L'espulsione di Antonio Olivieri dell'ass. "Verso il Kurdistan" 
  

  
LA REDAZIONE DI ALKEMIA IN KURDISTAN AL FIANCO 
  
DEGLI OSSERVATORI INTERNAZIONALI
  
NEWROZ 2013: L’URLO DEL POPOLO KURDO
  
Testimonianza di Mirca Garuti
  
(1° parte)
  

  
 
  
“Mi   hanno ritirato il passaporto e portato in uno stanzone, lì c’erano   altri stranieri. Nessuna spiegazione, ovviamente. Solo la comunicazione   che sarei stato rimpatriato, e per tutta la notte una bottiglietta   d’acqua”.
  
Queste sono le prime parole di Antonio Olivieri, presidente dell’associazione "Verso il Kurdistan", intervistato al suo rientro in Italia dopo l’espulsione dalla Turchia perché “indesiderato per motivi politici”.   Così è iniziato il viaggio della delegazione italiana per monitorare  la  situazione dei diritti umani e partecipare ai festeggiamenti del Newroz 2013   in Turchia. Domenica 17 marzo scorso all’aeroporto Ataturk d’Istanbul,   Antonio Olivieri è stato subito isolato dal resto del gruppo,   sequestrato i documenti, perquisito e trattenuto, per poi essere   espulso.  “Siamo un gruppo, una delegazione dell’associazione che ogni anno partecipa al Newroz, il capodanno Kurdo (che si festeggia il 21 marzo). Dovevamo   raggiungere Van, Yuksekova, Hakkari, Sirnak e Diyarbakir. Portavamo   aiuti alle famiglie e borse di studio per le ragazze”, continua   così Antonio nella sua intervista.  Antonio non è purtroppo l’unico   italiano che segue pacificamente e con determinazione la questione   curda, soggetto al respingimento dalla Turchia, basta citare per   esempio: Aldo Canestrari, l’avvocato Arturo Salerni, Carlotta Grisi e   Francesco Marilungo. Antonio pone l’accento infine che questi atti   d’intimidazione da parte del governo di Ankara “non cambieranno la nostra attività. Noi proseguiremo negli aiuti. Noi vogliamo solo portare avanti i nostri progetti.”
Il viaggio della delegazione italiana inizia quindi senza la presenza del responsabile dell’Associazione “Verso il Kurdistan” ma, senza alcuna esitazione, anzi, con una più forte determinazione.
  
Il Newroz 2013   celebrato in Turchia ha, nonostante tutto, qualcosa di diverso  rispetto  a quelli degli anni passati. L'atmosfera che si respira è  dolce, come  una sottile brezza che accarezza la pelle. E’ la speranza,  chiusa dentro  ogni cuore del popolo curdo, che lentamente si fa strada  tra mille  ricordi e disillusioni. Chissà se oggi si potrà riuscire  finalmente ad  arrivare ad una vera pace?  A non dover mai più andare a  portare omaggio  ai familiari di vittime di massacri, come quello  avvenuto un anno e  mezzo fa a Roboski?
  
Il leader storico del PKK, Abdullah Ocalan   ha teso una mano, ora tocca al governo turco dimostrare la serietà e   volontà di mettere in pratica i nuovi progetti di pace, fino ad oggi   rimasti sempre solo sulla carta. Questa è l'ultima possibilità di poter   arrivare alla conclusione di un conflitto che dura ormai da troppo   tempo. L'alternativa è quella di un'altra nuova guerra e, questa volta   sarà una grande guerra popolare. 
  
Il 21 marzo, il gruppo “La delegazione di Van” dell'associazione Verso il Kurdistan   è riuscita a raggiungere Diyarbakir per partecipare al grande Newroz,   considerato da tutti il grande evento storico. Per questo abbiamo   cambiato il nostro programma anche perché i sindaci di Hakkari e Sirnak   che dovevamo incontrare proprio quello stesso giorno erano diretti   entrambi a Diyarbakir. 
  
Il   20 marzo, nelle prime ore del pomeriggio, abbiamo quindi lasciato   Yuksekova per raggiungere Mardin (circa 500 Km), tappa intermedia, per   arrivare a Diyarbakir, il giorno successivo. Durante il tragitto abbiamo   incontrato nove posti di blocco, sei dei quali negli ultimi 60   chilometri, dove siamo stati sempre fermati per il controllo dei   passaporti e verifica del nostro programma. La polizia sapeva già dove   stavamo andando.
                                              
Lasciamo Mardin la mattina del 21 marzo per raggiungere finalmente Diyarbakir. 
  
