lunedì 7 ottobre 2024   
  Cerca  
 
wwwalkemia.gif
  Login  
editoriale  
comunicazioni.jpg
dghdfh
Altri articoli  Altri articoli Riduci

  

TERRORISMO E DEMOCRAZIA
di Flavio Novara

Gli ultimi fatti di Parigi hanno evidenziato un salto di qualità del terrorismo internazionale. Non tanto per il numero dei morti che caratterizzano questa tragedia immane ma perché con quest'azione i terroristi islamici hanno portato un attacco non solo nel cuore dell'Europa, ma su cittadini inermi  intenti a divertirsi. Omicidi che non possono trovare nessuna giustificazione anche se, purtroppo, da molte decine di anni, in Siria, Iraq, Afghanistan, Palestina, Libano, Kenia e Yemen, sono quotidiani gli episodi di vita di donne e bambini dilaniate da attentati. Gente senza codice fiscale che conta giusto il tempo di una scorrevole stringa nei moderni TG televisivi, scarni servizi con nessun approfondimento o la sola lettura della velina d'agenzia locale.
Nulla però, può giustificare questo vile massacro. Nulla può giustificare tutti i vili massacri ed è per questo che, oggi più che mai, è giunto il momento che almeno i cosiddetti liberi cittadini comincino a riflettere e a pretendere dai loro governi, una seria riflessione su ciò che sta accadendo. Su ciò che da tempo stiamo facendo in quei martoriati paesi e sul motivo per il quale questi giovanissimi uomini, il più vecchio credo non avesse neanche 30 anni, decidono di fermare il proprio futuro e quello di altrettanti giovani, in un modo così violento. Vita che toglie vite.
Per questo, non conta dare oggi una risposta superficiale addossando al solo integralismo religioso mussulmano il demerito di tale dolore ma occorre comprendere la radicale rottura delle radici della speranza che quest'azione incarna, cos'ha veramente significato per quei giovani uomini. Una speranza per questa vita terrena ormai distrutta ed inutile. Distrutta come quelli che hanno ucciso. Distrutta come quelli uccisi che, da entrambe le parti, li hanno amati. Una guerra fratricida, uomo contro uomo, che non può e non deve coglierci impreparati e artefici di un “occhio per occhio” che nuocerebbe solo a noi stessi. Come la proposta di chiudere immediatamente le frontiere a quella massa di disperati, famiglie intere, che sarebbero ammassate in campi di frontiera lasciando così facile terreno a nuovi estremismi e odi verso noi occidentali che non poca responsabilità abbiamo della loro triste situazione.

Per questo è importante analizzare sino in fondo le conseguenze di questo nuovo atto di guerra. Dobbiamo innanzitutto collocare questo attentato, in un contesto politico internazionale dove a Vienna si stava per discutere intorno ad un tavolo della questione Siriana, in Turchia si avviava il G20 e la settimana prossima dovrebbe partire, anche se il presidente Obama ha già chiesto di rinviare, il Summit internazionale sull'ambiente, guarda caso proprio a Parigi. Per non parlare poi del contesto politico Europeo, dove la crisi economica è ormai strutturale e la Troika domina incontrastata le politiche dei Governi dell'Unione in modo a dir poco ambiguo.  Basti pensare a quello che è avvenuto in Grecia e quello che sta accadendo in Portogallo dove un Presidente della Repubblica si rifiuta di dare un incarico di governo alle tre forze politiche di sinistra che insieme potrebbero avere, se accordati, la maggioranza per poter governare. Un incarico non concesso perché nel loro programma ci sarebbero troppi punti da ridefinire proprio con la Troika, in particolare sulla questione della rinegoziazione del debito. Per non parlare poi di come le riforme dello Stato Sociale stanno sempre più impoverendo i cittadini europei ricattati anche attraverso una riforma del lavoro che li vede sempre più sottomessi al profitto e alla produttività. Uno scenario di futuro breve, in cui la vittima primaria, l'agnello sacrificale per salvare stabilità politica e sicurezza, rimane la progressiva riduzione o uccisione della Democrazia. Basti pensare a cosa pensano oggi molti cittadini, soprattutto riguardo a quanto sono disposti a rinunciare della propria libertà per avere maggiore sicurezza.
Quell'attentato, portato addirittura nei pressi di uno stadio dove vi era il Presidente Hollande, aumenta ulteriormente questo senso di abbandono e di pericolo. Nessuno è più sicuro. In ogni luogo. In strada come in casa propria. Troppi immigrati possono derubarci e troppi stranieri infami, secondo loro, hanno deciso di tagliare quella mano che li ha nutriti e accolti. L'anima della vendetta e dell'odio è in agguato e il mussulmano può rappresentare tutta la valvola di sfogo di questa totale insicurezza sociale. Il quotidiano “Libero” insegna e il titolare “Bastardi Islamici” ne è un esempio. Pensate se Al Jazeera avesse titolato all'inizio dei bombardamenti in Iraq o Afghanistan “Bastardi Cristiani”?

Il più grande pericolo oggi in Europa non è l'avanzata dell'ISIS o Daesh che andrebbe distrutto e soprattutto smesso di finanziare in chiave anti Assad e sicurezza d'Israele ma lo stato esistente delle cose, perché può rappresentare un enorme opportunità per chi, attraverso questo grave e cruento attacco, propone “maggior sicurezza” per ridurre drasticamente spazi reali di Democrazia e di protesta. Soprattutto nei confronti di chi ha deciso di mettere in discussione, le attuali politiche dei governi cosiddetti occidentalizzati, che mai come oggi, chiederanno stabilità e rigore.
Oggi è possibile, grazie ad un terreno culturale maturo dove l'antipartitismo dilaga e le organizzazioni sindacali sono ormai democraticamente deboli, sferrare l'ultimo colpo alle Democrazie occidentali che tanto stanno creando problemi ai grandi capitalisti finanziari.
Basti pensare ad affermazioni sostenute dal nostro presidente del Consigli a cui non importa nulla se votano in Italia solo il 35% degli aventi diritti su liste bloccate. Basti pensare alle sue affermazioni  a seguito dell'attacco a Parigi che “vogliono distruggere il nostro modo di vivere”, senza un minimo di autocritica o richiesta di riflessione a tutti i paesi occidentalizzati. Affermazioni rilasciate giusto alcuni giorni dopo aver stretto la mano ai sovrani dell'Arabia Saudita che quell'ISIS finanziano in contemporanea all'uccisione di tutti i membri dell'opposizione. Non scordiamo il sostegno incondizionato ad Israele che, con l'esperienza fatta in questi lunghi anni di repressione nei confronti dei palestinesi, sta insegnando ai paesi occidentalizzati come agire, anche in modo feroce, senza incorrere nella violazione dei diritti internazionali.
Anche l'istituzione Europa non è da meno. Basta leggere le linee guida su cui si sta strutturando il suo rapporto con la Turchia. Un paese dominato dall'antidemocratico per eccellenza, il presidente Erdogan, che anche con l'aiuto dei membri di Al Quaeda o Al Nusra, sta massacrando il popolo Curdo. Gli unici che veramente sul campo stanno combattendo in ogni vicolo e ogni affranto, gli integralisti islamici di Al Baghdadi.
Oggi nella repubblica Presidenziale francese, Hollande, a sua insindacabile decisione e per la durata di dodici giorni, ha decretato lo stato d'emergenza che permette di interrompere la circolazione di persone e veicoli e creare zone di protezione o di sicurezza dove il passaggio dei cittadini è limitato. Alle forze dell'ordine è consentito di eseguire inoltre perquisizioni a domicilio di giorno e di notte, e anche misure per assicurare il controllo della stampa e dei media. Ha inoltre, annunciato anche la chiusura delle frontiere, anche se il ministro degli Esteri ha precisato che gli aeroporti sono in funzione, mentre controlli vengono effettuati ai punti di passaggio stradali, ferroviari, marittimi e aeroportuali. Ambienti dell'Eliseo affermano poi che il presidente francese avrebbe intenzione di chiedere il prolungamento dello stato d'emergenza per tre mesi, modificando l'apposita legge.
Inoltre il ministro dell'Interno, Bernard Cazeneuve, a France 2, ha detto di aver presentato al presidente procedimenti per lo scioglimento di quelle moschee che “fomenterebbero l'odio". Non tutti i luoghi di culto musulmani, ma solo quelli ritenuti estremisti e fondamentalisti.
In quell'attacco non sono morti solo innocenti persone ma parte della nostra stessa Democrazia che rischia così, per mano dei terroristi islamici o dei nostri Governi, di decretare definitivamente il dominio degli Dei del Profitto, dei Farisei del Tempio. A noi forse resta, solo per ora, il compito di vigilare e denunciare.

15/11/15


DEMOCRAZIA LIQUIDA
di Boris


Il risultato elettorale è evidente: il Movimento 5 stelle ha vinto le elezioni, non solo per il numero di seggi ottenuti, come prima vera presenza alle politiche nazionali, ma anche culturalmente. Soprattutto tra i giovani. Certo, alcuni di loro possono aver votato il movimento di Grillo “per simpatia”, del resto senza la sua presenza le piazze non sarebbero mai state così gremite, ma un tale fenomeno di massa non si vedeva da tempo. Una mobilitazione che non solo ha reso invidioso chi soprattutto “a sinistra ed estrema sinistra” da anni prova a muovere, scuotere, liberare uno scenario politico sociale imbrigliato da sindacati e Partito Democratico, ma è riuscito a rendere politicamente attuabile un sogno: cacciare a casa questa massa di politici corrotti che ormai da tempo hanno perso il contatto reale con la società che presuntuosamente pretendono di rappresentare.
Non c’è che dire, il risultato di queste elezioni è stato eclatante e molti sono a chiedersi cosa succederà ora. Quale governo, come risponderanno i mercati e quale rapporto con l’Europa ed in particolar modo con la Germania vorremo costruire.

L'ombra del Grillo parlante sul Parlamento
I numeri l’evidenziano: il PD alla Camera, grazie al premio di maggioranza non avrebbe problemi al mantenimento del nuovo Governo ma, al Senato le cose sono assai diverse.
Il PDL può realmente bloccare il tutto e solo il Movimento 5 Stelle, dato il marginale risultato ottenuto dalla Lista Monti, può decidere le sorti del nostro paese.
Devo dire che l’addetta stampa del Movimento non è stata chiara e anzi continuando a ripetere che “voteremo solo le cose che sono nel nostro programma” ha evidenziato o una mancanza di conoscenza delle basilari forme organizzative istituzionali (un Governo deciso con un voto di fiducia è necessario per legiferare leggi o decreti) o la volontà di non partecipare a governare e pensare a una rendita futura costruita sull’opposizione a tutto e a tutti. Entrambe le scelte lasciano perplessi.
La mancanza di partecipare a un possibile Governo non credo renderà felice gli elettori del Movimento anche perché una simile vittoria e la possibilità di poter incidere sul nostro futuro non capita spesso. Neanche nel 1992 dopo Tangentopoli si era arrivato a tanto.
Dato che ritengo che a nessuno interessi tornare a votare con questa legge elettorale, una decisione andrà ben presa.
Grillo non vuole sporcarsi con il PD ma ha a cuore alcune proposte sostenute dai sui elettori? Verifichi i punti programmatici che li accomuna, ne proponga alcuni SOLO suoi e misuri in Parlamento la disponibilità di Bersani.
Basterebbe per esempio fare un accordo su tre leggi importanti: Conflitto d’interesse, Penalizzazione del falso in Bilancio e la riforma della legge elettorale.
In cambio potrebbe offrire il voto di astensione degli eletti a 5 stelle al Senato su un possibile governo a tempo determinato PD/Monti che ovviamente approvata la legge elettorale, si sciolga e prepari le nuove elezioni entro massimo la fine di settembre. Un operazione questa utile a raggiungere a breve un buon risultato anche per il paese e in futuro una maggiore forza elettorale. Il tutto senza che il Movimento si sporchi le mani con la cosiddetta casta.
Forse troppo facile per i vecchi politici del PD presenti in parlamento e per un Beppe Grillo padre-padrone del Movimento che è consapevole di non avere eletti con le capacità di amministrare. Restare lontano dal Governo può servire per costruire questa esperienza stando all'opposizione per i prossimi anni. Oppure, peggio, altro potrebbe essere il programma del signor Casaleggio e le premesse per uscire dall'Euro e il ritorno alla Lira ne mostrano le prime avvisaglie. Confidiamo nell'intelligenza dei militanti non fanatici e spero sostenitori e difensori della nostra Costituzione.
E', infatti, in questo contesto elettorale che si può veramente costatare la capacità politica delle segreterie del PD e del Movimento 5 Stelle. Anche perchè, se a qualcuno questa situazione post elezioni, può apparire una sconfitta e un pericolo “instabilità”, se giocata con intelligenza e non solo come puro dominio, può veramente rappresentare un'opportunità da non sottovalutare.

Il Silvio degli Italiani
Purtroppo però Grillo, non è stato il solo ad ottenere un buon successo. Silvio Berlusconi è riuscito a far risorgere un partito ormai defunto, con una coalizione, che ha raccolto 9.405.786 voti solo al Senato, seppellita da scandali, ladrocini e ipotesi di reato non solo in attesa di verifica della magistratura ma veri e propri atti di accusa e condanne eseguite. Non ultima la vicenda dell’acquisto di un eletto dell’Italia dei valori per far cadere il governo Prodi pagato dal faccendiere Lavitola, con ben 3 milioni di euro di cui 2 in nero.
La vittoria del PDL, ancora una volta tutta personale e il trionfo di Roberto Maroni in Lombardia, hanno evidenziato che quel partito è ancora forte. Con queste votazioni ancora una volta hanno dimostrato che i legami economici costruiti da Silvio Berlusconi e Comunione e Liberazione nel nostro paese, sono fortemente radicati. Un consenso costruito a distribuzione di “favori” che in alcuni casi ha accumulato appalti e malavita. Un connubio che, soprattutto in Lombardia in occasione dell’EXPO, non poteva e non doveva essere interrotto.
Lascia anche perplessi, che proprio tra i loro candidati eletti sia stato escluso Guido Crosetto, l’unico che in modo sensato provava a dialogare in modo costruttivo sui problemi del nostro paese. Peccato che però abbia osato mettersi contro il suo Capo Padrone, fondando i “Fratelli d’Italia”. Tradito dalla stessa Giorgia Melloni, guarda caso rieletta, che per cameratismo ha accettato l’ingresso di Ignazio La Russa e quindi anche il ritorno a casa Berlusconi di tutto il suo entourage.
Ma esiste tra loro anche un voto degli Italiani onesti verso quel partito che può apparire inaudito se paragonato al livello di crisi, di sfascio culturale e sociale in cui ci troviamo ma è figlio della volontà di credere ancora che solo attraverso la difesa del proprio piccolo spazio di potere ed economico si riesca a sopravvivere. Una parte importante di società che, come definito dal filosofo Bauman, vede il pericolo di un esclusione sociale causata dal non poter comprare per sentirsi parte della modernità.

Il Partito Democratico schiacciato tra passato e futuro.
Se un merito andrà forse riconosciuto al Movimento 5 Stelle sarà certamente quello di essere riuscito ad obbligare ad assumere una chiara posizione politica al più grande partito di sinistra del nostro paese. Questo perché è giunta l’ora che il Partito Democratico decida se vuole essere un partito di Centro che gestisce il gestibile di questo paese compatibilmente con le esigenze economiche dell'Europa o una forza politica che vuole rappresentare il popolo italiano, con tutte le sue esigenze e contraddizioni, in seno ai popoli dell'Europa unita. Questa è la sostanziale differenza. E non è un caso se oggi, dopo una vittoria di Pirro, sia cominciata la resa dei conti interna al Partito. Lo scontra tra chi vuole dialogare con Grillo e chi piuttosto è disposto a lasciare per nuove frontiere è nell'agenda dei prossimi giorni. Del resto era impensabile pretendere di vincere delle elezioni con un partito che vuole proporsi come socialiberale con una spruzzata di socialcattolicesimo sorretto dalla compatibilità del proprio pensiero con il sostegno ai mercati finanziari. Magari con anche la volontà di rappresentare, rincorrendolo, un centro sociale economico moderato che non lo riconoscerà mai come possibile interlocutore politico. Non solo per le sue contraddizioni ma anche perchè questa classe politico-economica ma non esiste più. E' sta atomizzata e distrutta dagli oltre cinque anni di crisi economica e la loro domanda oggi è: più lavoro, più servizi e meno tasse a tutti i livelli. Ma la risposta non può essere il pareggio di bilancio in Costituzione  o la Spending Review, perchè questo significa solo ulteriori sacrifici.
 
