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Medio Oriente » La bomba di Gaza  
UN ARTICOLO CHE FA DISCUTERE

Commento al testo integrale dell'articolo di David Rose "La bomba di Gaza", pubblicato sull'ultimo numero della rivista Vanity Fair.


Quando, a suo tempo, sostenemmo che a Gaza non era avvenuto un "colpo di Stato" da parte di Hamas, ma che esso era stato costretto ad intervenire violentemente per tutelarsi da una situazione che era stata programmata, e gradualmente attuata, per portare alla sua totale eliminazione dalla scena politica della Palestina, venimmo presi per visionari partigiani.
 
Quando affermammo ripetutamente che il responsabile di tante tragedie che insanguinarono la Striscia di Gaza, prima e dopo le elezioni del 2006, era Muhammad Dahlan, il cui obiettivo, per noi evidente, era stato quello di distruggere, prima, la credibilità di Arafat e di impedire, poi, che Hamas, uscito vincitore da consultazioni elettorali democratiche, potesse avere l'opportunità di svolgere le dovute funzioni di governo, venimmo considerati irresponsabili allucinati.
 
Ora, questo articolo che non può certo essere accusato di parzialità, svela e chiarisce i retroscena che hanno portato all'attuale tragedia in Palestina, dalla collaborazione tra i più alti rappresentanti dell'Amministrazione Statunitense e l'"uomo forte" Muhammad Dahlan nel caso Gaza, alla presente incontrastata ingerenza americana nel determinare comportamenti e decisioni dell'"uomo debole" Mahmoud Abbas (Abu Mazen), e del governo da esso imposto al popolo palestinese, che tanto alimentano il sanguinoso scontro fratricida che potrà portare alla cancellazione dell'identità nazionale.
 
Mariano Mingarelli

La bomba di Gaza
di David Rose

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Dopo il fallimento dei tentativi di prevenire la vittoria di Hamas contro Fatah nelle elezioni palestinesi del 2006, la Casa Bianca ha rimediato un’altra debacle in Medio Oriente, controproducente e scandalosamente nascosta, che ricorda in parte l'Iran-contras, in parte la Baia dei Porci. Con documenti riservati, avvalorati da indignati ex ed attuali funzionari statunitensi, David Rose rivela come il presidente Bush, Condoleezza Rice, e il vice-consigliere per la sicurezza nazionale Elliott Abrams abbiano sostenuto una milizia armata dell’uomo forte di Fatah Muhammad Dahlan, sfiorando una sanguinosa guerra civile a Gaza e lasciando Hamas più forte che mai.

"Una guerra sp
orca"

Il Deira Hotel, a Gaza City, è un rifugio di tranquillità in una terra caratterizzata da povertà, paura e violenza. A metà del dicembre 2007, siedo nell’arioso ristorante dell’hotel, le cui finestre si aprono sul Mediterraneo, e ascolto un esile uomo barbuto, chiamato Mazen Assad Abu Dan, descrivere le sofferenze patite per 11 mesi nelle mani dei suoi concittadini palestinesi. Abu Dan, 28 anni, è un membro di Hamas, l'organizzazione islamista sostenuta dall’Iran, considerata un gruppo terroristico dagli Stati Uniti, ma ho una buona ragione per ascoltare le sue parole: ho visto il video.
Esso mostra Abu Dan inginocchiato, le mani legate dietro la schiena, che urla mentre i suoi carcerieri lo colpiscono con una sbarra di ferro nero. "Ho perso tutta la pelle sulla mia schiena per le percosse", spiega. "Invece di medicinali, hanno versato sulle mie ferite del profumo. Mi sentivo come se avessero infilato una spada nelle mie ferite".
Il 26 gennaio 2007, Abu Dan, studente presso l'Università islamica di Gaza, si era recato al locale cimitero con suo padre e altre cinque persone per erigere una lapide per sua nonna. Quando sono arrivati, però, si sono trovati circondati da 30 uomini armati di Fatah, il partito del presidente palestinese Mahmoud Abbas, rivale di Hamas. "Ci hanno portato in una casa a nord di Gaza," afferma Abu Dan. "Ci hanno bendato gli occhi e ci hanno portato in una stanza al sesto piano".
Il video mostra una stanza spoglia, con pareti bianche e pavimento con piastrelle bianche e nere, dove il padre di Abu Dan è costretto a sedersi e ascoltare suo figlio che grida per il dolore. In seguito, racconta Abu Dan, lui e altri due sono stati portati sulla piazza del mercato. "Ci hanno detto che stavano per ucciderci. Ci hanno fatto sedere per terra". Si arrotola i pantaloni per farmi vedere le cicatrici circolari che dimostrano ciò che è accaduto dopo:"Ci hanno sparato alle ginocchia e ai piedi, cinque pallottole ciascuno. Ho trascorso quattro mesi su una sedia a rotelle ".
Abu Dan non poteva saperlo, ma i suoi torturatori avevano un alleato segreto: l'amministrazione del Presidente George W. Bush.
Un indizio arriva verso la fine del video, che è stato ritrovato in un edificio della sicurezza di Fatah dai combattenti di Hamas nel giugno scorso. Legati e bendati, i prigionieri sono costretti a ripetere un ritornello ritmico gridato da uno dei loro rapitori: "Con il sangue, con l’anima, ci sacrifichiamo per Muhammad Dahlan! Lunga vita a Muhammad Dahlan!"
Non vi è nessuno più odiato tra i membri di Hamas che Muhammad Dahlan, a lungo uomo forte di Fatah a Gaza. Dahlan, che recentemente era il Consigliere della Sicurezza Nazionale di Abbas, ha trascorso più di un decennio a lottare contro Hamas. Dahlan insiste sul fatto che Abu Dan è stato torturato senza che lui ne sapesse nulla, ma il video è la prova che i metodi dei suoi seguaci possono essere brutali.
Bush ha incontrato Dahlan almeno in tre occasioni. Dopo i colloqui alla Casa Bianca, nel luglio 2003, Bush ha pubblicamente lodato Dahlan come "un bravo, solido leader". In privato, parlando con funzionari israeliani e americani, il presidente degli Stati Uniti lo ha descritto come "il nostro uomo".
Gli Stati Uniti sono stati coinvolti negli affari dei territori palestinesi dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando Israele conquistò Gaza all’Egitto e la Cisgiordania alla Giordania. Con gli accordi di Oslo del 1993, i territori acquisirono una limitata autonomia, con un presidente con poteri esecutivi e un parlamento eletto. Israele mantiene una grande presenza militare in Cisgiordania, ma si è ritirato da Gaza nel 2005.
Negli ultimi mesi, il presidente Bush ha ripetutamente affermato che l'ultima grande ambizione della sua presidenza è quella di mediare un accordo che porti alla creazione di un Stato palestinese vitale e porti la pace in Terra Santa. "La gente chiede: pensate che sia possibile, durante la vostra Presidenza?'", ha dichiarato in pubblico a Gerusalemme il 9 gennaio. "E la risposta è: Sono molto fiducioso".
Il giorno successivo, nella capitale della West Bank, Ramallah, Bush ha riconosciuto che c'è un grande ostacolo davanti a questo obiettivo: il completo controllo di Hamas a Gaza, patria di circa un milione e mezzo di palestinesi, dove ha preso il potere con un sanguinoso colpo di stato nel giugno 2007. Quasi ogni giorno, i militanti sparano razzi da Gaza sulle vicine città israeliane, e il Presidente Abbas è impotente per fermarli. La sua autorità è limitata alla Cisgiordania.
E ' "Una situazione difficile", Bush ha ammesso. "Non so se si possa risolvere in un anno". Bush ha trascurato di menzionare il proprio ruolo nella creazione di questo pasticcio.
Secondo Dahlan, la responsabilità è di Bush, che ha imposto elezioni legislative nei territori palestinesi nel gennaio 2006, nonostante gli avvertimenti sull’impreparazione di Fatah. Dopo che Hamas - il cui statuto del 1988 si impegna a raggiungere l'obiettivo di buttare a mare Israele - ha preso il controllo del parlamento, Bush ha compiuto un altro errore fatale.
Vanity Fair ha ottenuto documenti riservati, avvalorati da fonti negli Stati Uniti e in Palestina, che rivelano un’iniziativa, approvata da Bush e realizzata dal Segretario di Stato Condoleezza Rice e dal vice consigliere per la sicurezza nazionale Elliott Abrams, volta a provocare una guerra civile inter-palestinese. Il piano era basato sulle milizie di Dahlan, armate con nuove armi richieste all’America e da essa fornite, per dare a Fatah la forza necessaria per rimuovere il governo democraticamente eletto di Hamas. (Il Dipartimento di Stato ha rifiutato di commentare.)
Ma il piano segreto si è rivelato controproducente, determinando un’ulteriore sconfitta per la politica estera americana di Bush. Invece di sconfiggere i nemici, i combattenti di Fatah, dietro i quali c’erano gli U.S.A., hanno inavvertitamente provocato la conquista del totale controllo di Gaza da parte di Hamas.
Alcune fonti chiamano la vicenda "Iran-contra 2", ricordando che Abrams è stato condannato (e poi graziato) per informazioni celate al Congresso nel corso del primo scandalo Iran-contra, sotto il Presidente Reagan. Ci sono echi di altre disavventure del passato: quelle della CIA nel 1953 e nel 1979, l’invasione della Baia dei Porci nel 1961, che fornì un pretesto a Fidel Castro per rafforzare la sua presa su Cuba, e l’attuale tragedia in Iraq.
Nell'amministrazione Bush, la politica palestinese ha provocato un furioso dibattito. Uno dei suoi critici è David Wurmser, neocons dichiarato, che nel luglio 2007, un mese dopo il golpe di Gaza, ha rassegnato le dimissioni da Primo Consulente per il Medio Oriente del Vice Presidente Dick Cheney. Wurmser accusa l'amministrazione Bush di "essersi impegnata in una guerra sporca, nel tentativo di far vincere una dittatura corrotta [guidata da Abbas]". Egli ritiene che Hamas non avesse alcuna intenzione di prendere il potere a Gaza fino a quando Fatah non l’ha costretta a farlo. "Mi sembra che quello che è accaduto non sia stato tanto un golpe di Hamas, ma un tentativo di golpe di Fatah, che è stato anticipato prima che potesse avvenire", dice Wurmser.
Il piano fallito ha reso il sogno di pace in Medio Oriente più remoto che mai, ma ciò che veramente manda in bestia un neocons come Wurmser è l'ipocrisia manifesta. "Vi è uno sbalorditivo scollamento tra gli appelli del presidente per la democrazia in Medio Oriente e questa politica", egli spiega. "Si contraddice da solo."