Già   dalle prime ore del giorno si poteva presagire l'immensa folla che si   stava spingendo verso il luogo prestabilito: lunghe file d’auto,   pulmini, carretti e a piedi, tanti uomini, donne, bambini, anziani. Il   tutto succedeva tra i suoni concitati dei clakson delle auto che   sembrava volessero chiamare a raccolta tutte le persone, tra lo   sventolio delle bandiere dai colori giallo, rosso, verde e gli slogan   urlati che ripetevano in continuazione le parole “Apo, Apo e Libertà, Democrazia”.  
  
Com'era   diversa l'atmosfera l'anno scorso! Allora si respirava solo tensione,   paura e rabbia. La polizia era in tenuta anti sommossa ed aveva negato   l'autorizzazione per la celebrazione del Newroz.  (vedi newroz 2012)   I lacrimogeni ed i getti d'acqua non erano però riusciti a bloccare il   milione di persone che alla fine aveva partecipato al Newroz. Se   l'impatto di tutta quella folla dell'anno scorso è stato sorprendente,   entusiasmante e molto caloroso, si può tranquillamente immaginare come   sia stato quest'anno, con la presenza di oltre due milioni di persone.   Un'emozione straordinaria. Un fiume immenso di donne, bambini, uomini,   tutti accorsi per assistere alla lettura della lettera di Ocalan   indirizzata a loro, al popolo del Newroz. Suoni, musica, colori, balli   ma, soprattutto, libertà di poter esprimere la propria gioia per una   vera speranza di pace.
  
Non   avevo mai visto una tale folla! E' importante schierarsi al fianco di   questo popolo dimenticato dal resto del mondo. Si capisce di essere   dalla parte giusta, dalla parte di chi chiede giustizia e, nello stesso   tempo, cresce, però la rabbia per l'indifferenza che domina non solo  tra  le persone comuni ma, sopratutto da parte di tutti i governi  europei e  non, compresa la nostra bella Italia.  
  
 
Dopo   aver attraversato prati, terreni incolti, pietraie, siamo arrivati ai   margini della grande area, già completamente occupata da una marea di   persone. Non ci siamo fermati. Senza considerare un probabile pericolo,   dato l’enormità della massa di persone che avevamo davanti a noi, ci   siamo letteralmente tuffati tra la gente per poter raggiungere il palco   centrale, per portare la nostra solidarietà al popolo kurdo. La visione   dal palco è stata, infatti, sorprendente, spettacolare, da brividi.   L'emozione che si è impadronita di noi tutti è stata enorme.  La   popolazione curda si è dimostrata con la nostra delegazione attenta,   premurosa e felice per la nostra presenza. 
  
Gli interventi politici tenuti dai vari esponenti del partito BDP,   dai sindaci di tante città e responsabili d’organizzazioni della   società civile curda sono stati numerosi. Erano presenti, oltre a noi,   anche tante altre delegazioni straniere, tutte accolte con grande   entusiasmo e calore. 
  
Il   momento più importante ed atteso è stato naturalmente quello relativo   alla lettura della lettera di Ocalan* accolta da un’enorme ovazione da   parte di tutti i presenti, nel momento in cui un deputato ha iniziato   con i saluti di Abdullah Ocalan al suo popolo: “Saluto   il Newroz di libertà degli oppressi - Saluto il popolo del Medio   Oriente e dell’Asia Centrale che celebra questo giorno di risveglio,   rinascita e rigenerazione del Newroz con straordinaria partecipazione e   unità… - Saluto tutti i popoli che celebrano il Newroz, questo giorno   luminoso che marca il punto di svolta di una nuova era, con grande   entusiasmo e tolleranza democratica… - Saluto tutti coloro che   percorrono il lungo percorso per i diritti democratici, la libertà e   l’uguaglianza… - Saluto uno fra i popoli più antichi delle terre sacre   di Mesopotamia e Anatolia, dove sono nate l’agricoltura e le prime   civilizzazioni, ai piedi dei Monti Tauros e Zagros fino alle rive dei   fiumi Eufrate e Tigri. Saluto il popolo curdo…”
  
Le   parti più significative sulle quali si è aperto un dibattito sia tra  il  popolo curdo e sia tra tutte quelle forze politiche ed  organizzazioni  che si occupano della questione curda, sono state  naturalmente quelle  relative a: 
  
- “ E’ tempo che le armi tacciano e che le idee parlino”
  
- “ E’ il momento che la politica vada oltre le armi”
  
- “ E’ tempo che le nostre forze armate si ritirino oltre il confine”
  
- “ Questo è un nuovo inizio, non è una fine”
  
- “ E’ l’inizio di una nuova lotta in favore di tutte le minoranze etniche”
  