Il Governissimo
Credo che alla fine le forze reazionarie interne al Partito Democratico avranno la meglio, data l'ormai pluriventennale politica sostenuta dentro e fuori al Parlamento e la quasi vittoria di Matteo Renzi alle primarie del partito, e purtroppo non prenderanno neanche in considerazione questa opportunità.
Dopo un tiepido e forzato tentativo di apertura verso Grillo, sperando in un suo rifiuto, si sta già pensando al Governissimo modello Monti con magari al suo posto quel bravo fido scudiero internazionale di Giuliano Amato. Regia di tutto, il nostro Presidente della repubblica Giorgio Napolitano.
Del resto neanche a Napolitano piace questo risultato ed è particolarmente adirato con il prof. Monti che scegliendo di tradire l'accordo fatto prima delle elezioni, lo sta forse costringendo a patti con il Movimento 5 stelle che tanto lo ha attaccato in questi anni.
Qui in gioco ci sono gli accordi economici Europei da rispettare e da non contestare. Vanno gestiti da subito e non ci si può permettere che un comico populista possa metterli in crisi. Nonostante questo sia calcolato e sorretto dai denari dei suoi cittadini per il bene di pochi.

Il problema del presidente della Repubblica

C’e un altro ostacolo da superare nell’immediato ed è l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Non sarà facile, dato le maggioranze presenti, e l’unica soluzione plausibile potrebbe essere la rielezione di Napolitano giusto il tempo di approvare una nuova legge elettorale.
Anche perché lasciare la nostra nazione senza un Presidente e con un Governo fantasma non mi sembra il massimo dell’immagine di stabilità, soprattutto per i mercati.
Credo che Napolitano potrebbe accettare soprattutto se il progetto del Governassimo non dovesse andare in porto. Non si fida del Movimento 5 stelle, del loro pensiero anti tedesco e della posizione assunta nei suoi confronti riguardo le intercettazioni con l’ex ministro dell’Interno Mancino per il presunto patto tra stato e mafia.

Lo spettro della Grecia aleggia dunque sull’Italia? Non ancora ma qualcuno comincia anche a mandare segnali “persuasivi” alle classi politiche del nostro paese.
Dall’allarme dei Servizi dei rischi di tensioni sociali causati dalla crisi, al pericolo minaccia cibernetica.
Certamente l’ultimo dato ISTAT ha decretato che la disoccupazione ha raggiunto livelli record:  a gennaio 11,7% con quella giovanile attestatasi al 38,7% ma sino ad oggi, rispetto ad altre nazioni, nulla è accaduto nonostante molto si sia già fatto. Nessuna reazione all’aumento delle tasse, della manovra delle pensioni, alla riforma del lavoro, al taglio all’istruzione etc. Nessuna reazione consistente di piazza ma la rabbia tutta espressa in quell’urna che non può e non deve essere sottovalutata. Come si addice a una vera democrazia.

28/02/13


ELEZIONI 2013: LA DANZA DEI POPULISTI
di Boris


“Le votazioni sono la massima espressione di democrazia che un paese libero può esprimere” questo pensiero è stato sempre sostenuto da tutti i Presidenti della Repubblica che si sono nel tempo susseguiti.  Dopo le crisi economiche e quelle di governo, oggi siamo pronti a contribuire con il nostro voto, al trionfo della Democrazia partecipata. Un azione che ci libererà finalmente dalle troppe danze populiste che i partiti hanno utilizzato per cercare di ubriacarci.
Dagli spot con le stesse promesse mai mantenute dalle forze politiche uscenti, enunciate come se fossero comparsi solo ora sulla scena politica nazionale, ai nuovi partiti o coalizioni che provano a dare una visione “altra” del futuro, senza che di “altro” ci sia nulla.
A giudicare dagli slogan utilizzati sino ad ora, pare che il problema Italia sia legato alla mancata tassazione dei redditi sopra ai centomila euro, ai sindacati che sarebbero proprietari delle aziende, alla necessità di riequilibrare l'IMU e dalla mancanza di produttività attribuibile ai lavoratori a cui tanto piace andare in cassa integrazione per attendere tempi economicamente migliori. Dimenticavo i giovani disoccupati che non hanno voglia di adattarsi ai lavori umili disponibili e per i quali sarà necessario pensare a sconti per tasse e contributi rivolte agli industriali che in cuor loro vorranno prendersi cura di questi svogliati ragazzi.
Evidentemente non viviamo nello stesso paese. Sentire la sfilata di dichiarazioni degli ex come il ministro Tremonti, vantarsi di nuove e risolutive proposte o il presidente del Consiglio Monti che per rispondere al Cavaliere di Arcore, promette di rendere più equa l'Imu da lui applicata, mette la nausea. Speriamo che la stessa sensazione colga chiunque indeciso si accingesse a votarli. Soprattutto per la loro totale intercambiabilità politica che ha come unica differenza la lotta per il potere delle rispettive lobby. Comune denominatore: la distruzione dello stato inteso come luogo di cultura e assistenza sociale sostituito da una liberismo senza regole dove il profitto e il dominio dei più forti sia la struttura portante.

Alcune novità però sono emerse o più propriamente sono immaginabili.

Il Movimento 5 stelle a caccia di voti esprime un populista programma non discusso con la sua base dove anche i militanti fascisti di Casa Pound, a dir delle steso Grillo, possono comodamente starci. Una caccia al voto della destra basato sull'espressione “non siamo antifascisti. Il nostro è un movimento ecumenico” o peggio “i sindacati sono delle lobby appartenente al passato. Le fabbriche devono tornare ad essere proprietarie di chi ci lavora”. Ambedue espressioni più vicine al Nazional Socialismo Nazista che a nuove forme di Progressismo Democratico.
Del fascino destroso e fascista altri partiti ne sono stati attratti come il buon partito Radicale o farei meglio a dire il Partito Monarchico Pannelliano che pur a parole Liberale e Democratico, dopo essersi bruciato in questi ultimi venti anni almeno la sua totale affidabilità, parteciperà alle elezione nel Lazio insieme agli anti abortisti della Destra di Storace per evitare di restare fuori dai palazzi del potere. Forse stavolta avremo almeno la fortuna di non vederli in parlamento a contrattare posti e fondi per la loro emittente radiofonica.

Ma cosa si muove nel Centro della Sinistra stavolta?

Se dobbiamo partire dal Centro dello schieramento non possiamo che parlare del Partito Democratico e della sua alleanza con SEL che tanto ricorda quella con il Partito della Rifondazione Comunista con Prodi di anni fa. Con un vantaggio in più però: non comparirà più la scritta Comunista nella coalizione, che non piace tanto al Centro della base elettorale PD.
Sarà curioso vedere, in caso di vittoria, come si comporterà la compagine vendoliana quando dovrà votare la fiducia sull'intervento militare in qualche parte del mondo o sul taglio e magari privatizzazione di parte della sanità nazionale. Certo, SEL potrebbe stupirci, perdendo forse alcuni pezzi del suo elettorato, dato l'esperienza del presidente della Regione Puglia a collaborare con aziende private come il San Raffaele. Comunque, una cosa è quasi certa: nel caso probabile che il PD non raggiunga la maggioranza per governare, altre potrebbero essere le scelte.
Basti guardare l'apertura di Monti che di Bersani, verso entrambi, dopo l'esito dei sondaggi che vedono in risalita il consenso verso il cavaliere Silvio Berlusconi. Proporre, infatti, l'alleanza con la truppa di Monti non sarebbe in fondo così strano, del resto, i loro programmi non si differenziano nella sostanza. Basta cacciare i “quattro” eletti di SEL nel punto più in basso dell'assise parlamentare e chiedergli eventuali voti mancanti, su delibere che gli possono interessare o sostituendoli, in nome di un unità nazionale antiberlusconiana o “Montiana traditrice”, con gli eletti dell'Italia dei Valori e/o del PdCI del buon Diliberto. Speriamo che quella poca base del suo partito sappia tenere a bada il gruppo dirigente parlamentare che è ancora rimasto quello che sostenne il buon governo Prodi.
Non c'è che dire le forze politiche oggi presenti in parlamento hanno il primato di aver trasformato un sistema elettorale  Maggioritario e Bipartitico, grazie a una legge elettorale antidemocratica che tanto volentieri non hanno voluto cambiare accusandosi reciprocamente per nascondere la volontà di poterla sfruttare, nel peggio che il sistema Proporzionale avesse mai mostrato. Una politica partitica parlamentare costruita su alleanze “liquide”. Ovvero Maggioranze che si possono ricomporre e mescolare a secondo del provvedimento in discussione. Senza neanche la necessità di ricorrere, come in precedenza, al voto di fiducia posto su importanti ordinamenti.

E quanto vale oggi la Federazione Ingroiana della Sinistra?
Per descrivere quello che è stata il percorso inconclusivo della Federazione della Sinistra basterebbe  spiegare gli ultimi venti anni di politica parlamentare e il risultato simil-Arcobaleno ottenuto ne è la conferma.
Il migliore strategicamente è stato sicuramente il PdCI che con il progetto Ingroia, che risale forse ancor prima del congresso del 2012 a quando Diliberto era ministro di Giustizia, ha consentito a questa forza politica nazionale di poter tenere aperto più canali di confronto. Nella Federazione della Sinistra con Rifondazione, nel caso si fosse corso da soli; con il Partito Democratico con la giustificazione di dover impedire la vittoria del PdL e come ultima carta, l'egemonia su una nuova possibile forza di coalizione sorretta dal “premier di lista” Ingroia nella lista Rivoluzione Civile. Obiettivo: arrivare in Parlamento, perchè “solo così si conta e si ha visibilità”. Una sorta di radicalizzazione sul territorio di stile gramsciano, realizzato però alla rovescia.
Incredibile, invece, è stato l'atteggiamento del Partito della Rifondazione Comunista.
Anche se il segretario Ferrero vuole farci credere che “non avesse altra scelta”, la loro adesione a  Rivoluzione Civile è stata dettata più dalla paura di restare per l'ennesima volta da soli, che dalla reale volontà di costruire qualcosa da sviluppare nel prossimo futuro. Prova è stato il timido tentativo di costruire un movimento/partito gestito “dal basso” con il progetto “Cambiare si può” miseramente fallito perchè abbandonato in nome di una nuova coalizione con all'interno anche l'Italia dei Valori. Altro che ampia partecipazione della società civile.
Del resto l'onorevole Di Pietro prima di firmare l'accordo con il suo ex collega della procura di Palermo, era il capo assoluto dell'opposizione in Parlamento. Peccato che un gruppo di giornalisti di Report, che hanno provato a fare il loro mestiere, sono riusciti a mostrare alcuni scheletri di cui Di Pietro in persona non ha voluto sbarazzarsi.
Morale: l'Italia dei Valori aveva i soldi per pagare la campagna elettorale anche degli altri due partiti, grazie non solo al rimborso elettorale; PRC ha gli uomini e le sedi dislocate sul territorio che possono sostenere la campagna elettorale e PdCI ha il candidato premier giusto. Certo il programma  politico è apprezzabile ma le persone e le premesse della loro possibile attuazione lasciano alquanto perplessi.
Riuscirà dunque l'ex magistrato Ingroia, unico reale portavoce di un programma antiliberista,  a mettere tutti d'accordo e formare un gruppo unico in Parlamento?
E perchè mai dovrebbe, del resto oggi la politica può essere “liquida” non solo per gli altri. 

In mezzo a tutto questo ci sono i militanti, uomini e donne che ancora oggi si mobilitano con la speranza di riuscire a cambiare le cose. Gli unici che rimangono, nel bene e nel male, a reagire e a sorreggere, rendendole immortali, le grandi idee che hanno sino ad oggi cambiato il corso della storia. Gli unici ad avere il diritto, oggi sempre più in pericolo, di poter parlare ed agire per il bene comune, per quello Stato di uomini liberi costruito con tanto sacrificio. Un impegno spesso tradito dalle stesse classi dirigenti politiche italiane che di questa forza, hanno usufruito per costruire il loro impero dominante. Speriamo che questo non si perpetui nel tempo e che tutti i candidati comprendano che una nuova politica della sinistra può ricominciare solo dai principi ben esposti dal video/appello lanciato dall’ANPI con questo video.

http://video.repubblica.it/dossier/elezioni-politiche-2013/anpi-per-le-politiche-2013-la-fiaba-della-memoria-italiana/117951/116417

09/02/2012


 Text/HTML Riduci

SIRIA: ORIZZONTI DI FUOCO

di Boris

Odore acre e fumo nero sulle città siriane.

Morte civile, scontro di libertà contro la libertà.

Aggressione e difesa di corpi arsi

Anime illuse da Dio creato d' adoratori d'oro.

Orizzonti di fuoco contro la Siria e contro il suo popolo.

Questo sta avvenendo in Siria. Un paese e un popolo che oltre ad aver sopportato quarant’anni di dittatura oggi vede in pericolo l’esistenza del suo stesso stato.

Una protesta, va ricordato, iniziata per chiedere maggiore libertà che si è da prima trasformata in “resistenza” alla reazione violenta del potere e oggi strumento in mano a nazioni esterne che principalmente vogliono la  distruzione di una importante e strategica nazione in medio oriente. Un conflitto volutamente offuscato dalla maggior parte dei mass-media per occultare un operazione neocolonialista e imperialista in atto da diversi anni in tutto il medio oriente.

Del resto tali atteggiamenti, endemici al sistema capitalista, restano retaggio di quella politica espansiva e affamata di materie prime e popoli da sfruttare, che sin dalla seconda metà dell' 800', con le campagne colonialiste dei paesi industrializzati, condusse poi nel 900' a una potente crisi economica e a ben due conflitti mondiali che non solo ridisegnarono lo scenario geopolitico mondiale ma lasciarono conseguenze tutt'ora evidenti.

Se pur queste possono oggi apparire le principali motivazioni endemiche, altri sono i soggetti presenti sullo scenario internazionale e sarebbe limitativo soffermarsi solo ed esclusivamente sulla elaborazione di un pensiero storico ciclico.

La caduta del blocco URSS antagonista al capitalismo, la finanziarizzazione del capitale e la crisi economica causata principalmente dalla saturazione dei mercati/stato sino ad oggi conosciuti, sono i principali fattori dirompenti di un sistema che sino ad oggi appariva o doveva apparire in equilibrio.

Oggi non è più necessario all’attuale sistema economico globalizzato dover dimostrare in modo forviante, per fronteggiare il pensiero socialista e comunista, che la ricchezza individuale e la democrazia è possibile solo attraverso la liberalizzazione dei mercati. Soprattutto perchè nessuna forza antagonista, tanto più la sinistra mondiale e anticapitalista, può contrastare oggi in modo incisivo, l'omologazione sociale al pensiero unico e soprattutto il ri-utilizzo della guerra come unico mezzo efficace e reale atto a ridisegnare, sotto l'emblema dell'intervento militare di pace, il nuovo equilibrio economico mondiale.

Complice anche una sinistra di governo, di movimento e pacifista che oltre ad avallare l'attuale politica economica e sociale proponendosi essa stessa come artefice di questa trasformazione, ha contribuito allo smantellamento dello stato sociale e alla trasformazione dell'esercito di leva e popolare, in professionisti dell'aggressione e non della difesa del proprio paese. Permettendo così all'opinione pubblica di assolversi dal singolo impegno contro la guerra e a sollevarsi dalla responsabilità morale dell'omicidio di altri innocenti in paesi da noi occupati militarmente.

Nello scacchiere medio orientale la Siria rappresenta la nuova nazione da distruggere e occupare dagli “amici” paesi arabi sunniti. Giusto prima dell'attacco definitivo all'Iran da parte d'Israele.

Un ruolo decisivo in questo conflitto lo sta sostenendo l’Arabia Saudita e il Qatar con il finanziamento all’Esercito Libero Siriano, rafforzato e da subito infiltrato, con gruppi integralisti islamici esterni al paese.

Un azione cosi diretta, attuata senza neanche una dichiarazione ufficiale di guerra, è senza precedenti nella storia e può avere ripercussioni molto gravi non solo per quell’area del mondo.

Si sta sottovalutando, proprio come precedentemente fatto per le due guerre mondiali, il pericolo di una estensione del conflitto anche per i popoli e per le economie che si affacciano sul mediterraneo. Non solo quindi una forte contro-rivoluzione con repressione nei confronti dei processi di democratizzazione di quei paesi ma, un vero e proprio attacco all'altro blocco economico che può contrastare il dominio del dollaro.

Con la scusante di esportare democrazia in quei paesi non solo si sta agendo per espandere il potere delle petrolmonarchie del Golfo e così garantire la sicurezza dello stato d'Israele e il proseguire del suo progetto sionista ma si sta portando e preparando un attacco contro il progetto di una possibile e reale Europa unita.