Sicurezza Preventiva

Bush non è stato il primo presidente americano a costruire un rapporto con Muhammad Dahlan. "Sì, ero vicino a Bill Clinton", afferma Dahlan. "Ho incontrato molte volte Clinton con [il defunto leader palestinese Yasser] Arafat. Nel 1993, anno degli accordi di Oslo, Clinton sponsorizzò una serie di incontri diplomatici volti a raggiungere una pace duratura in Medio Oriente, e Dahlan divenne il negoziatore dei Palestinesi per la Sicurezza.

Parlando con Dahlan in un hotel a cinque stelle al Cairo, è facile vedere le qualità che possono renderlo attraente per i presidenti americani. Il suo aspetto è immacolato, il suo inglese fluente, i suoi modi affascinanti e schietti. Se fosse nato nel privilegio, queste qualità avrebbero potuto non significare molto. Ma Dahlan è nato - il 29 settembre del 1961 - nel pieno squallore del campo profughi di Khan Younis, nella Striscia di Gaza, e la sua educazione proviene in gran parte dalla strada. Nel 1981 ha contribuito a fondare il movimento giovanile di Fatah e più tardi ha svolto un ruolo di primo piano nella prima Intifada, la rivolta contro l'occupazione israeliana iniziata nel 1987 e durata cinque anni. In tutto, afferma Dahlan, ha trascorso cinque anni nelle carceri israeliane.
Dal momento della sua creazione, come ramo palestinese della Fratellanza musulmana internazionale, alla fine del 1987, Hamas aveva rappresentato una sfida e una minaccia per il partito laico di Arafat, Fatah. A Oslo, Fatah assunse un pubblico impegno per la ricerca della pace, ma Hamas continuò a praticare la resistenza armata. Al tempo stesso, essa ha costruito una impressionante base di sostegno attraverso programmi sociali e di istruzione.
L'aumento delle tensioni tra i due gruppi sfociò in una prima esplosione violenta nei primi anni 1990, e Muhammad Dahlan svolse un ruolo centrale. Come direttore del Servizio di Sicurezza Preventiva dell'Autorità palestinese, il più temuto dalle forze paramilitari, nel 1996 Dahlan fece arrestare circa 2000 membri di Hamas nella Striscia di Gaza, dopo che il gruppo aveva lanciato una nuova ondata di attentati suicidi. "Arafat aveva deciso di arrestare i leader militari di Hamas, perché lavoravano contro i suoi interessi, contro il processo di pace, contro il ritiro israeliano, contro tutto", dice Dahlan. "Ha chiesto ai servizi di sicurezza di fare il loro lavoro, e io ho fatto quel lavoro".
Non è stato, egli ammette, "un lavoro popolare". Per molti anni Hamas ha sostenuto che, per le forze di Dahlan, la tortura dei detenuti era una routine. Un metodo era quello di sodomizzare i prigionieri con delle bottiglie. Dahlan dice che queste storie sono esagerate: "Sicuramente, ci sono stati alcuni errori, qua e là. Ma non una persona è morta nelle mani della sicurezza preventiva. I prigionieri hanno visto rispettati i loro diritti. Tenete a mente che io sono un ex-detenuto degli israeliani. Nessuno è stato umiliato personalmente, e non ho mai ucciso nessuno, come fa Hamas quotidianamente adesso". Dahlan ricorda che Arafat ha mantenuto un labirinto di servizi di sicurezza -14 in tutto -, e afferma che il Servizio di Sicurezza Preventiva è stato accusato per gli abusi perpetrati da altre unità.
Dahlan ha lavorato in stretta collaborazione con l’F.B.I. e la CIA, e ha sviluppato un caloroso rapporto con il Direttore della Central Intelligence Agency, George Tenet, incaricato da Clinton, che rimase al suo posto anche con Bush, fino al luglio 2004. "E’ semplicemente un uomo grande ed equo", afferma Dahlan. "Mi tengo ancora in contatto con lui di tanto in tanto".

