene possa accadere entro l'anno — è sempre
più probabile un chiarimento tra Israele e Iran. Secondo un'autorevole
fonte militare, Israele spera nell'impegno da parte della comunità internazionale
a fermare il nucleare in Iran; se questo non avesse alcun risultato, allora
Israele spera in un attacco da parte degli americani. Ma se l'amministrazione
Bush fosse troppo indebolita da potersi permettere di attaccare l'Iran,
Israele dovrà agire unilateralmente. E, ha aggiunto sempre la stessa fonte
militare, Israele ne ha le capacità operative.
Questo per gli israeliani sarebbe lo scenario
peggiore. A parte naturalmente le armi nucleari nelle mani degli Stati
protettori di Hezbollah e Hamas.
(Traduzione di Sabina Ambrogi)
Yossi Klein Halevi
è il corrispondente da Israele di «The
New Republic» e senior writer del «Jerusalem Report»
17 luglio 2006