- “ I turchi e i curdi hanno inaugurato insieme il Parlamento nel 1920”
  
- “ Abbiamo costruito insieme il passato e adesso abbiamo bisogno di mantenerlo insieme”
  
 
  
* testo completo della lettera di Ocalan
 
  
 
 Foto Newroz di Diyarbakir
Le musiche del Newroz 
  
  
La lettera di Ocalan ha in pratica concluso il Newroz di Amed (Diyarbakir).   I balli, la musica, la speranza continuano ad animare gli animi della   popolazione curda, ma chissà, mi chiedo, mentre mi avvio all’uscita   della grande spianata, se davvero ci sarà una svolta positiva per questo   martoriato popolo?
                                                                                                      
  
Il passato certamente non ci offre molte illusioni in merito, se pensiamo ai tanti tentativi di dialogo, in particolare, “all’apertura curda del 2009” e alle “trattative di Oslo del 2011”, oppure agli otto tentativi di “cessate il fuoco” da parte del PKK dal 1993 ad oggi, tutti falliti.
  
Le   trattative di oggi sono iniziate ad ottobre scorso, quando la  questione  curda è ritornata ad essere al centro di un nuovo dialogo tra  lo stato  turco e Abdullah Ocalan, con l’obiettivo di mettere fine al  conflitto  tra il PKK e l’esercito turco. Trent’anni di guerra hanno,  infatti,  provocato oltre 40mila vittime e, nel solo 2012, anno  oggetto  di violenti scontri, i morti militanti nel PKK sono stati 1500  e tra i  soldati turchi, 601. Il 17 novembre Ocalan annuncia l’avvio dei colloqui con il MIT (servizi segreti turchi) e, contemporaneamente, attraverso suo fratello Mehmet,   dopo il loro incontro sull’isola di Imrali, trasmette un appello ai   prigionieri (un centinaio) in sciopero della fame invitandoli a cessare   questa forma di protesta. Ocalan dichiara che “I prigionieri in   sciopero della fame si sono addossati sulle loro spalle le   responsabilità di coloro che sono fuori, i quali dovrebbero evitare   comunque di appesantire i prigionieri con le loro proprie responsabilità   e doveri. Oltre alla mia disapprovazione dell’atto dello sciopero  della  fame, penso che questo dovrebbe essere intrapreso dalle persone   all’esterno delle carceri se necessario, non dalle persone all’interno.   Questo atto estremamente significativo deve avere termine senza   esitazione poiché ha raggiunto il suo scopo primario. Intendo salutare   specialmente tutti coloro che sono in sciopero della fame, in   particolare quelli del primo e secondo gruppo”.
  
I colloqui di pace sono diventati ufficiali, quando il 3 gennaio 2013,   il governo ha permesso ad una delegazione di due deputati del partito   BDP d’incontrare Ocalan che da 18 mesi poteva vedere solo i suoi   familiari. 
Il 9 gennaio a Parigi sono uccise tre attiviste curde: Sakine Cansiz (una fondatrice del Pkk insieme al leader Ocalan nel 1978), Fidan Dogan e Leyla Soylemez.   Le ipotesi che si fanno sui mandanti sono tante, possono essere stati   tutti, da una faida interna al movimento curdo, allo Stato turco,  oppure  i servizi segreti iraniani, siriani fino ad arrivare ai “Lupi grigi”   (gruppo estremista nazionalista turco). La coincidenza temporale però   con la ripresa dei negoziati curdo-turchi fa pensare unicamente ad un   tentativo di sabotaggio, ma per fortuna i colloqui di pace non sono   cessati. Il 25 gennaio il Parlamento turco ha approvato   una legge che permette ai curdi di difendersi in tribunale usando la   propria lingua. Il secondo incontro con Ocalan da parte della   delegazione dei parlamentari curdi Sirri Sureyya Onder, Pelvin Budan e Altan Tan, avvenuto il 23 febbraio scorso,   è stato molto importante perché ha portato una maggiore chiarezza sul   piano di risoluzione del conflitto. Occasione che ha permesso ad Ocalan   di inoltrare tre lettere identiche al partito BDP, ai militanti del PKK stanziati sui monti nel nord Iraq e alla parte europea del KCK ( Unione delle comunità del Kurdistan) nelle quali presenta la sua Road-map per il processo di pace. 
  