"Tutti erano contro le elezioni"

In un discorso nel Giardino delle Rose della Casa Bianca, il 24 giugno 2002, il Presidente Bush annunciò che la politica americana in Medio Oriente avrebbe preso una nuova direzione. Arafat era ancora al potere, in quel momento, e molti, negli Stati Uniti e in Israele, lo ritenevano responsabile di aver distrutto gli sforzi di Clinton per la pace, con l’avvio della seconda Intifadauna nuova rivolta, iniziata nel 2000, in cui morirono più di 1000 Israeliani e 4500 Palestinesi. Bush dichiarò di voler dare ai Palestinesi la possibilità di scegliere nuovi dirigenti, non "compromessi con il terrore." Al posto della presidenza onnipotente di Arafat, disse Bush, "il parlamento palestinese dovrebbe avere la piena autorità di un Corpo legislativo"
Arafat morì nel novembre del 2004, sostituito come leader di Fatah da Abbas, che venne eletto presidente nel gennaio 2005. Elezioni per il parlamento palestinese, conosciuto ufficialmente come Consiglio Legislativo, vennero inizialmente fissate per il luglio 2005, ma furono poi rinviate da Abbas fino al gennaio 2006.
Dahlan dice di aver messo in guardia i suoi amici e l'amministrazione Bush sul fatto che Fatah non era ancora pronta per le elezioni di gennaio. Decenni di auto-conservazione del potere da parte di Arafat avevano trasformato il partito in un simbolo di corruzione e di inefficienza, una percezione che Hamas sfruttava facilmente. Spaccature all'interno stesso di Fatah avevano ulteriormente indebolito la sua posizione: in molti luoghi, un unico candidato di Hamas correva contro diversi altri, tutti presentati da Fatah.
"Tutti erano contro le elezioni", afferma Dahlan. Tutti tranne Bush. "Bush aveva deciso: <<Ho bisogno di un’elezione. Voglio elezioni nell’Autorità palestinese>>. Nell’amministrazione americana, tutti lo hanno seguito e hanno insistito con Abbas, dicendogli: <<Il presidente vuole elezioni>>. Bene. Per quale scopo? "
Le elezioni si sono svolte come previsto. Il 25 gennaio, Hamas ha conquistato il 56 per cento dei seggi del Consiglio Legislativo.
In pochi, nell’amministrazione americana, avevano previsto il risultato, e non vi era alcun piano di emergenza per far fronte ad esso. "Ho chiesto il motivo per cui nessuno lo ha previsto", ha detto Condoleezza Rice. "Non so chi è stato preso in contropiede dalla dimostrazione di forza di Hamas".
"Ognuno accusava tutti gli altri", spiega un funzionario del Dipartimento della Difesa. "Ci siamo seduti lì al Pentagono e ci siamo chiesti: <<Chi cazzo ha consigliato questo>>?'"
In pubblico, Rice cercava di vedere il lato positivo della vittoria di Hamas. "Imprevedibilmente", disse, è "un grande cambiamento storico." Anche se si espresse come lei, tuttavia, l'amministrazione Bush operò rapidamente una revisione del suo atteggiamento verso la democrazia palestinese.
Alcuni analisti sostengono che in Hamas esisteva un’ala sostanzialmente moderata, che avrebbe potuto essere rafforzata, se l'America l’avesse coinvolta nel processo di pace. Un notabile israeliano come Ephraim Halevy, ex capo del Mossad, condivideva questo punto di vista. Ma se l'America si è soffermata a considerare l’idea di concedere ad Hamas il beneficio del dubbio, quel momento è durato un "millesimo di secondo", dice un alto funzionario del Dipartimento di Stato.
"L'amministrazione ha parlato con una sola voce: <<Dobbiamo spremere questi giovanotti>>. Con la vittoria elettorale di Hamas, l’agenda della libertà è morta."
Il primo passo preso dal "Quartetto" diplomatico in Medio Oriente - Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite - è stato quello di chiedere che il nuovo governo di Hamas rinunciasse alla violenza, riconoscesse il diritto di Israele ad esistere e accettasse le condizioni di tutti i precedenti accordi. Quando Hamas rifiutò, il Quartetto chiuse il rubinetto degli aiuti per l'Autorità palestinese, privandola dei mezzi per pagare gli stipendi e per far fronte al suo bilancio annuale di circa 2 miliardi di dollari.
Israele strinse la morsa sulla libertà di movimento dei Palestinesi, soprattutto in entrata e in uscita dalla Striscia di Gaza, dominata da Hamas. Israele arrestò anche 64 funzionari di Hamas, tra cui ministri e membri del Consiglio Legislativo, e lanciò persino una campagna militare contro Gaza, dopo il rapimento di uno dei suoi soldati. Nonostante tutto questo, Hamas, e il suo nuovo governo, guidato dal primo ministro Ismail Haniyeh, si rivelarono sorprendentemente resistenti.
Washington reagì con sgomento quando Abbas iniziò a tenere colloqui con Hamas, nella speranza della costituzione di un "governo di unità". Il 4 ottobre 2006, Rice andò a Ramallah per vedere Abbas. Si incontrarono presso la Muqata, il nuovo quartier generale presidenziale, sorto sulle rovine di quello di Arafat, che Israele aveva distrutto nel 2002.
L’influenza americana sugli affari palestinesi era molto più forte di quanto non fosse stata al tempo di Arafat. Abbas non aveva mai avuto una base forte, indipendente, e aveva un disperato bisogno di ripristinare il flusso di aiuti esteri e, con essi, il suo potere e le sue clientele. Egli, inoltre, sapeva che non avrebbe potuto resistere ad Hamas, senza l'aiuto di Washington.
Nella conferenza stampa congiunta, Rice sorrise ed espresse la "grande ammirazione" della sua nazione per la leadership di Abbas. A porte chiuse, però, il tono di Rice fu brusco, raccontano i funzionari che hanno assistito al loro incontro. A quel che si dice, lei disse ad Abbas che l'isolamento di Hamas non funzionava e che l’America si aspettava da lui lo scioglimento del governo Haniyeh nel più breve tempo possibile e la convocazione di nuove elezioni.
Abbas, afferma un funzionario, fu d’accordo di agire entro due settimane. Si era nel Ramadan, il mese in cui i musulmani digiunano durante il giorno. Con il crepuscolo che si avvicinava, Abbas chiese a Rice di unirsi a lui per un iftar, uno spuntino per rompere il digiuno.
In seguito, secondo il funzionario, Rice ha sottolineato la sua posizione: "Allora, siamo d'accordo? Tu scioglierai il governo entro due settimane? "
"Forse non due settimane. Dammi un mese. Lasciaci apettare fino a dopo l'Eid", disse lui, riferendosi ai tre giorni di festa che segnano la fine del Ramadan. (Il portavoce di Abbas ci ha detto, tramite e-mail: "Secondo i nostri dati, questo non è corretto.")
Rice tornò nel suo SUV corazzato, dove, racconta il funzionario, disse ad un collega americano "Quel maledetto iftar ci è costato altre due settimane di governo di Hamas".

"Noi saremo lì a sostenervi"

