10-08-2006
Un falso pretesto che può diventare un problema
vero
Da un articolo di Shlomo Avieri La comparsa
delle Fattorie Shaba come uno dei possibili elementi di un accordo che
autorizzi il dispiegamento di una forza multinazionale nel Libano meridionale
solleva un certo numero di questioni di cui forse non tutti le parti coinvolte
negli attuali negoziati si rendono conto fino in fondo, e che vanno al nocciolo
stesso dell’esistenza del Libano come stato sovrano.
Di quali questioni si tratta?
Gli accordi di Demarcazione anglo-francesi del 1923, che fissarono i confini
fra Mandato Britannico e Mandato Francese su Palestina, Siria e Libano,
inclusero nella Siria l’area delle Fattorie Shaba. Anche le mappe dell’Accordo
d’Armistizio israelo-siriano del 1949 designano quell’area come siriana.
Nel 1967, con la guerra dei sei giorni, la zona delle Fattorie Shaba cadde,
come tutto il Golan, sotto controllo israeliano. Il Libano non fu nemmeno
coinvolto in quella guerra, e Israele non fu impegnato in alcun combattimento
con esso. A quel tempo nessuno, né Siria né Libano, sosteneva che le Fattorie
Shaba fossero territorio libanese.
Israele entrò nel Libano meridionale (con alterne vicende) solo partire dal
1978. Durante le discussioni in occasione del ritiro israeliano dal Libano
meridionale nel maggio 2000, per la prima volta Beirut avanzò la rivendicazione
delle Fattorie Shaba. Tuttavia, sulla base di tutte le mappe e documenti
storici precedenti, l’Onu si attenne alla versione condivisa anche da Israele
secondo cui quell’area era stata territorio siriano e dunque doveva essere
oggetto di negoziati fra Israele e Siria.
Intanto, però, la nuova rivendicazione libanese veniva usata da Hezbollah per
continuare la “resistenza” contro “l’occupazione israeliana di territorio
libanese” anche dopo il ritiro israeliano. In ogni caso, non vi è nessuno
davvero convinto che, se anche le Fattorie Shaba fossero state trasferite al
Libano, Hezbollah avrebbe cessato i suoi attacchi armati il cui scopo, in
fondo, è quello di contribuire alla distruzione della “entità sionista nella
Palestina occupata”.
Fin qui tutto sembra relativamente semplice. Le cose si complicano quando entra
in scena la Siria. Al momento del ritiro israeliano del maggio 2000, l’Onu
chiese alla Siria quale fosse la sua posizione sulla questione. Damasco si
trovò in imbarazzo. Da una parte, infatti, si trattava con tutta evidenza di
territorio siriano. Dall’altra, però, ammettendo che le Fattorie Shaba erano
libanesi, c’era la possibilità di strappare a Israele un’altra fettina di
territorio e comunque di tenere aperta la conflittualità fra Libano e Israele.
Così la Siria rispose che, indipendentemente dalle sue posizioni precedenti,
era ora d’accordo di cedere le Fattorie Shaba al Libano. Ma quando l’Onu chiese
a Damasco un documento ufficiale che affermasse che l’area era stata
effettivamente trasferita in termini legali al Libano, la Siria si tirò
indietro. E ancor oggi non ha fornito nessun documento del genere.
Come mai? Non può farlo per la ragione pura e semplice che, fino ad oggi, la
Siria non ha ancora accettato la legittimità dell’esistenza di uno stato
libanese separato e sovrano. Quello che è oggi il Libano venne ritagliato dalla
potenza mandataria francese negli anni ’20 nel tentativo di dare vita nel Levante
a un’entità araba cristiana, filo-occidentale. Da qui deriva, fra l’altro,
l’ininterrotta sollecitudine della Francia verso le sorti del Libano, compreso
il suo recente sostegno alle risoluzioni dell’Onu che chiedevano alla Siria di
uscire una buona volta dal Libano (occupato in parte o completamente dalle
truppe di Damasco sin dalla seconda metà degli anni ’70).
Il non riconoscimento del Libano come stato indipendente da parte della Siria
(che fa il paio con il suo non riconoscimento di Israele) comporta delle
conseguenze. Non esistono rapporti diplomatici fra i due paesi, non esiste
un’ambasciata siriana a Beirut né un’ambasciata libanese a Damasco. Durante gli
anni dell’occupazione siriana, il rappresentante della Siria in Libano era il
direttore dell’intelligence militare siriana (Ghazi Canaan, che alla fine si è
suicidato in circostanze oscure). Nei libri di testo scolastici siriani il
Libano (come Israele e territori) figura come parte della “grande Siria” (Bilad
al-Sham).
Dunque il rifiuto siriano di fornire un documento che confermi la cessione
delle Fattorie Shaba al Libano non è una mera formalità. Se la Siria dovesse
produrre un tale documento, in cui si affermasse chiaramente che le fattorie
fanno parte del Libano e non della Siria, ciò significherebbe che la Siria
riconosce il Libano come uno stato separato, indipendente e sovrano: cosa che
la Siria non ha mai detto né mai accettato.
I diplomatici che oggi si preoccupano di far cessare le violenze nel Libano
meridionale e nel nord di Israele dovrebbero essere messi a conoscenza di
questo rebus, che non è solo formale. Se le Fattorie Shaba dovessero figurare
in qualunque forma nell’accordo per la cessazione delle ostilità, ciò dovrebbe
essere accompagnato da una inequivocabile dichiarazione da parte della Siria
che riconosca che l’area appartiene alla Repubblica del Libano. A mio parere,
le possibilità che Damasco produca una tale dichiarazione ufficiale sono
pochissime. Ma senza di essa, la legittimità internazionale di un accordo che
contempli le Fattorie Shaba e la sua susseguente applicazione potrebbero
rivelarsi estremamente problematiche.
(Da: Jerusalem Post, 30.07.06)
Nella mappa in alto: Il tondo colorato indica la zona delle fattorie Shaba