 La road-map si sviluppa su tre diverse fasi. La prima “la filosofia della pace” mette in primo piano lo sviluppo di una nuova costituzione che possa dare una definizione di “cittadinanza libera da ogni tipo di riferimento etnico”, fondata su una “completa democrazia” e sui “principi della giurisprudenza internazionale”. La seconda “il piano d’azione” prevede il ritiro delle forze del PKK al di là del confine turco dal 21 marzo fino alla fine del mese di luglio. Il “ritiro” afferma però Ocalan deve essere reciproco ed approvato dal parlamento. Erdogan ha affermato che il processo di pace “inizierà de facto quando i membri del PKK si ritireranno in un altro paese”. L’ultima parte “eventuali problemi e conclusioni” dovrebbe mettere fine al processo di pace.
  
Le speranze sono tante, ma come anche la paura di restare soli senza più l’aiuto e la protezione del PKK.
  
Chi lotterà per le 10mila persone, amministratori locali, giornalisti, politici curdi che sono ancora in carcere?
  
                                                                                                                    
       
  
 
Perché   quindi oggi la situazione dovrebbe essere più favorevole? Sulla carta   ci sono alcuni nuovi elementi che fanno la differenza: la situazione in   Siria, il sistema di presidenzialismo alla turca a cui aspira Erdogan e   la scelta di coinvolgere apertamente Ocalan come interlocutore. 
L’apertura di Erdogan non è solo dovuta a motivi di sicurezza nazionale, ma anche e soprattutto al cambiamento avvenuto nel contesto regionale. La guerra civile in Siria   ha, infatti, creato molti timori e preoccupazioni al governo turco: la   riapertura della questione curda con il ritorno dei sentimenti   nazionalisti, i profughi, l’aumento delle divisioni etniche e la frenata   dell’economia in forte sviluppo in Anatolia. 
  
Il   peso politico dei curdi all’interno del conflitto in Siria è diventato   importante se si guarda a quello che sta succedendo al confine   sudorientale con la Turchia. La Turchia, infatti, teme che possa   accadere in Siria quello che è successo nel Nord Iraq, ossia la   formazione di un’area d’autonomia politica, il che significa per Ankara   la possibilità di avere due entità curde autonome sui suoi confini. 
La   politica del primo ministro turco Erdogan verso le popolazioni in fuga   da guerre è normalmente sempre stata quella del rispetto e della   collaborazione attraverso aiuti umanitari. Quando però si tratta di   curdi, il modo di agire cambia.  La possibilità dei curdi siriani di   poter considerare il loro territorio in forma autonoma, se pur   all’interno della Siria, non ha di certo rallegrato Erdogan. Questa   probabilità lo ha, infatti, spinto a mettere in pratica alcune selezioni   riguardanti gli aiuti sia ai profughi in fuga dalla Siria e sia a   quelli già presenti sul territorio turco. 
  
Quando l’esercito di Assad, a   causa dell’intensificazione dei combattimenti nella regione, si era   ritirato dal Kurdistan siriano, delegandone la sicurezza alle milizie   curde, i curdi avevano intravisto l’occasione di potersi servire della   guerra siriana per creare uno Stato autonomo nel nord del paese. Il Supremo Consiglio curdo, appoggiato dal governo del Kurdistan iracheno, è formato da vari partiti curdo-siriano, tra i quali emerge il Pyd   (Partito dell’Unione Democratica), fondato nel 2003 che rappresenta   l’ala sinistra del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). I suoi   militanti con il Consiglio nazionale curdo hanno composto le “Unità di difesa popolari” (Ypg)   che a fine luglio avevano preso il controllo delle città curde al nord   della Siria non permettendo a nessuno, né ai ribelli e né all’esercito   di Assad, di infiltrarsi. La tranquillità però è durata poco. Verso  fine  ottobre sono iniziati gli scontri. Il Centro Informazioni e  Relazioni  del Partito dell’Unione Democratica (Pyd) il  21  novembre 2012 rilascia una dichiarazione diretta all’opinione  pubblica  internazionale in merito all’incursione con carri armati della  città di Sare-kanye da parte del regime turco insieme a gruppi salafiti: “Sin   dall’inizio della Gloriosa Rivoluzione Siriana, il regime turco ha   interferito negli affari interni influenzandone il corso. Quando il   popolo è insorto contro la tirannia, il suo scopo era quello di condurre   una rivoluzione pacifica in nome della democrazia… Il regime siriano   insieme al regime turco ha armato dei gruppi per destabilizzare la   rivoluzione e renderla il più possibile violenta..  Poiché il popolo   curdo è stato capace di difendersi dagli assalti del regime è riuscito a   prendere il controllo della regione e quasi tutte le città curde sono   amministrate dal popolo che ha trasformato le istituzioni siriane   esistenti in consigli cittadini, contrariamente agli obiettivi del   regime turco… Il regime fascista ha iniziato a mettere in atto il suo   progetto da Efrin e Aleppo, ma ha fallito, dall’8 di questo mese ha   spinto verso la regione di Sarekaniye una moltitudine di salafiti e   Jidaisti che aveva rifornito di armi e mobilitato da diversi luoghi   della Turchia. Organizzazioni popolari, inclusi consigli e comitati,   hanno tentato a lungo di negoziare con gli invasori e con i fratelli   arabi, ma queste forze hanno rifiutato ogni tipo di accordo e hanno   cominciato uccidendo il capo dell’amministrazione locale ed uno dei suoi   compagni a tradimento. E’ questo episodio che ha comportato la   necessità di un intervento del YPG per bloccare gli aggressori… Tuttavia   l’intervento di sette carri armati e di veicoli corazzati provenienti   dal confine turco ha scioccato tutti e hanno cominciato a bombardare i   villaggi e le zone curde a caso per terrorizzare la popolazione e   disperderla… Noi, in qualità di Partito dell’Unione Democratica,   condanniamo questa interferenza sfacciata e sanguinosa/cruenta negli   affari del popolo siriano in generale e del popolo curdo in particolare,   sia da parte dei gruppi salafiti che da parte del regime turco e   chiediamo alla nostra gente di rimanere sulle loro terre, sulla loro   patria e di difendere i luoghi sacri.”
  