Le settimane passarono senza segnali che Abbas fosse pronto a mettere in atto gli ordini americani. Finalmente, un altro funzionario venne inviato a Ramallah. Jake Walles, console generale a Gerusalemme, è un diplomatico di carriera con molti anni di esperienza in Medio Oriente. Il suo scopo era di consegnare un ultimatum, appena velato, al presidente palestinese.
Sappiamo ciò che ha detto Walles perché una copia dell’appunto preparato per lui dal Dipartimento di Stato e contenente i "punti da affrontare", è stata dimenticata in giro, apparentemente per caso. Il documento è stato riconosciuto come autentico da funzionari statunitensi e palestinesi.
"Abbiamo bisogno di capire i tuoi piani per quanto riguarda un nuovo governo", diceva il testo di Walles. "Hai detto al Segretario Rice che saresti stato pronto a muoverti entro due o quattro settimane dal vostro incontro. Crediamo che sia giunto il momento per te di andare avanti in modo rapido e decisivo".
L’appunto non ha lasciato alcun dubbio su quale tipo di azione gli Stati Uniti intendessero: "Ad Hamas deve essere data una chiara scelta, con un termine preciso: … o accettare un nuovo governo che soddisfi i principi del Quartetto, o rigettarli. Anche le conseguenze per Hamas della decisione devono essere chiare: se Hamas non è d'accordo, entro il termine previsto, devi chiarire la tua intenzione di dichiarare lo stato di emergenza e di formare un governo di emergenza esplicitamente impegnato su quella piattaforma".
Walles e Abbas sapevano entrambi cosa aspettarsi da Hamas se queste istruzioni fossero state eseguite: ribellione e spargimenti di sangue. Per questo motivo, dice l’appunto, gli Stati Uniti erano già al lavoro per rafforzare le forze di sicurezza di Fatah. "Se si agisce in questo senso, noi vi sosterremo sia materialmente che politicamente", dice il testo. "Noi saremo lì a sostenervi".
Abbas veniva anche incoraggiato a "rafforzare il [suo] team" e ad "includere figure credibili con una forte posizione nella comunità internazionale." Tra quelli voluti degli Stati Uniti, dice un funzionario al corrente delle scelte politiche, c’era Muhammad Dahlan.
Sulla carta, le forze a disposizione di Fatah apparivano più forti di quelle di Hamas. C’erano almeno 70.000 uomini nel groviglio dei 14 servizi di sicurezza palestinesi che Arafat aveva costruito, almeno la metà dei quali a Gaza. Dopo le elezioni legislative, Hamas aveva previsto di assumere il comando di queste forze, ma Fatah manovrò per tenerle sotto il suo controllo. Hamas, che già aveva 6000 irregolari nelle sue Brigate al-Qassam, rispose con la formazione della Forza Esecutiva, 6000 uomini, a Gaza, ma restando ancora con un numero di combattenti inferiore rispetto a Fatah.
In realtà, però, Hamas aveva diversi vantaggi. Per cominciare, le forze di sicurezza di Fatah non si erano mai realmente riprese dall’Operazione "Scudo Difensivo", la massiccia re-invasione israeliana della West Bank del 2002 in risposta alla seconda intifada. "La maggior parte degli apparati di sicurezza era statae distrutta", dice Youssef Issa, che ha guidato il Servizio di Sicurezza Preventiva sotto Abbas.
L'ironia del blocco degli aiuti esteri, dopo la vittoria elettorale di Hamas, inoltre, fu che impedì a Fatah di pagare gli stipendi dei suoi soldati. "Noi non siamo più stati pagati", dice Issa , "mentre loro non sono stati colpiti dall’embargo". Ayman Daraghmeh, un membro del Consiglio legislativo di Hamas nella West Bank, concorda. Egli stima l'importo degli aiuti iraniani ad Hamas nel solo 2007, a 120 milioni di dollari. "Questa è solo una parte di quello che potrebbero darci", continua. E a Gaza, un altro membro di Hamas mi dice che l’importo era più vicino ai 200 milioni di dollari.
Il risultato diventava chiaro: Fatah non poteva controllare le strade di Gaza e nemmeno proteggere il proprio personale.
Verso le 13.30 del 15 settembre 2006, Samira Tayeh inviò un messaggio sms a suo marito, Jad Tayeh, direttore delle relazioni esterne per il servizio di intelligence palestinese, e membro di Fatah. "Non mi rispose", ci ha detto. "Provai a chiamare il suo cellulare, ma era spento. Allora, ho chiamato il suo vice, Mahmoun, ma non sapeva dove fosse. A quel punto, ho deciso di andare in ospedale. "
Samira, una quarantenne snella, elegante, vestita in nero dalla testa ai piedi, mi racconta la sua storia in un caffè di Ramallah, nel dicembre del 2007. Arrivarta all’ospedale Al Shifa, "sono andata verso la porta della morgue. Non per un motivo preciso, poiché non conoscevo il posto. Ho visto che c’erano molte guardie dell’ intelligence. C'era uno che conoscevo, che mi ha visto e mi ha detto: "<<E’ stato preso in macchina>>. Così ho saputo cosa era accaduto a Jad ".
Tayeh aveva lasciato il suo ufficio in un auto con quattro aiutanti. Poco dopo, si sono accorti di essere seguiti da un SUV pieno di uomini armati e mascherati. A circa 200 metri dalla casa del primo ministro Haniyeh, il SUV ha stretto l'auto. Gli uomini mascherati hanno aperto il fuoco, uccidendo Tayeh e tutti e quattro i suoi colleghi.
Hamas disse che non aveva nulla a che fare con gli omicidi, ma Samira aveva motivo di credere il contrario. Alle tre del mattino del 16 giugno 2007, durante la conquista di Gaza, sei uomini di Hamas fecero irruzione nella sua casa e spararono contro ogni fotografia di Jad che trovarono. Il giorno dopo, sono tornati e hanno chiesto le chiavi della macchina in cui era morto, sostenendo che era proprietà dell'Autorità palestinese.
Temendo per la sua vita, lei fuggì oltre il confine e poi in Cisgiordania, con solo i vestiti che indossava e il suo passaporto, la patente di guida e la carta di credito.

"Una guerra molto intelligente"

La vulnerabilità di Fatah era fonte di grave preoccupazione per Dahlan. "Ho fatto un sacco di attività per dare l'impressione ad Hamas che fossimo ancora forti e avessimo la capacità di fronteggiarli", spiega, "Ma nel mio cuore sapevo che non era vero." In quel momento, lui non rivestiva alcuna posizione ufficiale nella sicurezza, ma era membro del parlamento e poteva contare sulla fedeltà dei membri di Fatah a Gaza. "Ho usato la mia immagine, il mio potere". Dahlan racconta che disse ad Abbas che "Hamas si prenderà Gaza se solo deciderà di farlo". Per evitare che questo accadesse, Dahlan scatenò una "guerra molto intelligente" per molti mesi.
Secondo diverse presunte vittime, una delle tattiche di questa "guerra" comportava il sequestro e la tortura per i membri della Forza Esecutiva di Hamas (Dahlan nega che Fatah abbia utilizzato tale tattica, ma ammette che "errori" sono stati commessi). Abdul Karim al-Jasser, un uomo robusto di 25 anni, racconta di essere stato la prima vittima di questi errori. "Era il 16 ottobre, ancora Ramadan", spiega. "Ero in strada per andare a mangiare a casa di mia sorella. Quattro ragazzi mi hanno fermato, due dei quali con armi da fuoco. Mi hanno costretto ad accompagnarli alla casa di Aman Abu Jidyan, "un leader di Fatah vicino a Dahlan". (Abu Jidyan sarà poi ucciso nella rivolta di giugno).
La prima fase della tortura è stata abbastanza semplice, dice al-Jasser: è stato denudato, legato, bendato, e picchiato con bastoni di legno e tubi di plastica. "Mi hanno messo un pezzo di stoffa in bocca per fermare le mie urla." Nel suo interrogatorio fu costretto a rispondere ad accuse contraddittorie: un minuto gli dicevano che aveva collaborato con Israele, il successivo che aveva sparato razzi Qassam da Gaza contro Israele.
Ma il peggio doveva ancora venire. "Hanno portato uno sbarra di ferro", dice al-Jasser, e improvvisamente la sua voce si fa esitante. Stiamo parlando nella sua casa di Gaza, che sta vivendo una delle sue frequenti interruzioni di corrente. Indica la lampada a gas che illumina la stanza. "Hanno messo la sbarra sulla fiamma di una lampada come questa. Quando è diventata rossa, mi hanno coperto gli occhi. Quindi, l’hanno premuta sulla la mia pelle. E questa è l'ultima cosa che mi ricordo ".
Quando ha ripreso i sensi, era ancora nella stanza dove era stato torturato. Un paio d'ore più tardi, gli uomini di Fatah lo hanno restituito ad Hamas, ed è stato portato in ospedale. "Ho potuto vedere lo shock negli occhi dei medici che sono entrati nella stanza", spiega. Mi mostra le foto delle ustioni di terzo grado che sembrano un asciugamano rosso avvolto intorno alle sue cosce ed a gran parte dei fianchi e del bacino. "Il medico mi ha detto che se fosse stato magro, non grassottello, sarei morto. Ma non ero solo. La stessa notte in cui sono stato rilasciato, gli uomini di Abu Jidyan hanno sparato cinque proiettili nelle gambe di uno dei miei parenti. Eravamo nello stesso reparto in ospedale".
Dahlan afferma di non aver ordinato di torturare al-Jasser: "Il solo ordine che ho dato è stato quello di difendere noi stessi. Ciò non significa che non ci siano state torture, qualcosa è andato storto, ma io non lo sapevo".
La sporca guerra fra Fatah e Hamas ha continuato a crescere per tutto l'autunno, con atrocità commesse da entrambe le parti. Alla fine del 2006, morivano decine di persone ogni mese. Alcune delle vittime non erano combattenti. Nel mese di dicembre, uomini armati hanno aperto il fuoco sulla macchina di un funzionario dell’intelligence di Fatah, uccidendo i suoi tre giovani figli e il loro autista.
Non vi era ancora alcun segnale che Abbas fosse pronto a sciogliere il governo di Hamas. Contro questa ambiguità di fondo, la sicurezza degli Stati Uniti cominciò colloqui diretti con Dahlan.