Certo non è una novità che alcuni singoli paesi europei stanno giocando una doppia partita, con l’Europa e per se stessi e in questo il ruolo della Francia e dell'Inghilterra in Libia come in Siria è stato ed è emblematico e non sarà certo Hollande o l’Italia di Monti ad impedirlo. Come è ormai evidente che gli Stati Uniti vogliono far pagare questa crisi e la loro debolezza monetaria ai popoli europei.

Gli USA sono economicamente al collasso nonostante due guerre contro l'Iraq e l’impegno da anni in Afghanistan e non è detto che possano giocare un ulteriore partita in Europa attraverso la Turchia, si noti il valore d'incremento per prodotto interno lordo di questo paese e il loro appoggio all'attacco alla Siria, e/o la ripresa del conflitto mai concluso nei Balcani.

Come può avvenire tutto questo? Nei cosiddetti paesi ad economia avanzata la crisi democratica è evidente. Al popolo è rimasto solo il feticismo della merce e non ha caso gli unici prodotti addirittura in crescita sono i cellulari e le apparecchiature elettroniche, che di fatto stanno progressivamente spersonalizzando le nuove generazioni e creando una nuova massa nichilista molta più aperta a risposte individuali e reazionarie di quanto non sia mai accaduto negli ultimi quarant'anni. Il tutto mentre le economie locali hanno progressivamente spostato in questi ultimi venti anni, gli investimenti dall'industria manufattiera a quella finanziaria.

Il “denaro per creare denaro”, ovvero la morte della società futura civile.

Si sta compiendo ciò che Marx aveva predetto? Il Capitalismo ha in se il germe della sua stessa distruzione? Non ancora.

Qui non si sta combattendo una sola guerra tra stati ma tra due sistemi economici capitalisti differenti tra loro. Siamo di fronte ad un passaggio epocale che vede il trasferimento di un sistema economico produttivo “fordista” nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, ricco di materie prime e materiale umano da sfruttare e un sistema finanziario che prevede di controllarne sviluppo e ricchezza. E' ovvero in atto il tentativo di ri-creare una casta di dominanti e di dominati e l'unico modo per farlo è eliminando le democrazie esistenti o impedendone nuove possibili.   

Ognuno sta giocando la sua partita con la presunzione di uscirne vincitore. L'Inghilterra per esempio già da tempo non è proprietaria di nulla di cui produce; la Russia pur aiutando la Siria per mera convenienza, gioca il medesimo ruolo con i suoi stati satelliti e reprime ad esempio con efferata violenza da anni i popoli Ceceni; la Cina ha creato ciò che molti capitalisti sognano da secoli una forma di “capitalismo di stato” reazionario e dittatoriale, mentre l'Iran, insieme all'Arabia Saudita e altri stati del Golfo, resta una delle peggiori dittature teocratiche.

Non possiamo però anche negare il ruolo fondamentale svolto da anni dal governo sionista israeliano e la questione Palestina ne è il primo reale e concreto esempio, che oltre a fornire apparecchiature sofisticate militari e addestratori, ha partecipato anche attivamente, dove è stato necessario, con i propri uomini. Come in Georgia, scoperto solo grazie alla loro sconfitta.

Per non parlare poi dell'islamismo radicale, da anni presente in medio oriente, che si sta diffondendo anche in gran parte del centro Africa grazie al finanziamento per “opere sociali” dell'Arabia Saudita e Qatar. Progetti che allettano facilmente la speranza di un possibile riscatto per quei popoli da anni soggiogati dal dominio politico occidentale. Un consenso costruito anche grazie a ingenti finanziamenti di aiuti elargiti nelle zone più povere di quei paesi e non solo. Basti pensare che il Qatar ha predisposto un intervento sociale anche nelle periferie degradate parigine.

Questa politica di espansione anche se apparentemente potrebbe apparire negativa, in realtà è ancora una volta funzionale alla politica estera americana.  In Medio Oriente oggi è chiaramente in atto un operazione simile a quella compiuta negli anni 80' in Afghanistan dove gli Stati Uniti finanziarono i Talebani contro l'URSS e crearono Al Qaida per imprimere il loro volere al mondo in nome della lotta al terrorismo.

La Siria si inserisce proprio in questo scenario, sulla cui sorte non possiamo sottovalutare il grave errore politico commesso da Bashar El Assad nel non concedere spazi di democrazia prima ma, soprattutto durante, quello che stava avvenendo nei paesi arabi in rivolta. Così facendo non solo non ha contribuito a dar forza a possibili trasformazioni politiche in senso riformista anche negli altri stati adiacenti ma ha indirettamente permesso che forze integraliste islamiche comandate dall'Arabia Saudita e dal Qatar, potessero fornire motivo e sopratutto armi a chi da anni voleva cambiare lo stato esistente delle cose. Le stesse cosiddette elezioni libere in realtà sono state per lo più una operazione di “ricerca di consenso in chiave populista” che invece hanno contribuito a dare un'immagine al suo popolo, anche per chi gli era favorevole, di debolezza e paura.

Questa scelta ha costretto, anche indirettamente i siriani, la dove lo scontro si è fatto più aspro, a non schierarsi o a dover scegliere tra una dittatura o un peggiore esercito ribelle. Una guerra fratricida scatenata da altri ma con conseguenze disastrose per tutto il suo popolo.

Ciò nonostante difendere oggi lo Stato Siriano, preparando un uscita di scena del suo dittatore Assad, sia necessario soprattutto per impedire questa operazione neocolonialista e imperialista.

E' importante che la Famiglia Assad metta il loro mandato nelle mani del suo popolo. Come riuscire a farlo accettare ad entrambe le parti, soprattutto perchè forze esterne al paese non hanno nessun interesse ad ottenerlo, credo sia improbabile dato l'ormai inutilità dell' ONU. Forse ci si riuscirà solo se la Cina, Russia e Iran svolgeranno in modo chiaro il loro ruolo impedendo l'intervento della Nato per mezzo Turco. Solo così purtroppo, la guerra in Siria potrà durare ulteriormente, con migliaia di morti senza che alla fine prevalga nessuna forza. Una pace ottenuta forse solo dopo uno scenario balcanico e libanese di triste ricordo.

16/10/12



 Stampa   

FASCISTI LEGALI
di Boris

Il 28 ottobre a Modena un gruppo di fascisti ha organizzato, sotto l'effige della Fiamma Tricolore, una convention per commemorare e ricordare la Marcia su Roma e alle “Dimenticate opere del fascismo e ai crimini dei partigiani nascosti”. Azione che non solo portò al potere Benito Mussolini ma consenti di instaurare in Italia un ventennale regime violento e repressivo soprattutto nei confronti delle classi meno abbienti.
Il luogo dell'incontro nascosto sino all'ultimo momento, avrebbe dovuto essere un Hotel nella prima periferia della città. Obiettivo era spostare lontano la possibile mobilitazione antifascista. Ma lo stratagemma non ha funzionato e mentre le organizzazioni politiche come SEL, CGIL, Arci, ANPI, IdV e il sindaco del PD Giorgio Pighi presidiavano il sacrario dei caduti antifascisti, Rifondazione Comunista e i militanti del Guernica piantonavano la vera sede dell'incontro presso l'Hotel Europa a due passi dal centro storico.
La giornata non poteva finire così anche perchè numerosissime erano le forze schierate. Da una parte in assetto d'attacco i militanti antifascisti che volevano impedire la riunione e dall'altro la polizia in tenuta antisommossa.  Lo scontro era inevitabile e a farne le spese dopo un corpo a corpo di diversi secondi, la vetrina dell'albergo che ha ceduto sotto le reciproche spinte. Due successive cariche e cassonetti in mezzo alla strada hanno accompagnato il ritorno del gruppo verso il monumento ai caduti della Resistenza.
Uno scontro questo inevitabile soprattutto a causa di un precedente avvenuto alcune settimane prima a Sassuolo quando le forze dell'ordine avevano caricato gli stessi antifascisti in difesa di una manifestazione organizzata dall'organizzazione nazi/cattolica Forza Nuova.
Ad ognuno il giudizio per i fatti accaduti, ma lascia però ancora una volta sgomenti l'atteggiamento di protezione legale esercitata nei confronti di chi sotto l'emblema di un organizzazione legalmente riconosciuta compie azioni degne di denuncia per apologia di fascismo. Qui non si tratta di avere un atteggiamento tollerante o intollerante, neanche quello di consentire lo scontro tra gli opposti estremismi, tipico degli anni 70', per rafforzare il Centro, qui si tratta ancora una volta di prendere una parte. Sempre quella da tempo. Mi sarebbe piaciuto vedere cosa avrebbe fatto il questore se qualche altro folle avesse organizzato un convegno sul valore della lotta armata compiuta dalle Brigate Rosse negli anni di piombo.

29/10/11


QUELLA VIOLENTATA PIAZZA

 

Sono passati ormai diversi giorni da quel fatidico 15 ottobre dove a Roma gli “Indignati” hanno manifestato tutto il loro dissapore nei confronti della nostra classe politica. Una manifestazione che ha visto schierati contemporaneamente, giovani ed anziani.
Molto si è scritto o detto sugli scontri di piazza e poco si è discusso sui contenuti e sulle parole d'ordine di quella mobilitazione. In quel corteo c'era la voglia di denunciare una situazione paradossale dove a fronte di un sistema economico finanziario che aveva dissipato sicurezza economica e risparmio famigliare, il sistema politico rispondeva con l'aumento della disoccupazione, del prelievo sulle classi meno abbienti e la ridistribuzione agli stessi che avevano provocato tutto questo. Anche il nuovo presidente della BCE Dott. Draghi aveva compreso e provato ad interpretare le motivazioni arrivando addirittura a giustificare quei giovani che “aspettano delle riforme e vedono nero per il loro futuro”. Peccato e paradossale che anche lui appartenga a quella schiera di investitori e le riforme tanto invocate soprattutto dall'alto del suo nuovo incarico, mirino alla progressiva distruzione dello stato sociale esistente. Un sistema, sempre secondo Draghi che deve lasciare posto a una politica di rialzo dei salari e della stabilizzazione dell'occupazione. Traducibile solo con: quasi zero trattenute, tutto il guadagno in busta, pensioni integrative personali,  sanità e scuole a pagamento. Questa è il progetto. Altro che bene del popolo.
Per non parlare della richiesta di riforma rivolto all'innalzamento dell'età pensionabile basata solo su una volontà politica e non su una reale necessità economica. L'attuale sistema contributivo adottato permette la gestione in equilibrio delle pensioni e l'attuale richiesta di riforma avanzata dall'Europa, mira solo a recuperare capitali da indirizzare alla diminuzione del debito pubblico italiano. Questo necessario per mantenere in equilibrio l'euro e le ripercussioni sull'unione stessa. Questo è un buco finanziario certamente non provocato da chi da anni paga sonoramente i contributi che gli sono stati richiesti. Peccato che nessuna forza politica abbia il coraggio di denunciare tutto questo e proporre riforme strutturali REALI anche nei loro stessi confronti. Basti pensare all'opposizione del tutto elettoralistica della Lega al taglio delle pensioni o gli stipendi da nababbi di tutti i parlamentari e senatori. La verità è che tutte le forze politiche attualmente in campo, rispondo a necessità di mercato e hanno più paura di suscitare l'indignazione delle agenzie di reting che possono contribuire ad un ulteriore declassamento del nostro paese, che il bene stesso degli italiani.
        
Su quanto accaduto, non a caso, ha dominato un estrema superficialità d'analisi. Prima necessaria richiesta, la condanna unanime della violenza come metodo di comunicazione politica. Un appello trasversale condotto da tutte le forze politiche nazionali.
Una giusta e necessaria richiesta se non fosse sostenuta da ben altre e pericolose affermazioni fasciste e antidemocratiche. Soprattutto da parte dell'opposizione ,come l'IDV, che con la richiesta invocata di ripristino delle leggi speciali, come la legge REALE applicata negli anni del terrorismo, non solo ha evocato un momento storico e politico assai discutibile in termine di libertà individuale (oltre 500 morti) ma ha contribuito a dare un valore politico rilevante a queste azioni per lo più di puro vandalismo. Perchè non c'è nulla di rivoluzionario nel distruggere delle vetture parcheggiare lungo le strade.
 
Non possiamo però sottovalutare che quella massa di giovani violenti rappresentava certamente anche una situazione di disagio sociale e prospettive per il futuro. Per alcuni di loro, anche una reazione, un azione di attacco verso chi da tempo, in nome della legge, cerca di impedire il loro libero arbitrio. In nome magari anche di una squadra di calcio. 
Tra quei ragazzi, infatti, non vi erano solo degli Anarchici Insurrezionalisti o i cosiddetti estremisti da centro sociale, erano ben presente anche e soprattutto ultras e militanti di organizzazioni di estrema destra che in nome della restaurazione e dell'ordine di antica natura, hanno strumentalizzato ancora una volta, una democratica espressione di dissenso. Una strumentalizzazione confermata anche dall'arresto del cosiddetto “er pelliccia” che non era un sinistroide comunista rivoluzionario ma un ragazzo che dichiarava sul suo profilo face boock che si sentiva “straniero in patria” e inneggiava a frasi di Hitler.
La scelta di indicare nella sinistra come diretta responsabile di quanto è avvenuto, è stata ben  utilizzata da tutti i mass media e soprattutto strumentalizzata per l'ennesima volta, dagli organi di investigazione e polizia. Basti pensare alla massiccia ondata di irruzioni e perquisizioni che si sono susseguite nei giorni successivi e che hanno condotto la maggior parte a nulla o a semplici segnalazioni. Giusto appunto l'aggiornamento dello schedario di polizia, in attesa di un nuovo “Dasco Politico” che sia efficace e risolutivo anche in caso di un possibile futuro dissenso sociale.
Su quegli scontri sono stati totalmente ignorati anche altri aspetti. Per esempio il comportamento di alcuni gruppi organizzati della piazza come il sindacato dei COBAS o liberi cittadini “indignati” che sono intervenuti per impedire i saccheggi o le devastazioni. Nessuno, guarda caso, li ha intervistati o invitati a trasmissioni di approfondimento. Molto meglio diverse interviste a Black Block saccenti, esaltati e nichilisti, come quella apparsa su La Repubblica di giorni dopo, che chiedere a Bernocchi, leader dei Cobas, il perchè in un video veniva ripreso mentre chiedeva animatamente di intervenire e fermare i devastatori, ad un responsabile di polizia.
Forse era necessario l'intervento diretto ed immediato sui pochi devastatori per lo più fascisti che il loro ingresso in  piazza della Repubblica con i pericolosi caroselli con mezzi militari. Certo, il pericolo che qualche altro blindato potesse essere attaccato e bruciato era evidente ma questa, non fu dettata dalla necessità di inseguire i facinorosi ma di liberare ed impedire che quella piazza fosse riempita di contenuti politici. Gli stessi contenuti che a Genova nel 2001 furono gridati a gran voce e subito repressi con violenza risolutiva e preventiva.
La piazza di Roma oggi, non è quella di Genova di ieri, infatti, la reazione della gente in piazza San Giovanni all'attacco delle forze di polizia, è stata quella di respingerle con una fitta sassaiola. Forse perchè qualcuno, che era li pacificamente per sfilare in corteo, ha deciso di non alzare più le mani bianche al cielo e lasciarsi di nuovo massacrare senza ragione. 
 
Se davvero i governi allora non possono più interagire nei confronti dei grandi movimenti di capitali mondiali, se davvero tutto questo non è più possibile fermarlo, perchè questi giovani allora  dovrebbero credere ancora nella politica, nella forza delle idee e nella democrazia? Perchè dovrebbero passivamente attendere che un loro nemico possa affamarli senza neanche mostrare il suo volto? Il rischio è questa politica così presuntuosamente e antidemocraticamente imposta, rischierà di condurre questi giovani compreso anche quelli più attenti e ottimisti, lungo la strada della violenza e del saccheggio. Non azioni con fini politici, come vogliono farci credere per reprimere future opposizioni ma, per puri atti vandalici o di saccheggio.
Purtroppo istigati non da video games violenti ma da chi comodamente sta seduto a giocare con le quotazioni di borsa e il loro futuro.
 
 24/10/11


MARCHIONNE E CONFINDUSTRIA
uno strategico divorzio

di Boris


Ormai è certo. Marchionne e la sua Fiat lascerà Confindustria, l'organizzazione degli imprenditori che, nel bene o nel male, dalla nascita della Repubblica del dopo regime fascista ha svolto un importante ruolo interlocutore tra Governo e sindacati.
L'abbandono di Marchionne arriva in un momento storico molto particolare per il nostro paese. Non solo per il continuo attacco delle agenzie di rating alla nostra economia ma anche in una fase strategica e al tempo stesso pericolosa, del rapporto capitale finanziario, crisi internazionale e bilanci aziendali. Soprattutto per un settore strategico, come quello dell'auto.
Già altre volte ci siamo soffermati sull'operazione finanziaria intrapresa in questi ultimi anni dal A.D. FIAT. Dalla divisione del gruppo auto dalle macchine movimento terra, all'acquisto di General Motors con i soldi pubblici di Obama. Operazioni queste che nonostante un calo globale delle vendite auto del gruppo, che si attesta a non meno del -23%, ha portato più che soddisfacenti utili di borsa nelle casse del gruppo torinese. E ancora non è finita. Ora toccherà alla produzione del gruppo auto di lusso e da competizione come la Ferrari e la Maserati. Sulla Ferrari gli spazi di manovra per il momento sembrano contenuti dal controllo ancora esercitato da Luca di Montezemolo, mentre per la povera Maserati si prospetta da subito la realizzazione di una macchina di lusso con motore General Motors che forse piacerà tanto agli americani ma che porterà, molto probabilmente, alla perdita di quel poco di mercato europeo che a fatica manteneva. Il rischio e forse obiettivo, è quello di uscire da un eccellenza tutta italiana nel campo delle vetture di potenza e prestigio che potrebbe in futuro condurre un più facile trasferimento nella terra del presidente Obama.
In questo scenario, la decisione di uscire da Confindustria ha certamente lasciato stupito la presidente Marcegaglia, anche perchè arriva a poca distanza dalla firma dell'accordo del 28 giugno, ratificato anche dalla CGIL e l'approvazione in parlamento dell'articolo 8 della finanziaria.  Accordo e legge che certamente si collocano nella direzione sperata e attuata dal nuovo gruppo FIAT a Pomigliano e Mirafiori. Una volontà spiegata in modo chiaro con una lettera di Marchionne direttamente alla presidente di Confindustria.  

"Cara Emma", scrive Marchionne, "negli ultimi mesi, dopo anni di immobilismo, nel nostro Paese sono state prese due importanti decisioni con l'obiettivo di creare le condizioni per il rilancio del sistema economico. Mi riferisco all'accordo interconfederale del 28 giugno, di cui Confindustria è stata promotrice, ma soprattutto all'approvazione da parte del Parlamento dell'Articolo 8 che prevede importanti strumenti di flessibilità oltre all'estensione della validità dell'accordo interconfederale ad intese raggiunte prima del 28 giugno. Ma con la firma dell'accordo interconfederale del 21 settembre è iniziato un acceso dibattito che, con prese di posizione contraddittorie e addirittura con dichiarazioni di volontà di evitare l'applicazione degli accordi nella prassi quotidiana, ha fortemente ridimensionato le aspettative sull'efficacia dell'Articolo 8. Si rischia quindi di snaturare l'impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la flessibilità gestionale.”
Marchionne ha ricordato che Fiat è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 Paesi e quindi non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato. Per queste ragioni, spiega Marchionne, che non sono politiche e che non hanno nessun collegamento con i nostri futuri piani di investimento, "ti confermo che, come preannunciato nella lettera del 30 giugno scorso, Fiat e Fiat Industrial hanno deciso di uscire da Confindustria con effetto dal 1 gennaio 2012".

L'obiettivo per FIAT è e rimane quello di eliminare il contratto nazionale, sostituendolo al massimo con un contratto di filiera auto, e avere mano libera nella stesura dei contratti aziendali. Nell'ottica precisa di poter disporre liberamente delle persone e del loro tempo di vita, in funzione dell'esigenza di produzione. Chiarificatrici sono le parole stese di Marchionne: "Da parte nostra, utilizzeremo la libertà di azione applicando in modo rigoroso le nuove disposizioni legislative. I rapporti con i nostri dipendenti e con le Organizzazioni sindacali saranno gestiti senza toccare alcun diritto dei lavoratori, nel pieno rispetto dei reciproci ruoli, come previsto dalle intese già raggiunte per Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco".

Questo atteggiamento evidenzia essenzialmente due fattori: un tempo il gruppo poteva considerarsi un azienda dello stato italiano che investiva anche all'estero, mentre oggi il suo principale obiettivo rimane quello di voler collocarsi nel mercato come una vera e propria multinazionale. Per ora dell'auto, in futuro vedremo.
Il secondo, strettamente legato al primo, è una strategia di rottura con la CGIL orchestrata per poter indurre gli operai e gli azionisti ad accettare future e radicali trasformazioni. Soprattutto per quanto riguarda gli attuali e previsti investimenti nel nostro paese. Al Sig. Marchionne non interessa nulla contribuire all'ammodernamento del paese nel campo delle relazioni sindacali, il suo non è un problema politico. Al contrario: per lui la politica è solo un ostacolo alla libera impresa, un lacciolo che impedisce di comprendere ai più che “il mercato oggi è cambiato e di conseguenza anche le relazioni devono cambiare”. E per fare questo era necessario riuscire a estromettere la FIOM dal Gruppo e avere la possibilità di poter licenziare senza l'intermediazione di nessuno. Obiettivo in parte raggiunto senza neanche troppa fatica, grazie l'accordo firmato il 26 giugno, confermato poi dal Governo con l'approvazione della finanziaria.
Ma questo non bastava. Anche la Confindustria è considerata dal AD FIAT una lobby interlocutrice da eliminare. Ma quale controllo della concorrenza sleale o coordinazione tra imprenditori, qui è necessario dare libero arbitrio alle ragioni di mercato e che vinca il migliore.
In questa ottica il quadro che si presenta non è il migliore nonostante la conferma da parte anche del  ministro Sacconi degli investimenti FIAT nel nostro paese.
E questo dimostra ancora una volta, che qualcosa sta cambiando in seno agli imprenditori italiani. Basti pensare anche alla fuoriuscita del gruppo Pigna da Confindustria “perchè fa troppo politica contro il governo”; l'attacco portato dal produttore Della Valle all'immobilismo dell'attuale maggioranza nei confronti della crisi o le conferenze sul valore dell'impresa nel campo sociale del ferrarista Montezemolo. Una simpatica mobilitazione di imprenditori che odiano la politica e che, da sempre, pretendono che altri la facciano come piace a loro.
Quello che sta accadendo sono solo le prime scosse di un terremoto che rischia di travolgere in modo serio non solo gli attuali vertici di Confindustria ma il suo stesso ordinamento futuro.
Paradossale è che mai come oggi, la CGIL e Confindustria, sono stati così vicini alla loro  possibile delegittimazione sociale e politica. Chissà se un accordo non li salvi entrambi?

8 ottobre 2011


CRISI ECONOMICA E LA FURBIZIA DI CONFINDUSTRIA
di Boris


La crisi economica che sta travolgendo i paesi considerati poveri dell'Europa comincia ad estendersi in modo grave anche all'Italia. Un coinvolgimento sino ad ora lento e si pensava improbabile. Del resto le rassicurazioni del ministro Tremonti potevano indurre i più a sottovalutare la totale incapacità di gestire una stagnazione economica ormai cronica dal 2008, contrastata con soluzioni da bar o prelievi forzati dalle solite casse.
Certo appariva assurdo paragonare il potenziale industriale italiano a quello greco. Non per sminuire i nostri vicini di mare, ma perchè sarebbe stato non solo improprio ma estremamente superficiale, considerarli tali anche perchè erano e per il momento sono, diverse le situazioni economiche e sociali dei due paesi. Da noi nessuno ha mai falsificato il bilancio dello stato, forse anche perchè il nostro cronico deficit è da tempo salvato e mantenuto da titoli di stato acquistati soprattutto da banche tedesche ed europee.
Anche Confindustria, per voce della Sig.ra Marcegaglia, aveva più volte richiesto delle riforme strutturali, indicando però, solo come male principale, le pensioni di anzianità, le poche privatizzazioni e in egual misura il costo del lavoro e della politica. Enunciazioni queste che ben stavano nel teatrino della politica nazionale, altalenante tra opposizione e governo.
La signora di Confindustria, infatti, ha atteso con pazienza il programma sulla riforma del lavoro del ministro Sacconi che, dopo aver delegittimato la CGIL, anche con l'aiuto dell'amministratore delegato della Fiat Dott. Marchionne, ha serrato il colpo definitivo ai diritti dei lavoratori.
Un attesa di richiesta di dimissioni del governo ben ripagata, dato che la manovra ormai necessaria varata in agosto e in settembre, è andata proprio nella direzione che la Presidente della Confindustria sperava.
Infatti si è ritoccata la manovra delle pensioni anticipandola, si è delegittimato il contratto nazionale e quello di secondo livello, grazie all'approvazione dell'articolo 8 della manovra finanziaria, e si è evitata una patrimoniale trovando le risorse necessarie con l'innalzamento dell'IVA. Una differenza di valore che anche i più assopiti dei nostri concittadini sanno che colpirà soprattutto i clienti finali e non le imprese che per la maggior parte, soprattutto se esportano, non verseranno mai.
Certo, questo governo non ha presentato un serio piano delle privatizzazioni, ostacolato anche dalla vittoria del referendum dell'acqua o della riduzione del costo della politica ma non si può poi avere tutto in così breve tempo. Del resto è anche grazie a Confindustria se ci troviamo in un paese dove il gioco delle lobbys la fa da padrone.
Pare però che nonostante siano state approvate due manovre in due mesi, sia necessario un ulteriore aggiornamento e che a breve bisognerà mettere mano al portafogli di qualcuno. Il rischio stavolta di una patrimoniale, diventa forte anche perchè un ulteriore tassazione dei ceti meno abbienti potrebbe provocare reale stagnazione dei consumi e forte recessione.
Ecco allora la rincorsa a urgenti ripari: questo governo se ne deve andare.
“O le riforme o via il governo” tuona la Dott.sa Marcegaglia anche per voce del suo quotidiano e Radio 24. E' necessario, a breve, un governo di larghe intese che comprenda anche l'appoggio dell'opposizione e dei tre principali sindacati. Anche perchè eventuali scontri di piazza potrebbero provocare ulteriore instabilità finanziaria e giudizi ulteriormente negativi di rating.
Non si può certamente dire che lo staff di Confindustria non abbia giocato in questi ultimi mesi una partita importante e con ottimi risultati. E' soprattutto riuscita a ottenere la distruzione del contratto nazionale attaccandolo da due fronti: con il governo e con l'accordo del 26 giugno firmato anche dalla segretaria CGIL Camusso, una firma che consentirà a Marchionne di rimanere in Confindustria, sempre che vorrà veramente continuare a produrre autovetture, e rimettere al proprio tavolo per “un alternativa in amor di patria”, la CGIL CISL e UIL,  Partito Democratico e opposizione di centro.
Questa è ancora una partita tutta da giocare soprattutto perchè esistono ancora due variabili incontrollabili e una imprevedibile. La prima rappresentata dalla Lega Nord e dalla minoranza radicale e sindacale interna ed esterna alla CGIL e l'altra da una “piazza antipartitica ed eterogenea” sempre più avvilita e stanca.

26/09/11


HABEMUS QUORUM
di Boris


Un risultato inaspettato senza ombra di dubbio. Il lavoro svolto in questo lungo anno ed in particolare in questi ultimi tre mesi hanno per una volta dato il risultato sperato.
Per la prima volta il messaggio “porta a porta” e la rete ha consentito di contrastare il blackout mediatico spalmato su tutti i periodici televisivi e cartacei. Una sorta di legale omertà, la cui parola d’ordine era impedire che i cittadini comprendessero la natura dei quesiti e il loro valore sociale, soprattutto in contrasto agli interessi economici delle più importanti lobby dell’acqua e del nucleare. Certamente a breve sarà divulgata la notizia, del tutta falsa, che il referendum ha avuto un ottimo risultato grazie al sostegno delle multinazionali del petrolio o da quei politici, come affermato dal presidente del “comitato per il NO” Oscar Giannino, che nelle municipalizzate vogliono piazzare i loro parenti o amici di partito.
Il dato però è certo, gli italiani hanno dato un chiaro messaggio al governo: non vogliamo queste leggi e non sono disposti ad accettare che il diritto all’accesso all’acqua, si trasformi in un bene di consumo e l’energia atomica, con i suoi derivati inquinanti, resti l’unica vera fonte di energia per le generazioni future.

Molti sono stati i tentativi di questo governo di far fallire il referendum, unico vero strumento diretto per tutti noi di intervenire sull’operato legislativo dei nostri politici. Dai ricorsi alla corte di cassazione, al decreto inventato solo ed esclusivamente per spostare la decisione sul nucleare a tempi futuri. Per non parlare della strana notizia diffusa alla stampa, alle 11.30 di lunedì mattina, dal ministro dell’interno Maroni sul raggiungimento del quorum. Un atteggiamento mai avvenuto in precedenza che ha dato tutta l’impressione di voler contenere la propria disfatta, trasmettendo ai cittadini l’inutilità di andare ulteriormente a votare sino alla chiusura dei seggi.
Non entro nel merito anche delle dichiarazioni rilasciate da Silvio Berlusconi a seggi ancora aperti e alla presenza del premier israeliano Benyamin Netanyahu perché sarebbe inutile anche perché certamente potrei essere accusato di aver interpretato faziosamente le sue dichiarazioni.

Non dimentichiamo che anche qualcun altro ha rischiato di farci perdere il referendum: il segretario Bersani e il suo braccio destro Letta che negli ultimi giorni hanno caricato di significato anti-berlusconi l’esito referendario, rischiando così di “far andare al mare” anche chi da destra ha riconosciuto il valore sociale di tali quesiti. Per fortuna la maggior parte degli italiani non ha ascoltato tale appello tranne ovviamente, e qui Bersani aveva ragione, la maggioranza che governa questo paese. E' stato, infatti, ridicolo osservare in tv, come a reti unificate, esponenti noti o lacché designati come Daniele Capezzone, continuare a negare il pericolo della crisi di governo e contemporaneamente cominciare crederci. Tanto da scuotere tutti i vertici delle correnti interne al Popolo della Libertà, come quella laziale inaugurata da Alemanno-Polverini, o quella degli “ex ministri” come On. Scaiola. Più evidente, perché maggiormente populista, il mormorio della base verso il gruppo dirigente della Lega Nord che riceve in un breve periodo, l’ennesimo schiaffo dei suoi elettori.

Forse la vincita dei referendum riuscirà ad aprire una nuova fase politica nel nostro paese, a cui anche la sinistra non dovrà sottrarsi. A partire dal Partito Democratico che dovrà spiegare come riuscirà a conciliare il suo appoggio ai referendum sull’acqua che provocheranno il mancato introito in bolletta per gli investimenti fatti dalle aziende municipalizzate privatizzate, e l’impegno a gestire e mantenere efficienti gli impianti concessi. Proprio e soprattutto in quelle regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna dove le privatizzazioni in questo settore sono le maggiori d’Italia.
Questa vittoria referendaria non è stata solo un risultato numericamente storico, dato il precedente, ma può rappresentare un importante momento civico per il nostro paese, lo start per rilanciare e provare a ricostruire una diffusa cultura dei beni e dei diritti comuni che il berlusconismo, con il dogma del profitto ad ogni costo e il libero mercato senza regole, con tanta ingordigia a cercato di espropriare.