"Lui è il nostro uomo"

Nel 2001, il presidente Bush disse pubblicamente che aveva guardato negli occhi presidente russo, Vladimir Putin, comprendendo "il senso della sua anima", e di averlo trovato "affidabile". Stando a tre funzionari degli Stati Uniti, Bush ha espresso un simile giudizio su Dahlan, quando lo ha incontrato per la prima volta, nel 2003. Tutti e tre i funzionari ricordano di aver sentito Bush dire, "Lui è il nostro uomo".
Dicono che questa valutazione sia stata ribadita da altre figure chiave dell’amministrazione, compresi Rice e l’Assistente Segretario David Welch, l'uomo incaricato della politica in Medio Oriente per il Dipartimento di Stato. "A David Welch, fondamentalmente, Fatah non interessava", dice uno dei suoi colleghi. "Lui si preoccupava dei risultati ed ha sostenuto qualunque figlio di puttana che ha dovuto sostenere. Dahlan è stato il figlio di puttana che è successo di conoscere meglio. Era un tipo affidabile. Dahlan era il nostro ragazzo ".
Avi Dichter, ministro della sicurezza interna di Israele ed ex capo dello Shin Bet (servizio segreto interno), rimase sorpreso quando sentì parlare alti funzionari americani che si riferivano a Dahlan come "il nostro uomo". "Ho pensato che il presidente degli Stati Uniti Stati avesse una strana idea delle cose qui ", dice Dichter.
Il tenente generale Keith Dayton, che era stato nominato coordinatore degli Stati Uniti per la sicurezza per i palestinesi nel novembre 2005, non era in grado di dubitare del giudizio del presidente a proposito di Dahlan. La sua sola esperienza precedente con il Medio Oriente era stata in qualità di direttore dell’ Iraq Survey Group, l'organismo che ha cercato le evanescenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Nel novembre del 2006, Dayton incontrò Dahlan per il primo di una lunga serie di colloqui a Gerusalemme e Ramallah. Entrambi erano accompagnati da collaboratori. Fin dall'inizio, dice un funzionario che ha preso appunti durante la riunione, fu Dayton a premere per imporre la propria agenda.
"Abbiamo bisogno di riformare l'apparato di sicurezza palestinese", disse Dayton, secondo le note. "Ma abbiamo anche bisogno di mettere le vostre forze in grado di affrontare Hamas".
Dahlan rispose che, a lungo termine, Hamas avrebbe potrebbe essere sconfitto solo con mezzi politici. "Ma se devo andare allo scontro con loro", aggiunto, "ho bisogno di risorse sostanziali. Per come stanno le cose adesso, non abbiamo le capacità ".
I due convennero che si doveva lavorare ad un nuovo piano di sicurezza palestinese. L'idea era quella di semplificare la confusa ragnatela delle forze di sicurezza palestinesi e che Dahlan assumesse la responsabilità di tutte loro, nella nuova veste, appositamente creata, di Consigliere per la Sicurezza Nazionale. Gli americani avrebbero aiutato con la fornitura di armi e l’addestramento.
Come parte del programma di riforma, secondo il funzionario presente alle riunioni, Dayton disse che voleva sciogliere il Servizio di Sicurezza Preventiva, di cui era ampiamente noto il coinvolgimento in attività di rapimenti e di tortura. Nel corso di una riunione nell’ufficio di Dayton a Gerusalemme nei primi di dicembre, Dahlan mise in ridicolo l'idea. "Voi volete rimuovere l'unica istituzione che sta proteggendo Fatah e l'Autorità palestinese a Gaza", disse.
Dayton si ammorbidì un po'. "Vogliamo aiutarti", disse. "Di cosa hai bisogno?"

"Iran-Contra 2"