14/6/11


UN VOTO FUORI CONTROLLO
di Boris

 

Questa è la sensazione che si percepisce nell'osservare il volto di Silvio Berlusconi dopo la sconfitta di Milano e Napoli. Un voto fuori controllo, libero di decidere e comunicare a questa maggioranza che la quotidianità dei cittadini, di quelli che hanno famiglia, una vita reale e creano la ricchezza di questo paese, non può andare avanti così.
Non esiste solo Milano o Napoli ma anche altri Comuni dove è stato confermato il Centro Sinistra o giunte azzurre, hanno lasciato il posto a coalizioni “di sinistra”. Unica eccezione la Calabria dove, in controtendenza, il cambio è stato favorevole al Premier. Una sconfitta che qualcuno a sinistra, ha superficialmente giustificato “come risposta a una forte mobilitazione degli uomini dell'’Ndrangheta” ma che in realtà nasconde soprattutto l'incapacità esplicita di una coalizione di sinistra ad essere incisiva e propositiva in quel territorio. Basti guardare al risultato di Crotone.
Forse a Milano come a Napoli, realtà estremamente diverse tra loro, si è interrotto l'ormai ultra decennale rapporto populista con il potere. Non si intravede certamente una crescita e un'alternativa alla cultura berlusconiana che ancora attanaglia la vita dei cittadini del nostro paese ma un segnale comincia ad esserci e negativo sarebbe accettarlo come un trionfo della politica alternativa. Quello che invece, dobbiamo cominciare a comprendere che è giunto il momento di dare un senso alla politica, a riempire di contenuti quello che con tanta feroce critica abbiamo provato, anche con questo voto, ad abbattere.
A Milano, Pisapia ha vinto contro ogni previsione, anche se in gioco vi era il controllo sul futuro di una città che vuole e ha bisogno dell'Expò, avvenimento con uno spaventoso giro d'affari, già in ritardo a causa di un mal governo e di infiltrazioni mafiose già denunciate per la gestione delle aree e appalti di costruzione. Un candidato che ha vinto nonostante il controllo silenzioso, capillare ed efficace, delle Compagnie delle Opere e del suo leader Formigoni, di importanti cariche istituzionali e amministrative.
Non sarà facile governare nella città del “Bossi di governo” ora in opposizione e con una base leghista amareggiata e irritata per la perdita dell'obiettivo federalista in nome della difesa degli interessi del  magnate italiano dell'informazione e dello spettacolo. Come non sarà facile per De Magistris governare Napoli, una tra le città più belle del nostro paese, da troppo tempo soffocata dai rifiuti e prigioniera di una Camorra che anche se braccata, non ha nessun interesse, per il momento, ad accettare la perdita del dominio su quel territorio. Una sfida questa a cui De Magistris non si è sottratto assumendosi anche delle responsabilità, in quella terra alternative ad entrambi gli schieramenti. In quel luogo dove il candidato del PD è praticamente scomparso al primo turno.
Una cosa è certa, entrambi i candidati hanno vinto per i contenuti del loro programma. A loro ora, la capacità e l'augurio di riuscire a ricostruire e rilanciare la speranza ai cittadini di entrambi gli schieramenti, che un alternativa creativa e costruttiva è ancora possibile.

1/6/11

 


PACIFISMO LEGHISTA
di Boris


In questi anni hanno cercato di venderci come normalità, la “guerra umanitaria” con bombe intelligenti, l'esportazione della democrazia a mezzo torture e incarcerazioni preventive e i contractors privati con licenza di uccidere come risposta virile alla disoccupazione. Ora è la volta dell'intervento di guerra “a tempo determinato”. Una sorta di precarietà, di contratto a termine e flessibilità applicata in campo geopolitico militare. Una straordinaria trovata politica leghista e berlusconiana che consente di mantenere in saldo il governo, accontentare il povero popolo leghista in preda al pericolo invasione barbarica e rispettare gli accordi NATO da tempo sottoscritti.
Ma sino a qui nulla di nuovo. Questo paese, purtroppo, si è ormai abituato a un presidente del consiglio “proprietario” del parlamento che con contrattazioni istituzionali e nomine personalizzate riesce a mantenere stabile il suo governo. Noi, invece, non possiamo restare passivi nel sentire stravolgere, dai membri parlamentari della Lega Nord, termini il cui insindacabile valore è da tempo accertato. Sentir utilizzare parole come Umanità, Sacrificio e “rispetto in difesa del popolo Libico” con il solo obiettivo di evitare di aver ulteriori profughi diretti verso il nostro paese, non può che nausearci.
Se i leghisti e il suo popolo fossero davvero così preoccupati per le donne e i bambini libici , come mai non hanno dimostrato la stessa sensibilità con il popolo afghano o iracheno? Forse perchè sono tutti integralisti e terroristi?
Se davvero quei principi esaltati ed espressi con tanta superficialità nella mozione presentata in parlamento contro l'accordo stilato con i francesi e a favore di una nostra partecipazione alla guerra di Libia con “impegno a tempo determinato”, come mai nessuno di quel partito e di quello schieramento politico si è mobilitato contro il regime di Gheddafi ? Il prezzo era forse l’approvazione della riforma federalista che nulla ha a che fare con la vera autonomia fiscale ed economica regionale?
Mai se si è sempre pensato che quei popoli andrebbero aiutati a “casa loro”, come mai nessuno leghista, durante l'amicizia con il Rais di Tripoli, si è minimamente preoccupato della fine che facevano quei  bambini, quegli uomini e quelle donne violentati e imprigionati per anni nelle carceri libiche? Come mai non hanno urlato allo scandalo per i costi sopportati dal nostro popolo donati al governo libico per trasportare e in container e a volte abbandonare nel deserto i rifugiati politici provenienti dall'Africa del sud Sahara?
La verità è che i suoi dirigenti sono sempre quelli che  avrebbero mitragliato le navi degli immigrati o  impallinato puzzolenti “bingo bongo”; gli stessi che disinfettano i treni a causa delle “negre che portano malattie”.  
Anna Finocchiaro sul sito della Sinistra Riformista “La Rosa Rossa”, ha giustamente scritto che alla Lega della Libia non importa nulla e su questa vicenda parlamentare delle mozioni sta giocando una partita tutta interna alla maggioranza, per misurare il proprio potere “… vuole solo sfruttare la vicenda libica in chiave elettorale, cercando di convogliare sulla propria posizione il malcontento di una parte dell'elettorato di centrodestra”.
Speriamo che già a partire da questa tornata elettorale amministrativa, questo non avvenga, anche se consapevolmente ho molti dubbi in merito.

10/05/2011


CONFLITTO D'ATTRIBUZIONE: UN ATTO EVERSIVO

 di Boris

 
 Il 5 aprile la Camera ha approvato con 12 voti di scarto il “conflitto d'attribuzione” contro il rinvio a giudizio del premier Berlusconi. Una delibera che insieme alla proposta del “processo breve” e al nuovo “processo lungo” che consente alla difesa di presentare un numero infinito di testimoni, non servono al paese ma hanno solo lo scopo di tutelare il premier ed impedire alla giustizia di procedere secondo legge.
In particolare l'approvazione del “conflitto d'attribuzione” consente al premier di poter sfruttare una norma costituzionale che trasferisce la competenza, sul suo possibile reato, dal tribunale di Milano al tribunale dei ministri. Questo può essere ottenuto solo se si sostiene, come è scandalosamente avvenuto, che i reati commessi dal presidente del consiglio sono avvenuti nell'esercizio delle sue funzioni di governo.
Scandaloso è, infatti, proprio il comportamento dei deputati della maggioranza che hanno sostenuto senza vergogna che “Ruby rubacuori” era in quel momento, per l'onorevole Berlusconi, una maggiorenne nipote di Mubarak e che il reato, sempre ammesso che sia accaduto, sarebbe avvenuto nell'esercizio delle sue funzioni.
 

In pratica con l'esito positivo di quella votazione, si è sostenuto che i giudici milanesi hanno di fatto agito privando il parlamento di decidere sull'operato del premier. Un atto dovuto, sempre secondo loro, per impedire l'ennesima ingerenza dei giudici. Impedire un atto sovversivo e pericoloso per la sicurezza e stabilità stessa del Governo.

Giusto il contrario di quanto in realtà sta avvenendo, soprattutto in un paese Italia dove costituzionalmente si è definita fondamentale l'autonomia dei giudici rispetto al parlamento. Una netta e necessaria divisione tra potere legislativo e giudiziario che ha il compito fondamentale di garantire il rispetto delle leggi approvate dal parlamento secondo i dettati della costituzione, ed impedire contemporaneamente che qualsiasi maggioranza parlamentare, in nome del “popolo sovrano”, possa modificare l'attuale ordinamento istituzionale.

Se abusi della magistratura sono avvenuti, e in senso al termine filosofico di giustizia la loro strada non brilla certo in coerenza, è perché esistono leggi che permettono che ciò avvenga. Leggi che volutamente sono state scritte ed emanate dai politici, in modo da lasciare spazio a possibili e diverse interpretazioni, soprattutto se l'imputato è benestante o di potere e può permettersi avvocati degni delle loro parcelle. Questo è il vero limite della nostro sistema giudiziario.Di fronte alla giustizia dovremmo essere tutti uguali, ma nei fatti questo non avviene. Chi non può permettersi avvocati “immanicati” con il potere, deve accettare ciò che la legge prevede senza possibilità d'intervento. Senza possibilità di ottenere una giusta pena.

Cosa succederà ora? Come riuscirà Silvio Berlusconi ad evitare un regale processo?Innanzitutto si dovrà aspettare che la corte costituzionale si pronunci su come si dovrà procedere nei confronti di Silvio Berlusconi e di una parte dei suoi collaboratori. Un passaggio questo che non impedirà al tribunale di Milano di sospendere il procedimento aperto nei suoi confronti o la possibilità di procedere sino alla pronuncia della corte costituzionale ma, di fatto impedirà agli italiani di sapere la verità su quelle sere. Se questi fatti sono reali o costruiti ad arte per attaccare il Premier. In questo modo si otterrebbe anche la possibilità di strumentalizzare questi “attacchi” usandoli come ottima arma di offesa e di ulteriore possibile stabilità politica. Parlo di rielezione di questa maggioranza senza la conclusione dei suoi processi perché è inutile nasconderlo, alla Corte Costituzionale occorrerà molto tempo per considerare questo procedimento a carico del premier e la sentenza non potrà arrivare prima della conclusione della sua legislatura. Anche perché oggi sono talmente tanti gli strumenti a disposizione del premier per guadagnare tempo: uno tra tutti quello di utilizzare, più di come abbia già fatto, la sua maggioranza per far approvare altre leggi che blocchino i procedimenti a suo carico. Non importa se sono, magari consapevolmente anticostituzionali, tanto per ottenere l'incostituzionalità possono passare anche anni.

Il vero atto sovversivo a cui tutti i democratici dovrebbero prestare attenzione è in realtà la proposta avanzata dalla maggioranza che prevede la modifica dell'ordinamento della Corte Costituzionale. Ultimo strumento rimasto che tuteli l'applicazione della Costituzione.

La proposta è stata stilata basandosi sul principio da sempre enunciato dal Premier secondo cui non si riuscirebbe a governare a causa della bocciatura per incostituzionalità delle leggi emanate dal suo governo. Per impedire questo, si prevede di modificare le modalità con cui si esprime la Corte, portando la maggioranza dei giudici giudicanti l'incostituzionalità ai 2/3 dei componenti esistenti. In questo modo si violerebbero due principi: il primo, che spetta alla Corte Costituzionale definire se le leggi sono giuste e il secondo, la trasformerebbe in un organo politico e non giudicante, consentendo così a una minoranza,  di determinare la costituzionalità di una legge. Per esempio: con 5 giudici costituzionali a favore e 9 contrari la legge passerebbe. Non come oggi che viene deciso a maggioranza dei giudici votanti e il voto del presidente, nel caso di parità, rimane vincolante per il risultato finale.
 

Bisogna ricordare agli illustri parlamentari della maggioranza che solo il parlamento può abrogare le leggi. La corte costituzionale può solo respingerle motivandole, solo quando sono in contrasto con la costituzione. Questo non lo sostiene un gruppo di giudici sovversivi ma Gustavo Zagrebelsky riconosciuto costituzionalista ed ex presidente della corte costituzionale.

11 aprile 2011


GIOCHI DI PALAZZO
di Boris


Senato: 162 SI, 135 NO, 11 Astenuti (10 finiani) – respinta!
Camera: 311 SI, 314 NO, – respinta!

Quello che che è avvenuto il 14 dicembre 2010, sarà ricordati negli annali della storia del nostro paese. Non solo per l'indecoroso spettacolo teletrasmesso dal parlamento dove i nostri deputati hanno dimostrato atteggiamenti ed azioni degni dei peggiori ultrà ma, anche per la spudorata sfacciataggine con cui si è esternata tutta la voglia di potere, per il potere.

Per decenza, nei giorni precedenti anche alla votazione, non abbiamo volutamente espresso pareri sulla semplicistica non che scandalosa chiusura del Parlamento; periodo in cui fiumi di parole e giochetti da bar, esprimevano la totale mancanza di rispetto per le nostre istituzioni.

La crisi di governo aperta dall'onorevole Fini e dal suo gruppo, giocata totalmente in chiave anti-Berlusconi, dopo alcuni giorni ha dimostrato alcuni limiti non solo strategici ma anche politici.
Dopo attente analisi e consultazioni, il Presidente della Camera, compresa la mancanza numerica dei deputati “contro” e la “buona sorte” che ancora godeva in seno alle Camere il buon Silvio, ha pensato di inoltrare richiesta di accordo. Attraverso Letta, non si è più chiesta la testa del Presidente del Consiglio servita su un vassoio d'argento ma uno straccio d'accordo per un Berlusconi Bis. Il tutto sorretto da un goffo tentativo di sostenere per il bene della patria, l'inventore della “finanza creativa”, Giulio Tremonti. Tentativo che ovviamente non poteva che fallire, non solo a causa della natura imperiale di Berlusconi e di Fini ma, anche per il possibile rifiuto di Tremonti, l'unico in futuro realmente sostenibile dal Centro Destra ed in particolare dalla Lega, per un possibile rimpasto di Governo Tecnico di Transizione.

Stupisce e fa male al nostro paese, sentire il buon onorevole nonché fedele Bocchino, sostenere e accusare con disinvoltura il suo governo di fare interessi di parte e leggi “ad personam”, di mancare di rispetto alla dignità degli stranieri e dell'incapacità di rilanciare il nostro paese per uscire dall'incombente crisi economica. Affermazioni che non potevano far altro che esagitare ulteriormente gli animi di una piazza di giovani “non stupidi”, insultati e schiaffeggiati da tempo con riforme della scuola “per ricchi” e leggi sulla tutela del lavoro da medioevo.
Fa oltremodo male però, vedere una piazza che distrugge ed attacca le istituzioni del nostro paese. Sbagliato, nonostante queste abbiano ormai da tempo dimostrato di contenere non uomini politici ma solo membri di consigli d'amministrazione di lobbis nazionale, estere o di dubbia provenienza. Un azione che si è prestata a facili strumentalizzazioni di varia natura come i soliti “infiltrarti politicizzati e violenti”, tra pacifici studenti o veri Black-Bloc, uguali in ogni nazione: in Italia come in Grecia. Meglio chiamarli tutti così senza comprenderne la vera natura, perché per il potere di qualunque colore, il popolo non si ribella mai perché trattato come suddito, ma perché terrorista o sobillatore. A Genova nel 2001 come a Roma nel 2010.

Bene hanno fatto poi gli studenti ad appellarsi al Presidente della Repubblica, oggi rimasto purtroppo unico vero garante istituzionale della democrazia del nostro paese. Una fiducia contraccambiata con il discorso di fine anno che metteva tutti in guardia su quanto sta accadendo in particolare ai giovani in Italia. Non so quanto queste parole possano ottenere il risultato sperato, visto i precedenti, ma solo il fatto che sia stato citato evidenzia ancor più l'emergenza che soprattutto questo governo e questa classe politica-economica non comprende o sottovalutata appositamente. Un emergenza non affrontabile, causa pericolose reazioni, ne con la repressione, come l'ultimo attacco violento delle forze dell'ordine condotto nei confronti dei pastori sardi appena sbarcati a Civitavecchia, o con accordi di lavoro indecorosi e fuori legge strutturati come quelli di Fiat Pomigliano o Mirafiori.

In questi giorni dunque, è nato il Terzo Polo degli sconfitti e dei disperati: Fini, Rutelli e Lombardo, tutti a scuola da quel buon Democristiano di Casini che insegnerà loro come un “coordinamento parlamentare unitario” riesce a controllare una maggioranza che non esiste più di cui Berlusconi farebbe bene a prenderne atto anche per il possibile agguato della Lega.
Un nuovo Polo che per questo dovrà attuare, nei prossimi mesi, una politica di scambio con l'attuale governo, se vuole veramente modificare la legge elettorale. Senza questo intervento, ad aprile non potrà certamente vincere le elezioni contro il nuovo partito di Berlusconi dal forse emblematico nome “Popolare” o contro la Lega Nord, l'unica ad uscirne pulita e rafforzata da questo trambusto. L'unica determinata a raggiungere il suo programma federalista. Costi quel che costi.