Con Bill Clinton, dice Dahlan, gli impegni di assistenza alla sicurezza "sono sempre stati rispettati, assolutamente." Con Bush, stava per scoprire, le cose erano diverse. Alla fine del 2006, Dayton aveva promesso un immediato stanziamento del valore di 86,4 milioni di dollari che, secondo un documento pubblicato negli Stati Uniti dalla Reuters il 5 gennaio 2007, avrebbero potuto essere utilizzati per "smantellare le infrastrutture del terrorismo e ristabilire ordine e legalità in Cisgiordania e a Gaza". Funzionari statunitensi dissero ai giornalisti addirittura che il denaro sarebbe stato trasferito" nei prossimi giorni".
Il denaro non è mai arrivato. "Non è stato erogato nulla", afferma Dahlan. "(lo stanziamento) E'stato approvato e ne è stata data notizia. Ma non abbiamo ricevuto nemmeno un centesimo".
Qualsiasi idea che il denaro potesse essere trasferito rapidamente e facilmente era morta a Capitol Hill, dove il pagamento venne bloccato dalla Sottocommissione del Congresso per il Medio Oriente e l’Asia meridionale, i cui membri temevano che gli aiuti militari ai Palestinesi sarebbero potuti finire con l'essere rivolti contro Israele.
Dahlan non esitò a far sentire la sua esasperazione. "Ho parlato con Condoleezza Rice in diverse occasioni", egli spiega. "Ho parlato con Dayton, con il console generale, con tutti quelli dell'amministrazione che conoscevo. Mi hanno detto, <<Hai un argomento convincente>>. Eravamo seduti nell’ufficio di Abbas a Ramallah, e ho spiegato tutto a Condi. E lei ha detto: <<Sì, dobbiamo fare uno sforzo per fare questo. Non c'è altra via>>". "In alcuni di questi incontri, afferma Dahlan, erano presenti anche l’Assistente Segretario Welch e il Vice-consigliere per la sicurezza nazionale Abrams. L'amministrazione tornò al Congresso, con un pacchetto ridotto a 59 milioni di dollari per aiuti non letali, che venne approvato nell’aprile 2007. Ma, come Dahlan sapeva, il team di Bush aveva trascorso gli ultimi mesi ad esplorare alternative, mezzi per ottenere di nascosto i fondi e le armi che voleva. La riluttanza del Congresso significava che "si dovevano cercare diverse strade, diverse fonti di denaro", afferma un funzionario del Pentagono.
Un funzionario del Dipartimento di Stato aggiunge, "I responsabili dell’attuazione della scelta politica andavano dicendo: <<Fate tutto quello che serve. Dobbiamo mettere Fatah in grado di sconfiggere militarmente Hamas, e solo Muhammad Dahlan ha l’astuzia e la forza per farlo>>". L'aspettativa era che si sarebbe andati a finire con una resa dei conti militare. "C’erano – dice quel funzionario - due <<programmi paralleli>>: uno, palese, che l'amministrazione ha portato al Congresso, e uno nascosto, e non solo per comprare armi, ma per pagare gli stipendi del personale della sicurezza."
In sostanza, il programma era semplice. Secondo i funzionari del Dipartimento di Stato, a cominciare dalla seconda parte del 2006, Rice avviò una numerosa serie di telefonate e di incontri personali con i leader di quattro Paesi arabi: Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Chiese loro di rafforzare Fatah, fornendo addestramento militare e fondi per acquistare armi letali. Il denaro doveva essere versato direttamente su conti controllati dal Presidente Abbas.
Lo schema presenta qualche somiglianza con lo scandalo Iran-contra, in cui membri dell’amministrazione di Ronald Reagan vendettero armi all'Iran, un nemico degli Stati Uniti. Il denaro venne utilizzato per finanziare la ribellione dei contras in Nicaragua, in violazione di un divieto del Congresso. Alcuni dei soldi per i contras, come quelli per Fatah, erano stati forniti da alleati Arabi come risultato del lavoro di lobbying degli Stati Uniti.
Ma vi sono anche importanti differenze, a cominciare dal fatto che il Congresso non ha approvato alcuna misura che vieti espressamente la fornitura di aiuti a favore di Fatah e Dahlan. "Era un’azione al limite (della legge)", dice un ex funzionario di intelligence con esperienza in operazioni coperte, "Ma probabilmente non era illegale".
Legali o meno, le spedizioni di armi cominciarono presto a prendere corpo. Alla fine del dicembre 2006, quattro camion egiziani attraversarono un valico di Gaza controllato dagli Israeliani, consegnando il proprio carico a Fatah. Questo comprendeva 2000 fucili automatici egiziani, 20000 proiettili ad alta velocità e due milioni di pallottole. Trapelarono notizie della spedizione, e Benjamin Ben-Eliezer, un membro del gabinetto israeliano, disse alla radio israeliana che le armi e le munizioni avrebbero dato ad Abbas "la capacità di far fronte a quelle organizzazioni che stanno cercando di rovinare tutto", vale a dire Hamas.
Avi Dichter ricorda che tutte le spedizioni di armi dovevano essere approvate da Israele, che è stato comprensibilmente riluttante a permettere l’ingresso di armi a Gaza. "Una cosa è certa, non stiamo parlando di armi pesanti", afferma un funzionario del Dipartimento di Stato. "Erano armi di piccolo calibro, mitragliatrici leggere, munizioni".
Forse, gli Israeliani si nascosero dietro gli Americani. Forse, Elliott Abrams stesso si tenne in disparte, non disposto a violare le leggi statunitensi per la seconda volta. Uno dei suoi collaboratori afferma che Abrams - che ha rifiutato di commentare questo articolo - si sentì in conflitto, non solo politicamente, dilaniato tra il disprezzo che nutriva per Dahlan e la sua lealtà sopra ogni altra cosa verso l'amministrazione. Egli non fu il solo: "Vi sono state gravi fratture tra i neoconservatori su questo", dice l'ex consigliere di Cheney, David Wurmser. "Ci stavamo facendo a pezzi l’un l’altro".
Durante un viaggio in Medio Oriente, nel gennaio 2007, Rice ebbe difficoltà a convincere i suoi partner ad onorare i loro impegni. "Gli Arabi sentivano che gli Stati Uniti non erano seri", dice un funzionario. "Sapevano che, se gli Americani fossero stati seri, avrebbero messo i propri soldi, non solo le parole. Essi non hanno fiducia nella capacità dell’America di mettere in campo una forza reale. Non c’era coerenza. Pagare era cosa diversa dal promettere, e non vi era alcun piano".
Quel funzionario ritiene che il programma abbia ottenuto "un piccolo versamento di 30 milioni di dollari", la maggior parte dei quali – e su questo le altre fonti concordano - stanziati dagli Emirati Arabi Uniti. Dahlan stesso sostiene che il totale è stato solo di 20 milioni di dollari, e conferma che "gli Arabi abbiano fatto molte più promesse di quanto abbiano pagato." Qualunque sia l'importo esatto, non fu sufficiente.

Il Piano B

Il 1 ° febbraio 2007, Dahlan portò la sua "guerra molto intelligente" a un nuovo livello, quando le milizie di Fatah sotto il suo controllo assaltarono l'Università islamica di Gaza, una roccaforte di Hamas, e diedero alle fiamme vari edifici. Hamas rispose, il giorno dopo, con una ondata di attacchi contro stazioni di polizia.
Non volendo essere responsabile di una guerra civile palestinese, Abbas tentennò. Per settimane, il re Abdullah dell'Arabia Saudita aveva cercato di convincerlo ad incontrarsi con Hamas alla Mecca e istituire formalmente un governo di unità nazionale. Il 6 febbraio Abbas ci andò, portando Dahlan con lui. Due giorni più tardi, anche se Hamas non aveva accettato di riconoscere Israele, venne siglato l’accordo.
In base ai suoi termini, Ismail Haniyeh di Hamas sarebbe restato primo ministro, mentre membri di Fatah avrebbero occupato i ministeri più importanti. Quando arrivò nelle stradea notizia che i sauditi avevano promesso di pagare gli stipendi e le bollette dell'Autorità palestinese, i membri di Fatah e di Hamas a Gaza festeggiarono insieme sparando in aria con i loro kalashnikov.
Ancora una volta, l'amministrazione Bush era stata colta di sorpresa. Secondo un funzionario del Dipartimento di Stato, "A Condi prese un colpo". Un interessante rapporto documentato, rivelato qui per la prima volta, dimostra che gli Stati Uniti risposero raddoppiando la pressione sui loro alleati palestinesi.
Il Dipartimento di Stato elaborò rapidamente un’alternativa al nuovo governo di unità. Conosciuto come "Piano B", il suo obiettivo, secondo una nota del Dipartimento di Stato, riconosciuta come autentica da un funzionario che ne venne a conoscenza a quel tempo, era quello di "attivare [Abbas] e i suoi sostenitori per raggiungere una soluzione finale entro la fine del 2007. La soluzione finale avrebbe dovuto produrre, con mezzi democratici, un governo (palestinese) che accettasse i principi del Quartetto ".
Come l'ultimatum di Walles della fine del 2006, il Piano B invitava Abbas a far "collassare il governo" se Hamas avesse rifiutato di modificare il suo atteggiamento nei confronti di Israele. Quindi, Abbas avrebbe potuto indire elezioni anticipate o imporre un governo di emergenza. Non è chiaro se, come presidente, Abbas avesse il potere costituzionale di sciogliere un governo eletto guidato da un partito rivale, ma gli americani spazzarono da parte ogni preoccupazione.
Le esigenze di sicurezza erano di primaria importanza, e il Piano B conteneva esplicite prescrizioni per soddisfarle. Per tutto il tempo in cui il governo di unità fosse rimasto in carica, era essenziale per Abbas mantenere "un controllo indipendente delle principali forze di sicurezza." Egli doveva "evitare l’integrazione di Hamas in questi servizi, eliminando la Forza Esecutiva o attenuando le sfide poste dal permanere della sua esistenza".
In un chiaro riferimento agli attesi aiuti segreti da parte degli Arabi, il documento faceva questa raccomandazione per i successivi sei/nove mesi: "Dahlan sovrintende lo sforzo generale in coordinamento con il generale Dayton e gli Arabi per addestrare e attrezzare una milizia di 15.000 uomini sotto la guida del Presidente Abbas, per stabilire la legge e l'ordine all’interno, fermare il terrorismo e scoraggiare le forze extralegali".
Gli obiettivi dell'amministrazione Bush per il Piano B sono stati elaborati in un documento dal titolo "Un piano d'azione per la presidenza palestinese." Questo piano d'azione è passato attraverso diversi progetti ed è stato sviluppato da Stati Uniti, Palestinesi e governo della Giordania. Le fonti, tuttavia, concordano che sia stato partorito dal Dipartimento di Stato.
I primi progetti sottolineavano la necessità di rafforzare le milizie di Fatah, al fine di "scoraggiare" Hamas. Il "risultato desiderato" era quello di dare ad Abbas "la capacità di prendere le necessarie decisioni politiche strategiche… come la destituzione del gabinetto e l’istituzione di un gabinetto di emergenza".
Le bozze invitavano ad aumentare "il livello e la capacità" dei 15.000 effettivi esistenti del personale della sicurezza di Fatah, con l'aggiunta di 4.700 uomini di sette nuovi "battaglioni di polizia altamente addestrati per operazioni di forza". Il piano prometteva anche di organizzare "addestramenti specializzati all'estero", in Giordania ed Egitto, e si impegnava a "fornire al personale di sicurezza le armi e le attrezzature necessarie per svolgere i propri compiti."
Un bilancio dettagliato portava il costo totale per gli stipendi, la formazione, e "le necessarie apparecchiature per la sicurezza, letali e non letali", a 1,27 miliardi di dollari nell'arco di cinque anni. Il piano affermava: "Il bilancio globale dei costi è stato sviluppato congiuntamente dal team del generale Dayton e dal team tecnico palestinese per la riforma", un'unità istituita da Dahlan e guidata da un suo amico e collaboratore politico, Bassil Jaber. Jaber conferma che il documento è una sintesi accurata del lavoro che lui ed i suoi colleghi hanno fatto con Dayton. "Il piano era quello di creare una istituzione di sicurezza che avrebbe potuto proteggere e rafforzare uno Stato palestinese pacifico che vivesse fianco a fianco con Israele", egli spiega.
Il progetto definitivo del piano d'azione è stato elaborato a Ramallah da funzionari dell'Autorità palestinese. Questa versione era identica alla precedente in tutti gli aspetti significativi, tranne uno: presentava il piano come se fosse stata un’idea dei Palestinesi. Affermava anche che i piani di sicurezza erano stati "approvati dal presidente Mahmoud Abbas, dopo essere stati discussi e concordati con il team del generale Dayton".
Il 30 aprile 2007, una parte del progetto venne fatta trapelare prematuramente ad un giornale giordano, Al-Majd. Il segreto non c’era più. Dal punto di vista di Hamas, il Piano d'Azione poteva significare una sola cosa: un progetto di golpe di Fatah, diretto dagli USA.

"Siamo alla fine della partita"

La formazione del governo di unità aveva portato una certa calma nei territori palestinesi, ma la violenza scoppiò nuovamente dopo la pubblicazione su Al-Majd della storia del Piano d'Azione. La tempistica fu crudele con Fatah, che, oltre ai consueti svantaggi, si trovò senza il suo capo della sicurezza. Dieci giorni prima, Dahlan aveva lasciato Gaza per Berlino, dove fu sottoposto ad un intervento chirurgico ad entrambe le ginocchia, a causa del quale dovette trascorrere le successive otto settimane in convalescenza.
A metà maggio, con Dahlan ancora assente, un nuovo elemento si aggiunse al mix tossico di Gaza, quando arrivarono 500 reclute delle Forze di Sicurezza Nazionale di Fatah, fresche di formazione in Egitto e dotate di nuove armi e veicoli. "Avevano fatto un corso di 45 giorni," afferma Dahlan. "L'idea era che avevamo bisogno che loro andassero in giro ben vestiti, ben equipaggiati, e che questo avrebbe potuto creare l'impressione della nuova autorità". La loro presenza venne immediatamente notata, non solo da Hamas, ma anche dal personale delle agenzie di aiuto occidentali. "Avevano nuovi fucili con mirino telescopico, e indossavano fiammanti giubbe nere", dice un frequente visitatore del Nord Europa. "Erano del tutto in contrasto con la consueta trasandatezza".
Il 23 maggio nientemeno che il tenente generale Dayton discusse della nuova unità in una deposizione davanti al sottocomitato per il Medio Oriente. Hamas aveva attaccato le truppe al loro ingresso a Gaza dall’Egitto, disse Dayton, ma "questi 500 giovani, freschi di addestramento, erano preparati. Hanno saputo lavorare in modo coordinato. L’addestramento è servito. E l'attacco di Hamas nella zona è stato, quindi, respinto. "
L’arrivo delle truppe, disse Dayton, era uno dei numerosi "segni di speranza" a Gaza. Un altro era la nomina di Dahlan come Consigliere per la sicurezza nazionale. Nel frattempo, egli disse, la Forza Esecutiva di Hamas stava diventando "estremamente impopolare, direi che siamo alla fine della partita, noi siamo ben piazzati e il lanciatore della squadra avversaria comincia ad essere stanco".
La squadra avversaria era più forte di quanto pensasse Dayton. Entro la fine di maggio 2007, Hamas aveva attuato attacchi regolari e di audacia e barbarie senza precedenti.
In un appartamento di Ramallah che Abbas aveva messo a disposizione dei rifugiati feriti di Gaza, incontro un ex funzionario delle comunicazioni di Fatah, il cui nome è Tariq Rafiyeh. E’ paralizzato da un proiettile che lo ha colpito alla colonna vertebrale, durante il golpe di giugno, ma la sua sofferenza era iniziata due settimane prima. Il 31 maggio, si trovava per la strada di casa sua con un collega, quando vennero fermati a un blocco stradale, derubati del denaro e dei telefoni cellulari, e portati in una moschea. Lì, nonostante lo stato di luogo santo del posto, i membri della Forza Esecutiva di Hamas stavano interrogando violentemente i prigionieri di Fatah. "Più tardi, quella notte, uno di loro disse che stavano per essere liberati", ricorda Rafiyeh. "Ordinò alle guardie: <<Siate ospitali e teneteli al caldo>>". Ho pensato che significava ucciderci, invece, prima di lasciarci andare, ci hanno picchiato duramente".
Il 7 giugno si verificò un’altra dannosa fuga di notizie, quando il giornale israeliano Haaretz riferì che Abbas e Dayton avevano chiesto a Israele di autorizzare una grande spedizione di armi egiziane, che includeva decine di autoblindo, centinaia di razzi perforanti, migliaia di bombe a mano e milioni di munizioni. Pochi giorni dopo, poco prima della prevista partenza di un nuovo gruppo di reclute di Fatah per l’addestramento in Egitto, il golpe cominciò seriamente.