03/1/11


IL PdL DI MODENA SU IMMIGRAZIONE:
“TRADIZIONI CULTURALI BARBARE”

di Enrico Gatti

Il 7 ottobre 2010, viene presentato in consiglio comunale a Modena un documento sottoscritto dagli esponenti del centro destra in cui si prende in esame il problema immigrazione.
I consiglieri Morandi, Pellacani, Vecchi e l’intero gruppo PDL rilanciano la dura lotta agli stranieri sfruttando scolasticamente l’eco emozionale legato all’omicidio avvenuto a Novi tra i membri di una famiglia musulmana.
Il documento denuncia l’episodio che ha “suscitato orrore e rabbia nei confronti di costoro che si comportano come animali”, critica duramente un “multiculturalismo senza controllo e senza regole” causa di “un forte malessere sociale” e sottolinea come “
queste tradizioni culturali sono barbare e devono essere combattute nel mondo globale, ma anche e soprattutto a casa nostra”.
Ciò che emerge fin dalle prime righe è a mio avviso una logica sbagliata che mal definisce il concetto di multiculturalismo. Quello a cui si fa riferimento nell’ordine del giorno è identificabile piuttosto con la paura di un relativismo culturale che metta in crisi la nostra società. A questo proposito trovo particolarmente interessanti le posizioni di  Allan Bloom che, nel suo La chiusura della mente americana, parte dal concetto di etnocentrismo arrivando a definire dannoso per la società un modello basato proprio sul relativismo culturale. Bloom afferma che ogni cultura è inevitabilmente etnocentrica. Risulta quindi necessario per tutte le società ritenersi migliori delle altre al fine di valorizzare i modelli di comportamento costituiti per il bene della società stessa. In presenza di un relativismo culturale, che nega l’esistenza di verità assolute, si arriverebbe al completo nichilismo di valori e principi su cui poggia l’esistenza della comunità.
Secondo questo approccio sembrerebbe dunque impossibile una convivenza di due o più culture differenti e quindi assurda anche l’ipotesi di una società multietnica.
Una via di uscita si può ricercare nel modello multiculturale. Il termine multiculturalismo, infatti, fa riferimento ad una società  ideale dove più culture possono convivere rispettandosi reciprocamente. Considerato l’etnocentrismo come inevitabile fattore per la sopravvivenza della cultura, risulta perciò impossibile sia sperare in una fusione delle varie culture, sia prevedere una convivenza con l’eliminazione di una della due.
Ecco dunque l’importanza di un dialogo culturale basato sulla comprensione, e non sulla contaminazione.
Wallace, nel suo discorso per il conferimento delle lauree tenuto al Kenyon College nel Maggio del 2005, definisce la vera cultura come la libertà di decidere in che modo vedere le cose. Riuscire a pensare per un attimo in modo diverso da quello che dovremmo pensare in quella situazione; immedesimarsi nell’altro per comprendere i motivi delle sue azioni. Ritengo questo l’unico modo per garantire la vera convivenza, basata su un dialogo che permette il confronto e l’accettazione del diverso nel pieno della propria identità. Detto ciò, l’attenzione si sposta ora sulla società che accoglie, e sulla solidità della sua identità con l’incognita di poter giocare alla pari in questo confronto. Forse una società che perde i suoi riferimenti, sociali e morali, è anche più debole nel dialogo con le altre culture che diventano infine una vera e propria minaccia. Ma questa è un’altra storia.
Ritornando al documento, la semplicità di approccio ad un problema così serio risulta politicante scorretta e poco credibile. La diversità culturale non potrà mai essere considerata reato. Reati sono quelli previsti dalla legge e valgono per tutti i cittadini della comunità, stranieri e non.
Ecco la seconda trappola in cui si cade spesso. Come i consiglieri hanno dimostrato, c’è la tendenza ad indignarsi maggiormente per la causa del delitto che non per il gesto criminale. Il reato rimane l’omicidio, indipendentemente dal movente e se la giustizia funziona verrà punito di conseguenza, senza bisogno dell’aggravante ideologica. E’ più grave un omicidio per richiesta di indipendenza o per lite amorosa o per denaro? E qual è la frequenza dei secondi rispetto ai primi?
Imbarazzante inoltre il passaggio che identifica i matrimoni combinati come simbolo di barbarie della cultura musulmana: “
l’imposizione dei matrimoni combinati, nel principio che sono i padri a scegliere i mariti senza alcun rispetto delle figlie che vorrebbero per legge
naturale accompagnarsi all’uomo che amano
”. Abbastanza rischioso considerate le abitudini coniugali italiane fino a trent’anni fa, soprattutto nel meridione. A ulteriore conferma dell’etnocentrismo sopracitato è il riferimento alla legge naturale, definibile tale solo da un determinato punto di vista ritenuto in partenza superiore agli altri. In natura l’unica legge, è che non c’è una legge.
In conclusione arrivano a gran voce le soluzioni che i signori in questione ritengono così costruttive da doverle porre all’attenzione dei cittadini. Peccato che abbiano applicabilità alla pari dell’idea di cementificare l’intero oceano pacifico per prevenire gli tsunami. Si legge di tutto, dall’obbligatorietà dei corsi di italiano e costituzione con tanto di esame finale e monitoraggio periodico, all’espulsione dai confini territoriali del comune.
Tutto sommato un altro bell’esempio di politica intestinale. Emozioni facili a rapida presa, slogan dozzinali, provvedimenti spudorati senza nemmeno una parvenza formale di utilità. L’immagine migliore di una propaganda incolta che richiama, senza vergognarsene, paragoni poco gratificanti con teste calve e pronunciate mascelle.
Chi si indigna alla fine sono sempre i soliti e forse sempre qualcuno in più.

 Testo completo del documento presentato.

 


UN GOVERNO ALLA DERIVA
di Boris


Tra case nascoste ad Antigua e appartamenti vista mare a Montecarlo, l'Italia del popolo affonda le sue preoccupazioni. Come se la manifestazione dei Metalmeccanici, il problema dei rifiuti di Terzigno, di una scuola che si vergogna a dichiarare bancarotta e un premier che chiede alla questura di Milano di far liberare la falsa nipote di Mubarak, fossero solo una parentesi, un momento di disequilibrio di questo governo, in un percorso sino ad oggi limpido e senza intoppi. Sembra, infatti difficile, in particolar modo per le nostre tv nazionali, comprendere e provare a far comprendere,  come sia possibile rilanciare il “paese Italia” ricco della sua secolare genialità tecnica e letteraria.

Governo, opposizione e lobbies  vecchie e nuove, sotto i nostri occhi, come in un oscuro gioco al massacro, stanno gareggiando in una partita importante e fondamentale, non tanto per la nostra nazione ma per la rivendicazione reale di potere e controllo di singole realtà economiche.

E' infatti, forse dall'unità d'Italia, cento cinquant'anni  proprio quest'anno, che mai si è giocata una partita tanto ardua quanto pericolosa. Un vero e proprio scontro di stampo feudale, una lotta tra classi economiche localistiche ed oligarchiche, tra organizzazioni malavitose ed oneste, tra nord e sud del paese. Non più tutti insieme amorevolmente, ma divisi animatamente.

Non è infatti un caso se anche l'uomo per eccellenza della Fiat, l'ex presidente di Confindustria, l'ex responsabile dell'organizzazione dei mondiali di calcio, ex presidente di ente fiere Bologna ed attuale Direttore della Ferrari nonché fondatore del movimento”Italia Futura”, ha deciso di provare, con suoi papabili candidati,  la strada della politica per la prossima elezione del sindaco di Napoli.


Un test in previsione di una vera e propria lista e partito da presentare su scala nazionale?  

Non mi stupirebbe anche perchè il progetto Montezemolo è molto più vicino a quello proposto da Gianfranco Fini che a quello traballante del buon Bersani, sospeso tra l'onorevole Casini e Nichi Vendola. Una per ora distanza ed antipatia, nei confronti del Partito Democratico, mantenuta non solo  per puro retaggio anticomunista ma anche per l'assenza di una seria progettualità futura. Anche perchè non si può essere rappresentanti di tutti ed interpreti di nessuno.


Cos'ha allora, scatenato l'offensiva contro il Presidente Berlusconi e l'abnegazione di tutto quello con forza è stato sino ad oggi sostenuto dall'onorevole Fini? Come può il “compagno” Fini, criticare e definire ingiusta una legge scritta appositamente contro gli immigrati che porta anche il suo nome (Bossi-Fini)? E ancora: com'è possibile ergersi a difensore della legalità e rappresentante degli “onesti”, votando poi in parlamento contro la possibilità da parte dei giudici d'indagare senza interferenze contro l'ex ministro della Lega Nord, Lunardi o Cosentino, del PdL, indagato per connubio con ambienti camorristi?

Non credo sia solo e semplice opportunismo personale ma anche la capacità di comprendere che Silvio Berlusconi e la sua cricca, non hanno fatto altro in questi anni che curare i propri interessi, a pensare al paese Italia non come ad un luogo di tutti ma esclusivo di alcuni: i suoi fedeli.

Ben altro era stato chiesto a quella coalizione nata con lo scioglimento di Alleanza Nazionale.


L'Onorevole Fini lo sapeva benissimo che era necessario rappresentare e difendere al meglio dalla crisi, quella parte economica oligarchica del nostro paese che da diversi lustri, dominano economicamente il nostro paese. Gli stessi che, di fronte alla progressiva avanzata verso il centro d'Italia della Lega, non vedono di buon auspicio la possibilità che venga approvata una fiscalità regionale federalista di stampo Leghista.

Hanno di fatto ben presente e compreso che la Lega Nord, da arrogante partito provinciale e fenomeno da baraccone, si è trasformato e ha cominciato a radicarsi anche in importanti strati economici locali. E' bastato assistere a quanto avvenuto con la questione UNICREDIT dove è stato allontanato dopo 12 anni il suo presidente ….............a causa della sua visione transnazionale e all'entrata in proprietà della Banca Libica. Una maturità politico economica che ha evidenziato non solo la natura reale pericolosamente secessionista di questo partito ma anche un possibile asse di ferro che lega Bossi al ministro Tremonti e al presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Uomo del PdL certamente votato dal popolo lombardo ma che in questi anni è riuscito a rendersi potente ed indipendente dalle volontà del suo Presidente del Consiglio grazie alla realizzazione di  una fitta rete di responsabili, dirigenti e funzionari amministrativi che conducono alla Compagnia delle Opere. A questi signori non interessa nulla dell'Italia in quanto nazione. Mafiosi e faccendieri di ogni sorta possono pure comprarsela a pezzi, l'importante è che sia approvata al più presto la riforma federalista. Costi quel che costi. E non è un caso se in nome di questo principio, i deputati e senatori leghisti si siano opposti alla proposta di risarcimento dei proventi rubati dall'ex ministro della sanità De Lorenzo, o che gli imprenditori del vicentino dopo le alluvioni di questi ultimi giorni, rilascino esplicite dichiarazioni di non pagare le tasse dovute, se non arriveranno presto altri aiuti economici.

Basti ricordare la soddisfazione dei Leghisti all'uscita dall'ultimo consiglio dei ministri, dopo l'accordo siglato in chiave anti_Fini, per il proseguimento della legislatura, l'approvazione della legge federalista e per andare alle urne anticipate in caso di “cattivi scherzi finiani”. Obiettivo: l'eliminazione della “Roma ladrona” e l'indipendenza per ora solo economica del Nord, come chiara risposta ai suoi crescenti elettori emiliano-romagnoli e toscani. Una crescita nelle ultime elezioni, che ha ancor più galvanizzato il Senatur e gli ha concesso uno spazio, non solo mediatico, per poter esprimere consigli al Cavaliere affinchè allontanasse l'Onorevole Fini dalla  coalizione. Non è stato infatti, un caso ma una necessità, la volontà di acclamare da parte di Maroni e poi dal Ministro Calderoli, nuove elezioni all'atto della momentanea riappacificazione dei due litiganti, allarme rientrato solo dopo la rassicurazione del proseguimento del loro progetto federalista.

In questo contesto Gianfranco Fini con il suo movimento sa che non è ancora pronto a costruire nuove coalizioni e ad affrontare questa sfida contro il Cavaliere e la Lega al Nord e per questo ha dato mandato ai suoi delfini in parlamento, di votare anche l'ultimissimo e tanto precedentemente contestato, Lodo Alfano.

 

La stabilità politica non è più una garanzia al pericolo di una possibile recisione dei legami economici che da tempo hanno dominato questa nazione. Nuovi possibili scenari politici ed aggregativi sono oggi necessari soprattutto alla luce degli ultimi fatti di cronaca che hanno coinvolto il premier, l'offensiva del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, sulla paralisi dell'economia e il soffocamento delle aziende italiane e ultima, la denuncia del Direttore della Banca d'Italia, Draghi, sul pericolo paralisi paese ed espulsione dal mondo economico e produttivo dei giovani italiani. Il presidente della Camera Fini ieri a Perugia nel decretare la nascita del suo partito, Futuro e Libertà, l’ha detto: “Berlusconi vada al Quirinale e si dimetta”.
La grande famiglia degli anti-Berlusconi di destra e di sinistra, è pronta e sanno benissimo però di rappresentare lobby che poco hanno in comune tra loro. Solo un obiettivo potrebbe unirli: cambiare l'attuale legge elettorale altrimenti nulla e nessuno potrà fermate l'asse Lega-Berlusconi ancora forte negli strati più diversi del popolo italiano.
Una nuova legge elettorale e un possibile Governo Tecnico, potrebbe aiutare a scardinare l'attuale capo del Governo, ma siamo proprio sicuri che questo popolo, che va ricordato per ben quattro tornate elettorali ha confermato l'attuale coalizione, comprenda tutto questo enunciato “bene per il paese”? Forse sarebbe più contento di votare una nuova coalizione di centro destra magari composta da Montezemolo, Casini, Fini e magari anche Rutelli e il suo gruppo.
Se così fosse, per la sinistra, nessuna speranza.
7/11/10


 

INTEGRAZIONE SCRITTA CON IL SANGUE
di Flavio Novara


Alcuni giorni fa Nosheen Butt, una ragazza pachistana residente a Novi di Modena, è stata ferita in modo grave dal padre Hamad Khan e dal fratello perchè rifiutava il matrimonio combinato con un connazionale. Pare un cugino. La madre accorsa in sua difesa e' stata a sua volta, uccisa con una pietra dal padre. Una questione di pura violenza familiare o totale e reale mancanza d'integrazione?

Il dibatto intorno a questo episodio di violenza si è subito scatenato lasciando emergere nei luoghi di lavoro come dai politici locali e nazionali, ogni diversa opinione. Come previsto, subito si è rincorsi ad accusare la religione islamica come causa principale di questa azione.

Certo il papà di  Nosheen aveva una moschea “abusiva”, come definita dal Consigliere regionale del Popolo della Libertà Andrea Leoni, già autore di numerose interrogazioni sul problema delle moschee non autorizzate “cui il Sindaco, pur sapendo, ha palesemente chiuso un occhio” ma, come racconta Mohammed Arif, vicino di casa, questa violenza ”non ha nessun legame con l’Islam. Nosheen non era obbligata a sposarsi. Il padre doveva lasciarla libera di decidere».

Quanto avvenuto a Novi e precedentemente a Brescia dove un altra ragazza era stata uccisa perchè non voleva lasciare il suo ragazzo italiano, identificano nella loro tragedia, una questione culturale e sociale da pendere seriamente in considerazione.  Non è come definito dai consiglieri Leoni o Manfredini della Lega Nord: “un episodio che conferma la drammatica diffusione, anche tra gli islamici apparentemente integrati nella nostra realtà, dell’ideologia integralista e del fanatismo religioso, di un modello culturale e sociale di matrice islamica totalmente incompatibile con la nostra società, che spesso vede nelle finte moschee un luogo di propaganda” ma, proprio il suo diretto contrario.
Com'è possibile non comprendere cosa ha significato per quelle donne, schierarsi contro una consuetudine, ad una prassi sociale, quello del matrimonio comandato, che affonda le sue radici, non nel Corano ma in una cultura profondamente differente dalla nostra. Una prassi sociale, che in passato è appartenuta anche alla cultura dei paesi a prevalenza cattolica, da cui siamo riusciti a liberaci con enorme sacrificio e grazie ad una vera rivoluzione culturale, liberale ed illuminista, nonostante la violenta reazione della santa inquisizione.
Non è stato facile liberarci dal giogo del dominio della chiesa che ancora oggi, tanto dispiace al nostro ordine ecclesiastico.
Quando gli esponenti di destra a gran voce acclamano alla mancata integrazione dovrebbero ricordare che quella madre si è fatta uccidere per difendere il volere della figlia. Altro sarebbe stato l'esito se fossero restati nel loro paese.
L'integrazione culturale non la si può ottenere attraverso un decreto legge che vieta l'utilizzo del velo o della costruzione di moschee, è un processo lento fatto di reciproca contaminazione. Di confronto continuo tra uomini diversi che senza pretese dominanti sappiano riconoscere il bene e il male presente in ogni cultura. Nessuna esclusa.
Come possiamo volgarmente definire tutti “islamici integralisti” solo perchè vestono diverso da noi o perchè hanno usi e costumi differenti dai nostri?
Come possiamo non comprendere che oggi, in particolare le seconde e le terze generazioni di quegli immigrati, non hanno più i medesimi riferimenti culturali. Non si sentono più del paese di origine dei propri avi e contemporaneamente non vengono accettati come “nazionali” dal paese in cui sono nati. Un atteggiamento questo che li costringerà irrimediabilmente, a rinchiudersi nei loro quartiere ghetto, pronti a difendersi e a rivendicare il diritto di poter vivere come tutti gli italiani onesti.
Gli altri, anche se di colore e lingua diversa o uguale alla nostra, hanno tutti la medesima faccia e come tali debbono essere trattati.
Per questo ritengo ancor più ipocrita l'atteggiamento del ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna che forse anche in calo di consensi, si è dichiarata parte civile nel processo contro i familiari di Nosheen. Una posizione volutamente strumentale e con finalità culturali razziste dato che il medesimo atteggiamento non è mai stato assunto nei confronti di tutte quelle donne italiane,  quattro donne al mese, che in questo paese muoiono aggredite da uomini bianchi e cristiani. E non basta a giustificarla, l'appello alla denuncia “perché l'Italia rifiuta e respinge con decisione qualunque forma di prevaricazione degli uomini sulle donne”.