L’ultima resistenza di Fatah

La leadership di Hamas a Gaza, è fermamente convinta che il golpe non sarebbe accaduto se Fatah non lo avesse provocato. Fawzi Barhoum, portavoce di Hamas, dice che la fuga di notizie di Al-Majd convinse il partito che "c’era un piano, approvato dal America, per distruggere la scelta politica". L'arrivo del primo contingente di combattenti addestrati in Egitto, aggiunge, fu la "ragione della scelta dei tempi." Circa 250 membri di Hamas erano stati uccisi nei primi sei mesi del 2007, mi dice Barhoum. "Finalmente, abbiamo deciso di porre fine a quella situazione. Se li avessimo lasciati fare quello che volevano a Gaza, ci sarebbe stata ancora più violenza".
"Ognuno qui sapeva che Dahlan, con il contributo degli Americani, stava cercando di minare i risultati delle elezioni", spiega Mahmoud Zahar, l'ex ministro degli Esteri del governo Haniyeh, che ora dirige l’ala militante di Hamas a Gaza. "Lui era l'unico che stesse pianificando un colpo di Stato."
Zahar ed io parliamo nella sua casa di Gaza, ricostruita dopo essere stata distrutta da un attacco aereo israeliano nel 2003, in cui fu ucciso uno dei suoi figli. Lui mi dice che Hamas ha avviato le sue operazioni nel mese di giugno, con un obiettivo limitato: "La decisione era di sbarazzarsi solo del servizio di sicurezza preventiva. Controllavano ogni incrocio, mettendo chiunque fosse sospettato di coinvolgimento con Hamas a rischio di essere torturato o ucciso. Ma, quando a Jabalya i combattenti di Fatah, circondati all’interno di un ufficio della sicurezza preventiva, iniziarono a ritirarsi di casa in casa, si provocò un’effetto domino", che incoraggiò Hamas a cercare successi più ampi.
Molte unità armate che erano nominalmente fedeli a Fatah non combatterono affatto. Alcuni rimasero neutrali perché temevano che, con Dahlan assente, le loro forze erano destinate ad essere sconfitte. "Ho voluto interrompere il circolo delle uccisioni", dice Ibrahim al-abu Nazar, un veterano capo del partito. "Cosa si aspettava Dahlan? Pensava che la US Navy arrivasse in soccorso di Fatah? Gli hanno promesso di tutto, ma cosa hanno fatto? Ma anche lui li ha ingannati. Gli ha detto che lui era l’uomo forte della regione. Probabilmente, anche gli Americani ora si sentono tristi e frustrati. Il loro amico ha perso la battaglia".
Altri che sono rimasti fuori dalla lotta erano estremisti. "Fatah è un grande movimento, con al suo interno molte correnti", dice Khalid Jaberi, un comandante delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, che continuano a sparare razzi contro Israele da Gaza. "La corrente di Dahlan è finanziata dagli Americani e crede nei negoziati con Israele come scelta strategica. Dahlan ha cercato di controllare ogni cosa in Fatah, ma ci sono quadri che potrebbero fare un lavoro molto migliore. Dahlan ci ha trattati come un dittatore. Non vi fu alcuna decisione collettiva di Fatah per affrontare Hamas, e questo è il motivo per cui le nostre armi di al-Aqsa sono le più pulite. Non le abbiamo sporcate con il sangue del nostro popolo ".
Jaberi fa una pausa. Ha trascorso la notte prima della nostra intervista sveglio e nascondendosi, per paura degli attacchi aerei israeliani. "Sai", dice, "dal momento della presa del potere abbiamo provato ad entrare nel cervello di Bush e Rice, per capire la loro mentalità. Possiamo solo concludere che avere il controllo di Hamas serve alla loro strategia globale, perché altrimenti la loro politica sarebbe stata folle".
I combattimenti finirono in meno di cinque giorni. Cominciarono con attacchi agli edifici della sicurezza di Fatah, dentro e attorno Gaza City e nella città meridionale di Rafah. Fatah tentò di attaccare la casa del primo ministro Haniyeh, ma dal crepuscolo del 13 giugno le sue forze erano in rotta.
Gli anni dell’oppressione di Dahlan e delle sue milizie erano stati vendicati e Hamas diede la caccia ai combattenti di Fatah allo sbando, giustiziandoli sommariamente. Almeno una vittima, è stato riferito, fu gettata dal tetto di un alto edificio. Il 16 giugno Hamas aveva conquistato ogni palazzo di Fatah, compresa la residenza ufficiale di Abbas a Gaza. Gran parte della casa di Dahlan, che usava anche come suo ufficio, venne ridotta in macerie.
L’ultima resistenza di Fatah, abbastanza prevedibilmente, venne da parte del Servizio di Sicurezza Preventiva. L'unità sostenne pesanti perdite di vite umane, ma un gruppo di circa 100 combattenti superstiti riuscì a raggiungere fortunosamente la spiaggia ed a scappare nella notte con delle barche da pesca.
Nell’appartamento di Ramallah, il ferito lotta ancora. A differenza di Fatah, Hamas ha sparato proiettili esplosivi, vietati dalla Convenzione di Ginevra. Alcuni degli uomini nell’appartamento sono stati colpiti da 20 o 30 di questi proiettili, che provocano lesioni inimmaginabili che determinano l'amputazione dell’arto. Parecchi di loro hanno perso entrambe le gambe.
Il golpe ha avuto altri costi. Amjad Shawer, un economista locale, mi dice che, all’inizio del 2007, a Gaza erano in attività 400 fabbriche e laboratori. A dicembre, l’intensificazione del blocco israeliano aveva provocato la chiusura del 90 per cento di essi. Il settanta per cento della popolazione di Gaza ora vive con meno di 2 dollari al giorno.
Israele, nel frattempo, non è diventato più sicuro. Il governo di emergenza a favore della pace, obiettivo del piano d'azione segreto, è ora in funzione, ma solo in Cisgiordania. A Gaza, è successo esattamente quello contro sia Israele che il Congresso degli Stati Uniti avevano messo in guardia, e cioè che la maggior parte delle armi di Fatah sono ora in mano ad Hamas, comprese le nuove armi egiziane introdotte di nascosto dal programma di aiuti arabo-statunitense.
Ora che controlla Gaza, Hamas ha dato libero sfogo ai militanti intenti a sparare razzi sulle vicine città israeliane. "I nostri razzi sono in via di sviluppo; presto potremo colpire volontà il cuore di Ashkelon", afferma Jaberi, il comandante di al-Aqsa, riferendosi alla città israeliana di 110.000 abitanti a 12 miglia dal confine di Gaza. "Vi assicuro che è vicino il momento in cui effettueremo una grande operazione all'interno di Israele, ad Haifa o Tel Aviv."
Il 23 gennaio Hamas fece saltare parti del muro eretto fra Gaza e l’Egitto, e decine di migliaia di Palestinesi attraversarono il confine. I militanti già contrabbandavano armi attraverso una rete di tunnel sotterranei, ma l’abbattimento del muro rese molto più facile il loro lavoro e forse ha portato la minaccia di Jaberi più vicina alla realtà.
George W. Bush e Condoleezza Rice, continuano ad insistere sul processo di pace, ma, dice Avi Dichter, Israele non concluderà un accordo su uno Stato palestinese fino a quando i Palestinesi non avranno riformato l'intero sistema di applicazione della legge, quello che lui chiama "la catena di sicurezza". Con Hamas che controlla Gaza, sembra non esservi alcuna possibilità che questo avvenga. "Basta guardare la situazione", afferma Dahlan. "Dicono che ci sarà un accordo sullo status finale in otto mesi? Non esiste".

"Un fallimento istituzionale"

Cosa hanno dunque sbagliato gli Stati Uniti a Gaza? I Neocons critici verso l'amministrazione - che fino allo scorso anno vi erano interni – danno la colpa ad un vecchio vizio del Dipartimento di Stato: la smania di trovare un uomo forte, invece di risolvere i problemi direttamente. Questa manovra non è riuscita in luoghi diversi come il Vietnam, le Filippine, l'America centrale, nell’Iraq di Saddam Hussein, durante la guerra contro l'Iran. Contare su un procuratore come Muhammad Dahlan, dice l'ex ambasciatore delle Nazioni Unite John Bolton, è "un fallimento istituzionale, un fallimento di strategia." Il suo autore, dice, è stato Rice, "che, come altri negli ultimi giorni di questa amministrazione, sta cercando un’eredità. Hanno sbagliato a non ascoltare l'avvertimento di non tenere le elezioni e poi hanno cercato di evitarne il risultato attraverso Dayton".
Con poche opzioni rimaste, l'amministrazione adesso sembra avere un ripensamento sul suo rifiuto totale di coinvolgimento di Hamas. Personale del Consiglio di Sicurezza Nazionale e del Pentagono ha recentemente contattato con discrezione alcuni esperti del mondo accademico, chiedendo loro informazioni su Hamas e sui suoi principali protagonisti. "Loro dicono di non voler parlare con Hamas", dice uno di questi esperti, "ma alla fine dovranno farlo. E' inevitabile".
È impossibile dire con certezza se l'esito a Gaza sarebbe stato migliore - per il popolo palestinese, per gli Israeliani e per gli alleati dell'America in Fatah - se l'amministrazione Bush avesse perseguito una politica diversa. Una cosa, però, sembra certa: non sarebbe potuto essere peggiore.

marzo 2008

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