Il nostro principale errore sta proprio è soprattutto credere che attraverso la religione mussulmana queste comunità, cerchino di cambiare i nostri sistemi. Se chiedono di costruire delle moschee nei nostri territori è forse proprio perchè in questo paese si trovano a loro agio e non hanno intenzione di andarsene. Una nazione la nostra, dove spesso, a differenza dei loro paesi d'origine, la libertà di culto e d'espressione dovrebbe essere tutelata.
Prima di assumere atteggiamenti e politiche di matrice razzista, “dovremmo innanzitutto comprendere e decidere -  come espresso da Tariq Ramadan islamologo svizzero - ciò che volgiamo proteggere delle nostre nazioni e culture. Soprattutto per quanto riguarda la democrazia e la divisione laica delle stato dalla religione”.  Una fondamentale divisione che è sempre pronta ad azzerarsi nel momento in cui strumentalmente è necessario alimentare la guerra contro il diverso e il più debole. Non ricordando, inoltre, che è stata proprio la mancata democrazia delle dittature laiche, che ha spesso costretto e condotto le nazioni arabe ad utilizzare la religione per alimentare una necessaria lotta di liberazione.

10/10/10


CASA POUND A MODENA?
di Flavio Novara


Egregio Sindaco Giorgio Pighi

sono a scriverle per un fatto grave che sta per accadere nella nostra città.
Dico nostra non per possessività qualunquista ma perché credo che lei come Sindaco e io come cittadino dobbiamo considerarla tale.

Quando agli inizi degli anni 90' fui incaricato dai cittadini della nostra città di svolgere il ruolo istituzionale  di consigliere comunale accettai questo ruolo con la consapevolezza e il dovere di partecipare attivamente allo sviluppo e alla tutela dei suoi cittadini. La stessa consapevolezza e senso del dovere che dovrebbe contraddistinguere chiunque decide di onorare il nostro paese fondato sui principi democratici rivendicati e conquistati grazie alla Resistenza partigiana. Gli stessi principi che hanno guidato, indipendentemente dal loro colore politico, i padri fondatori della nostra Repubblica a redigere la nostra carta Costituzione. Documento politico democratico istituzionale maggiormente copiato ed usato ad esempio nel mondo per la sua trasparenza e onniscenza.

Non starebbe a me ricordarle questo, perchè spero sia sempre presente nelle sue decisioni ma, vede in questi ultimi anni, questi principi sono stati progressivamente dimenticati o volutamente superati anche non senza la complicità delle cosiddette forze democratiche e in particolari delle forze politiche di sinistra. Un grave atteggiamento questo che ha lasciato facile spazio ad un revisionismo storico che ci ha progressivamente condotto sino ai nostri giorni. Giorni in cui anche in una città come Modena medaglia d'oro alla Resistenza un organizzazione come Casa Pound si può permettere, nel silenzio totale delle forze democratiche, di poter organizzare il 27 febbraio di quest'anno, un assemblea pubblica nelle strutture della circoscrizione centro storico. (sala Redecocca”

Vede, sono anni che seguo in tutt'Italia lo sviluppo di questa organizzazione. I suoi pensieri, le sue strutture organizzative e le sue iniziative. Un cancro che dalla capitale, e dalle sedi dell'ex MSI e della destra eversiva, ha cambiato forma e metodo di comunicazione che gli ha portato in pochi anni ad accreditarsi la fiducia proprio di quei giovani che poco di storia sanno e che del movimento fascista e del suo successivo regime assassino, ne colgono solo il valore di riconoscimento di un'identità nazionale. Un'identità che in realtà si basava essenzialmente sulla supremazia dell'uomo forte sul debole, sulla forza del dominio, sulla repressione di ogni dissenso e sul classificare gli uomini per razze. Alcune delle quali da sopprimere senza pietà.

Vede mi piacerebbe dirle che tutto questo è frutto della mia fantasia ma come altro modo si può giudicare un organizzazione che si definisce “fascista del terzo millennio perchè abbiamo le radici nell’idea sociale del fascismo e lo sguardo rivolto al futuro” o che si definisce «...un'associazione che si propone di sviluppare in maniera organica un progetto ed una struttura politica nuova, che proietti nel futuro il patrimonio ideale ed umano che il Fascismo italiano ha costruito con immenso sacrificio alla guida di un popolo oggi disorientato».  

La stessa organizzazione che organizza il 4 novembre 2008 l'irruzione negli studi Rai di via Teulada in Roma con l’obiettivo di raggiungere gli studi dove si registra «Chi l’ha visto?», il programma condotto da Federica Sciarelli che nella puntata del 3 novembre aveva mandato in onda le immagini degli scontri di piazza Navona.

Gli stessi che il 26 giugno 2009 organizza a Roma un convegno dal titolo “Mens sana in corpore sano -  Contributi storici all’igiene mentale/razziale da Freud ai giorni nostri”. Un convegno, definito dagli organizzatori: “….un escursus storico sul pensiero medico della salute mentale per riportare alla luce i contributi scientifici ed etici apportati nell’igiene mentale dalla civiltà fascista. Un viaggio revisionista tra le distorsioni storiche della psichiatria di sinistra che ci aiuterà a riscoprire il valore politico delle discipline della salute mentale e dell’eugenetica al servizio della patria”. Un chiaro intento revisionista e nostalgico sul tema della psichiatria e dell’eugenetica, utilizzata dal regime fascista per il “miglioramento della razza” che ha fortemente contribuito al progetto di persecuzione e sterminio di ebrei, portatori di handicap, rom e omosessuali ed oppositori.

Per questo sono a scriverle signor sindaco.
Per questo sono a chiederle d'intervenire affinché tale iniziativa sia vietata.

Proprio in rispetto di quei valori che hanno guidato la mobilitazione e la volontà democratica di tanti giovani che negli anni bui della dittatura fascista e della sua complicità con il regime nazista, hanno donato la propria vita.

Soprattutto all'interno di una struttura del comune erette e liberate solo grazie alla cacciata dei padri di quelle disastrose idee.  

Non so quale decisione prenderà in merito e spero che questa mia l'aiuti a comprendere meglio quello che sta accadendo. E per questo mi permetto di regalarle una mia inchiesta DVD “Ombre nere sul terzo millennio”, che sto portando in tutt'Italia nelle scuole e dove riesco, per rendere consapevoli chi resta ammaliato da “camuffi umanitari”e “vecchio” spacciato per rivoluzionario ed innovatore.  

Mi piacerebbe farlo anche nelle scuole modenesi ma per il momento non mi è ancora riuscito.

Vede sig. Sindaco, qui non si tratta di assumere un atteggiamento antidemocratico e repressivo nei confronti della libertà di pensiero. Si tratta di dimostrare la volontà di intervenire in modo radicale nei confronti di chi nulla ha che fare con la nostra Repubblica e con il diritto di cittadinanza da loro rivendicato. Italiani sono solo quelli che decidono di riconoscere la nostra Repubblica e non provano a minarla al suo interno riproponendo ciò che la storia del nostro paese avrebbe dovuto definitivamente sconfiggere.

Sono a disposizione se vuole parlarne personalmente.

Cordiali saluti


Il capitalismo durevole secondo Davos

 Di Paolo Gilardi

Il WFE (Forum economico mondiale) non è tenuto a prendere decisioni. «Il ruolo di Davos del resto non è quello di trovare soluzioni, ma di prepararne le basi», dice, molto a proposito, Patrick Odier, il presidente dei banchieri svizzeri.

 

Maestri di cerimonia

Per porle, queste basi, il Forum ha affidato la celebrazione della messa solenne a cinque maestri di cerimonia. Erano incaricati di aprire le sessioni plenarie che fanno da corollario ai pasti fastosi organizzati sera dopo sera dai diversi sponsor.

Le funzioni di questi personaggi chiamati ad officiare non lasciano dubbi quanto alle loro opzioni, a iniziare da Joseph «Jo» Ackermann della direzione della Deutsche Bank, la stessa che, nell’autunno 2008 ha trasferito oltre cento miliardi di euro dalle casse pubbliche a quelle, private, delle grandi banche tedesche.

Lo aiutano a svolgere il compito, Melinda Gates, moglie di Bill, l’indiano Azim Premij, il britannico Peter Sands, CIE di Standard Chartered Bank – banca attiva in oltre 70 Paesi e che impiega circa 73.000 salariati -, come anche gli statunitensi Ronald Williams e Patricia Woertz .

Azmi Premij è il direttore di Wipro Technologies Ltd, con base a Banglore. Opera nel campo delle tecnologie dell’informazione, ma non solo e impiega circa 100.000 salariati. In Francia è accusata di «sottrazione sociale di beni pubblici». Nel 2009, dopo aver beneficiato di un aiuto pubblico pari a 5,2 milioni di euro nel quadro del piano governativo di rilancio dell’economia, ha repentinamente e brutalmente chiuso il sito di Sophia-Antipolis, nelle Alpi marittime, condannando, in questo modo, alla disoccupazione una sessantina di salariati.

Un capitalismo…durevole

Ronald Williams è il DG d’AETNA Inc., impresa specializzata in tutto ciò che riguarda le assicurazioni e in particolare quelle sanitarie. A questo titolo, partecipa al capitale di numerose industrie farmaceutiche negli USA e ha succursali specializzate nel campo delle biotecnologie in Cina e in Giappone.

Infine, Patricia Woertz è presidente e direttrice generale di Archer Daniel Midland, società che investe nell’agro-combustibile e nella produzione agricola. Presente in una trentina di Paesi, tra cui Argentina, Brasile e Costa d’Avorio, ADM possiede 270 fabbriche specializzate in particolare nella trasformazione della soia e del cacao.

Condotti, quindi, da questi eminenti conoscitori dei propri interessi, i circa 2.500 partecipanti si sono impegnati a svolgere i propri compiti di questa quarantesima edizione del WEF, che consisteva «nel ripensare, ridisegnare e ricostruire la continuità del capitalismo»

Siccome il capitalismo è, per definizione, fondato sull’accumulazione e la messa in valore dei capitali privati, la domanda che si sono posti a Davos è semplicemente quella di sapere come continuare ad accumulare, sempre di più, sempre più a lungo.

Il passato recente avendo loro dimostrato che le spavalderie alla Sarkozy – e alla Obama – non durano che il tempo di un discorso, i leader autoproclamati di questo pianeta hanno gettato le basi di cui parlava Patrick Odier. Le soluzioni che ne risulteranno saranno quelle che dovrebbero, ancora e sempre, avvantaggiarli. Come fino ad ora.

L’accumulazione avverrà anche grazie all’estensione dei diritti delle multinazionali, sulla natura, sugli esseri viventi. Senza dimenticare il rafforzamento e l’estensione dell’appropriazione privata nel campo della salute e delle assicurazioni sanitarie. Questa è la loro maniera di assicurarsi i profitti.

Quanto alle perdite, vorranno ancora socializzarle, farcele pagare, come i 14.000 miliardi dei «piani di rilancio» che hanno attuato dopo l’autunno 2008.

Alla sessione del 30 gennaio, da Jo Ackermann a Dominique Strauss-Khan, tutti hanno in coro riaffermato: «certo, finalmente è arrivata la ripresa (…) ma allo stesso tempo sarà troppo debole per impedire l’aumento della disoccupazione». E’ sulla crescita, quella dei profitti e della disoccupazione che é fondato il capitalismo durevole!

Non aspettare i risultati

Anche quest’anno, le manifestazioni contro il WEF sono state limitate, criminalizzate. Quindi è nelle battaglie concrete contro le soluzioni che Davos genererà che sarà necessario manifestare.

Facendo leva anche su un progetto di rottura con il capitalismo, un progetto da costruire insieme. Il capitalismo potrà durare solo se lo si lascia fare.


SOLO UNA NOTTE DI MALESSERE?
di Tiziana Nicolini

Carissimi,
sempre più lontana dalla televisione sfrutto anche la vostra alkemia per mantenermi un po' aggiornata sul mondo.
Leggendo l'articolo di Mirca con la sua denuncia di un malessere generale, pensavo a quanta
evidente realtà  venga ignorata dalla gran parte delle persone che oltre alla triade apparire-potere-soldi sembrano essere legate dalla regola di fondo "non farsi mai domande".
Alla ormai cronica assenza di informazione sui fatti importanti, e allo spaccio di falsi problemi per
impegnare le chiacchiere da bar, sui mezzi di informazione nazionali non riesco a trovare una parvenza di senso logico alle informazioni. I fatti riportati sono del tutti privi di concretezza, e vengono sostituiti da discorsi ipotetici sul "cosa avrebbe dovuto" o del "cosa sarebbe stato", ma quasi mai i giornalisti si impegnano a legare due eventi per trovare una causa a un nuovo stato di cose. Quello che persiste è il rimanere affacciati alla finestra per descrivere dall'alto quello che succede in quel momento.
Ignorare le guerre o considerarle solo terrorismo è molto più comodo che tentare di analizzare fatti avvenuti in precedenza, anche in luoghi lontani non solo geograficamente, ma anche contestualmente.
Un esempio banale è presente già  nella struttura dei quotidiani che inseriscono le informazioni economiche a pagine di distanza, e senza i dettagli necessari per poter legare una multinazionale che sancisce un accordo in Sud America o al polo nord, con l'effettivo accordo che può interessare l'estrazione di minerali in Africa o il dirottamento di uno scalo commerciale verso l'Asia.
L'assenza degli approfondimenti mi ha sempre infastidito, ma quello che mi infastidisce ora sono l'assenza dei temi. Tra pacchi e grande fratello c'è chi rincorre un finto sogno sperando nella fortuna per usare una scorciatoia. Non ci si impegna più neanche per vincere dei soldi in televisione, perchè ci i dovrebbe impegnare per i diritti degli altri. Le guerre, i deboli, la democrazia, sono problemi non solo reali ma soprattutto complessi anche per chi ha le competenze necessarie...figuriamoci per chi non vuole partecipare neanche alla riunione di condominio.

Ma, perchè vi scrivo?!? Probabilmente per contraccambiare un po' di malessere e per testimoniare che oltre a voi che scrivete c'è anche qualcuno che vi legge.

p.s. secondo voi perchè la preoccupazione principale dei giornalisti sul caso della scarlattina del berlusca sembra essere "sulle conseguenze"?!? Perchè nessuno si pone il problema di come è avvenuto il contagio? In questo periodo di preoccupazione per la ricattabilità dei politici, perchè a me è venuto in mente il caso Mitrokhin e  i metodi di avvertimento in uso in altri tempi e altri luoghi e da altre persone? ...sto perdendo lucidità ... buonanotte.

13/11/2009


LETTERA APERTA SULLA SCUOLA A MODENA

Siamo genitori del 3°Circolo di Modena, con questa lettera vogliamo esprimere la nostra piena solidarietà alle insegnanti che,con apposita delibera del Collegio Docenti hanno deciso di continuare ad utilizzare le ore cosiddette di”compresenza”come negli altri anni, per garantire la qualità dell’offerta formativa della nostra scuola a Tempo Pieno.

Siamo ben consapevoli che, la mancata disponibilità delle maestre a fare le supplenti in quelle ore,metterà in grossa difficoltà la Direzione Didattica,che presto non sarà in grado di pagare le supplenti,perché le casse della scuola sono vuote. A fine ottobre sarebbero necessari 40.000€ per pagare le supplenti,ma nelle casse della scuola non ci sono.
LO STATO NON PAGA,E’ DEBITORE DI MIGLIAIA DI EURO NEI CONFRONTI DELLA NOSTRA,COME DI TUTTE LE SCUOLE PUBBLICHE (in media 200.000 euro).
Lo sappiamo molto bene, perché le insegnanti sono costrette a fare ricorso al nostro portafoglio di genitori e ai finanziamenti del Comune per fare fronte alle spese per il normale funzionamento della scuola. Già lo scorso anno le supplenze sono state pagate con la liquidità messa a disposizione dal Comune in base al Patto per la Scuola.
In questa situazione c’è chi,addirittura,come il Dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale vorrebbe che le scuole modenesi rinunciassero anche ai soldi provenienti dalle casse del Comune. Inoltre respingiamo il tentativo della Dirigente del nostro Circolo di utilizzare come supplenti le insegnanti d’appoggio,ogniqualvolta non sia presente il bambino disabile seguito,L’insegnante d’appoggio è una risorsa per tutta la classe. La legge 104 a questo proposito è molto chiara e precisa.

E’impossibile pretendere che le maestre lavorino,senza sapere quando saranno pagate. Lo stato non ha ancora pagato le insegnanti per attività che hanno già svolto lo scorso anno. Se non ci sono soldi per le maestre,e per la scuola pubblica in generale,chi garantisce il diritto allo studio dei nostri figli?La Gelmini sta svendendo la scuola pubblica.
I nostri figli non sono in saldo. Noi investiamo sul loro futuro.
Vogliamo la scuola migliore per loro, non una scuola dimezzata.

22 ottobre 2009


Lerner, Ginsborg, Lazar, Foot :
 il berlusconismo e la crisi della sinistra

Proposte di analisi storica alla Festa de l'Internazionale di Ferrara
Roberto Urso


Mentre a Roma erano - ed eravamo - in 300.000 a marciare silenziosamente tramando il "Golpe", noi eravamo a Ferrara, in tanti, a manifestare anche noi per la libertà d'informazione e per l'informazione in genere, sostenendo L'internazionale e la sua attività di divulgazione, moderata ma attiva. Su il Manifesto il resoconto-lettera del clima-Saviano; per noi la fila di Saviano era troppo lunga, e soprattutto l'organizzazione (pessima) ci ha impedito di usufruire di un bene comune come lo scrittore campano (in forse sino alla fine per problemi di sicurezza). Però non tutto è stato vano, e mentre a Roma marciavano i precari, i giornalisti e la gente comune, i sindacati e i lavoratori, Gad Lerner si proponeva mediatore di un dibattito a quattro con tre storici del calibro di Paul Ginsborg (inglese ora cittadino italiano alla faccia dei clandestini, autore del celeberrimo e consigliato Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi e professore di storia contemporanea all'Università di Firenze), Marc Lazar (francese storico e politologo, professore alla Sorbona e alla Luiss ed esperto di storia dei movimenti di sinistra) e John Foot (inglese, storico della memoria alla London University).
Il tema, come ha anticipato già su Repubblica lo stesso Lerner è : "L'Italia invertebrata: il successo di Berlusconi e la crisi della sinistra". Se questo è il tema, la domanda iniziale sorge spontanea: "COME MAI IN ITALIA VINCE BERLUSCONI?"
È davvero attuabile l'assioma interpretativo che rintraccia le responsabilità maggiori nella caduta dell'egemonia culturale della sinistra, limitata ormai ad una élite (la citazione è “brunettiana”?) estranea alle masse?
Lazar rincara la dose, perchè continuando con questo corso, l'immagine dell'Italia sta precipitando, e non è più paese privilegiato negli studi politici europei.
Ginsborg è più accademico: innanzitutto non bisogna generalizzare, perchè Berlusconi rimane inviso ad un 40% della popolazione che ben rispecchia lo stato attuale - ma endemico - dell'Italia, fortemente divisa a livello sociale, economico e politico, come dimostra la storia del recente passato, dalle contestazioni del '68 alle gabbie salariali; dalle bombe della destra alla nascita della lega, passando per l'efferatezza del terrorismo "rosso". E poi, c'è una questione ben più importante: l'Italia è storicamente un paese di centro-destra come l'Inghilterra; una vera e propria fortezza della destra moderata e cattolica che tale rimane nonostante i precedenti del PCI, che non fu mai forza di governo, anche per sue responsabilità. Proprio questa situazione obbliga allora a riflettere sulle qualità di questa nuova destra, la destra berlusconiana che ha abbandonato il sodalizio esplicito con la chiesa per concentrarsi sulla leva - ben più diffusa - del controllo massmediatico. Ma, complice la situazione internazionale fatta di spregio e derisione, gli studiosi di Berlusconi come autore di un modello governativo pericolosamente innovativo, non sono più presi sul serio, assieme alla situazione generale del nostro paese.

Controllo dei mass media = potere = orientamento della popolazione e dunque dell'elettorato. Questa è la tesi di Erik Gandini, autore di Videocracy; e questa è la tesi che riprendono i tre storici, presi all'amo da Lerner: Berlusconi ha vinto le elezioni - per la terza volta - dimostrando come in Italia si stia ancora verificando un cambiamento antropologico (la scomparsa delle classi sociali e del senso comune a favore di un insieme di piccolo-borghesi individualisti) e come ruolo molto importante sia quello giocato dalla crisi della sinistra.
Questione antropologica, dunque?
Il leader seduttore (utilizzatore finale) continua a ripetere con veemenza che «la maggioranza degli italiani vorrebbe essere come me». Torna allora la domanda classica di Lerner (vedi il Manifesto del 01/10 e il suo articolo su Repubblica): «Chi avesse i suoi soldi e il suo potere si costruirebbe un mondo di "gratificazioni" come il suo»?
Inizia Lazar: l'Italia soffre da sempre di una malattia endemica, lo stato debole, che induce a spostare la sperimentazione politica al di fuori delle classi sociali, orientandola naturalmente verso il populismo massmediatico, pur non arrivando a parlare di "anomalia italiana". L'Italia, più che anomala, è un «paese con specificità», da tradurre in conflitto di interessi (cosa impossibile in altri paesi come l'Inghilterra) e in un doppio processo ancora in atto: da un lato un mutamento della democrazia e delle sue forme orientato verso il leader comunicativo e le nuove forme della rappresentatività; dall'altro il mutamento della società italiana, proiettata verso l'individualizzazione e l'egoismo, valore non dominante ma largamente condiviso, tale da impedire lo sbocco e la riproposizione di nuove forme associative e proposte politiche che non trovano sbocco politico (i consumatori, gli ambientalisti, gli animalisti, i comunisti, i precari, gli studenti, gli alter-mondisti).

Da parte sua, Ginsborg si sofferma sulla questione delle TV, sulle quali è necessario portare avanti una battaglia decisa per distruggere un monopolio (o una potenza sproporzionata) che è fattore non totale ma determinante per la trasformazione della società e dei suoi consumi. Partiamo con i dati: il 69% degli italiani usano solo il TG per avere accesso alle notizie, e in gran parte proprio quel TG1 diritto da un ex-impiegato di Berlusconi (Minzolini). Questo significa che gli italiani subiscono giornalmente un filtro fortissimo delle informazioni che li sta portando verso un cambiamento sociale forte: l'indottrinamento e la riduzione culturale della varietà del mondo ad un unica verità di comodo, imparziale ed aggressiva (le «toghe rosse», i «farabutti», i «clandestini» ecc.), che finisce per chiudere ogni spiraglio alla discussione. Una situazione che Ginsborg definisce «vergognosa», soprattutto perchè limita fortemente le chanches delle alternative politiche, specie al Sud dove le parti sociali hanno ancora meno spazio politico di rappresentanza.

Foot invece guarda dietro alla figura di Berlusconi, riportando come prima di lui, ci fu un altro personaggio che cavalcò a pieno le trasformazioni politico-sociali, contando sull'uso dei mass-media e del populismo: Bettino Craxi morto in esilio ad Hammamet, amico e mito di Berlusconi (oltre che personaggio rispolverato anche da gran parte della nomenklatura di burocrati PD). Ma Berlusconi è diverso, anche lui ha delle peculiarità: innanzitutto nessuno come lui (neanche il laburista Blaire) ha saputo giostrare acrobaticamente fra uso indiscriminato della TV (senza controlli veri) e conflitto di interessi; secondo, ha saputo cavalcare questa rivoluzione antropologica del popolo italico, vittima delle modificazioni velocissime di un arricchimento verificatosi in un breve lasso di tempo senza alcuna programmazione e/o mediazione reale.
Lo si vede nel Nord-Est, quello stesso nord-est che sessant'anni fa era leader nell'esportazione di forza lavoro nel triangolo italiano e nei tanti triangoli sparsi per il globo, e che ora, arricchitosi velocemente (ai danni delle regioni dove sono andati i loro rifiuti, note con il nome di Campania e Calabria), ha perso la memoria di ciò che erano, e di ciò che eravamo tutti. Terzo, Mr. B è stato bravo a sfruttare anche gli errori della sinistra che non ha imposto limiti alla gestione delle televisioni statali e dei TG (anzi ne ha sempre approfittato per fare lo stesso sporco gioco, accontentandosi di gridare alla "lottizzazione" quando il toto-elezioni le era sfavorevole).
Ormai la traccia è quella della questione antropologica: nel 2008 emergevano questioni come quella dei Rom, delle discriminazioni, delle violenze e degli stupri; adesso nel 2009 vengono approvati a catena il reato di clandestinità, le ronde e la pratica dei respingimento indiscriminato dei barconi. La propaganda irrealizzabile del bieco populismo leghista e dell'interessato populismo berlusconiano è divenuta realtà. E alla luce di questo si giustificano un mucchio di cose: qualcosa deve essere necessariamente cambiato, se Berlusconi può permettersi di sfoderare battute apertamente razziste nei confronti di Obama e di sua moglie; qualcosa non funziona più sei fino a due anni fa si parlava di Pacs e adesso a Roma bisogna fare le fiaccolate per protestare contro le efferate aggressioni fasciste e omofobe nei confronti di tutti i soggetti LGBTQ; qualche ponte deve essere necessariamente saltato, se la nostra TV destina sempre più spazio - le reti unificate - alla carnificazione dei bisogni istintuali, le ragazze che ballano mute a Striscia la notizia come modello della questione femminile. E purtroppo la sinistra si ritrova doppiamente intrappolata: senza rappresentanza politica e ostacolata dalla popolare impopolarità delle sue lotte.

Per Lazar la questione è sempre la stessa: l'Italia ha subito un processo di modificazioni troppo veloce (in 50 anni ha fatto i progressi che Inghilterra e Germania hanno fatto in 150 anni), crescendo nel proprio seno lacerazioni, scontri sociali e razzismo, diverso da quello che è accaduto in Francia, stato securitario ma che, per lo meno, è ormai aperto all'accettazione della diversità.
Quanto alla questione femminile (e sul palco ci sono solo maschi a parlarne), Lazar si rifà ad una forma di trasgressione che viene maggiormente sentita, forse in reazione alla dominazione della chiesa, solo da pochi anni ormai inascoltata.
Il cambiamento veloce, i contrasti sociali acuti e la modificazione antropologica dell'uomo sono gli ingredienti segreti della vittoria di Berlusconi per Lazar; d'altronde a lui non sembra bastare il controllo delle TV e la rappresentatività mediatica, come dimostra il caso-Prodi, l'anti-mediatico presidente vincitore per ben due volte. Il controllo massmediatico provoca delle modificazioni nella gente, ma a livello più profondo, quasi di valori; ed è stata una debolezza politica della sinistra quella di non aver risposto alla sfida mediatica.
Come conferma Ginsborg, ormai siamo ad un bivio: da un lato il peggioramento ulteriore del razzismo di stato, delle diseguaglianze e dei conflitti sociali, dall'altro la mobilitazione di più sezioni della società (e qui il rimando a cattolici e centro-sinistra è evidente, con Montezemolo, Rutelli e tutti i teodem che ringraziano). Specie i cattolici non accetteranno ulteriori peggioramenti della situazione sociale (i favori politici non bastano più, anche perchè ci manca solo il battesimo obbligatorio) e per lo storico anglo-italiano saranno presto disponibili alla creazione di un «alleanza di benpensanti» tale da sbloccare meno dolorosamente questioni annose ma essenziali, dal conflitto di interessi alla questione della società multietnica. Proprio Prodi fu il primo antesignano di questo centro-sinistra sempre più centro, a partire dalla sua figura: un «prete», un uomo mite e consolatorio opposto all'aggressività di Berlusconi, «l'uomo che parla alla provincia» schierato da un fronte di larghe alleanze per affrontare un paese, ancora una volta, storicamente di centro-destra (si spera sempre meno destra).


Quindi, questo centro-sinistra s'ha da fare per Ginsborg. S'ha da fare subito (per noi molto meno, visto quello che è successo a tutti i centro-sinistra europei che ci hanno provato), anche per venire incontro a problemi molto gravi: l'immigrazione, l'integrazione, il cambiamento della società a cui non corrisponde l'aumento di strutture di inserimento ed elaborazione culturale, e, di conseguenza, la lega e la sua propaganda xenofoba e bieca, ora propaganda di stato grazie ai messaggi, sempre poco subdoli, dei ministracci che schiera.
Ma per Lerner la questione è più complessa: Prodi era una figura significativa e potenzialmente alternativa a Berlusconi, ma ora non rappresenta più un modello attuale, obbligando la sinistra a fare i conti con il culto italiano della tradizione (sia a destra che a sinistra), dalla resistenza alle manifestazioni drammatiche di richiamo - ancora una volta - alle glorie dell'impero romano e alla tradizione comunale (vedi la lega e Federico Barbarossa, che, ci tengo a sottolineare, era un fesso alla loro altezza, morto annegato in un fiume del medio-oriente durante le crociate – la prima guerra dell'imperialismo – perchè, impazzito per il caldo, aveva una voglia matta di fare il bagno, che fece senza togliersi l'armatura, colando a picco come un ferro da stiro). Proprio l'Ulivo fu una delle vittime di questo culto tradizionalista, spazzato via in nome della tradizione dei partiti, che, nella variante PDS - DS - PD continua ad inseguire modelli vetusti e perdenti di socialdemocrazie ed altri contenitori simili (vedi le tristi storie della SPD e del PSF).
Quindi, in un paese ancora impegnato ad affrontare le sfide (?!) della globalizzazione, evidentissima - più del berlusconismo - risulta essere la crisi della sinistra, una crisi europea, progettuale, sociologica, di rapporto con la base, di alleanze possibili, condivisibili e potenziali. Ma anche una crisi di differenze rispetto al Ppe e alle sue incarnazioni nazionali, che porta il centro-sinistra a perdersi in dibattiti non più coerenti con i bisogni della sua base, finendo per non affrontare discorsi "scabrosi" (quali le tematiche LGBTQI), perchè incatenato alla logica del voto larghissimo. E poi vera e propria crisi demografica, che nel mondo della sinistra come in quello della destra e della politica tutta si traduce con un termine, «gerontocrazia», dominio delle solite facce, delle solite correnti, delle solite e limitate visioni politiche; specie a sinistra, dove anziché cercare di rinverdire le proprie fonti  come Gramsci o come il grande vecchio Karl (ripensare attivamente Marx è diventato un vero e proprio leitmotiv in tempi di crisi anche per economisti e politici estranei), le si ignora liberamente, puntando ad uno svecchiamento sbandierato che porterà ben presto al nulla politico ed ideologico, dove già nuotano fradici numerosi esponenti della corazzata demagogica. Per non parlare della questione ambientale, che la sinistra (quella marxista, anticapitalista e comunista) ha tutte le carte in regola per guidare, ma dalla quale rimane ancora colpevolmente distaccata.

Urge una reinvenzione del riformismo, non più socialdemocratico (calato dall'alto da un'unica entità politica), ma frutto di un coinvolgimento attivo del cittadino attraverso la disponibilità a forme di rappresentanza più aperta, ovvero vere e proprie rolling reform che accumulano forza rotolando dal basso, traendo sempre più motivazioni dalle sensibilità crescenti nei campi dell'ambiente e della partecipazione di base (strappandola una buona volta a Grillo, che sicuramente male non fa). Proprio questi i tasti necessariamente da battere: l'ambiente, la crisi ecologica, il commercio responsabile, equo ed ecologico, da attuarsi attraverso nuove forme di rappresentanza ed azione collettiva come i GAS, o come la raccolta differenziata, azioni dal potenziale incredibile, perchè chiama direttamente la gente alla gestione della res; e la democrazia di base come vero obiettivo da raggiungere, al fine di promuovere una società civile attiva, impegnata e consapevole, ma necessariamente supportata dalla politica tradizionale, che deve impegnarsi - specie nella sua estensione centro-sinistrorsa (ma anche estremo-sinistrorsa) - alla ricerca di pratiche estranee all'auto-referenzialità e aperte alle influenze, agli esempi e anche ai ripensamenti della tradizione politica. Approfittiamone, visto che almeno noi ne abbiamo una.

10/10/09


DotNetNuke® is copyright 2002-2024 by DotNetNuke Corporation