  
 
 Il Co-Presidente del Partito dell’Unione Democratica (PYD), Saleh Muslim   ha firmato un documento datato 1 novembre 2012 nel quale spiega la   visione dei curdi in merito alla situazione in Siria. La rivoluzione   siriana è iniziata nel 2011, ma non per il popolo curdo. Per i curdi   siriani, la rivoluzione è iniziata il 12 marzo 2004. Militanti arabi del   partito Baath armati e con foto di Saddam Hussein, sfruttando   l’occasione di una partita di calcio che si svolgeva a Qamishlo,   città a nord-est della Siria, al confine con la Turchia vicino alla   città turca di Nusaybin, hanno attaccato la popolazione civile curda   d’ogni città del Kurdistan sudoccidentale provocando centinaia di   feriti, migliaia d’arresti ed oltre 100 morti tra la popolazione curda.   Questo ha unito la popolazione del Kurdistan Occidentale contro il   repressivo regime baathista. I Newroz del 2008 e 2010 sono   stati duramente repressi con migliaia di nazionalisti curdi arrestati e   torturati. Nel marzo 2011 erano detenuti nelle carceri e nelle prigioni   sotterranee dell’intelligence siriana 1.500 sostenitori della causa   curda. Quando è iniziata la rivoluzione siriana per la libertà, per la   democrazia e la dignità, i curdi sono stati i primi partecipanti a   questa lotta insieme al popolo siriano. Muslim afferma che i curdi e le organizzazioni democratiche arabe avevano concordato che “La   rivoluzione siriana dovesse rimanere pacifica e che ci saremmo   impadroniti dei nostri diritti tramite mezzi democratici, con la   preservazione dell’autodifesa pubblica fino a giungere ad una completa   disobbedienza civile. Dobbiamo evitare la rivoluzione armata in   qualsiasi circostanza.” Il PYD ha aderito alla “Corporazione Nazionale di Coordinamento per le Forze di Cambiamento Democratico” e messo in atto nel 2007 il progetto “Autonomia Democratica”.   I partner arabi del popolo curdo però non sono stati capaci di   organizzare la popolazione e di controllare la situazione, permettendo   così al regime ed ai vari interventi esterni di deviare il percorso   pacifico della rivoluzione portandola ad armarsi. 
  
Muslim, in un’intervista del giornalista Lorenzo Giroffi rilasciata il 9 dicembre 2012 a Bruxelles ad una conferenza al Parlamento Europeo e riportata nel sito “First Line Press”, ha dichiarato: “Sappiamo   che non possiamo fidarci del regime e che la sua ritirata dai  territori  abitati e controllati dai curdi non è un segnale di  collaborazione, ma  solo frutto d’interessi, perché per Assad oggi  sarebbe dispendioso  aprire un fronte anche contro i curdi siriani.  Inoltre il regime conosce  bene la composizione delle nostre formazioni.  Noi non ospitiamo  estremisti islamici o mercenari dalla Turchia, anche  per questo ci  lascia perdere. Noi siamo una parte del popolo siriano,  il quindici per  cento di tutta la popolazione. Personalmente mi auguro  che quando  finalmente cadrà il regime potremo osservare comunque una  Siria unita.  Di federazioni o confederazioni ne parleremo quando tutti i  partiti  siriani saranno eletti democraticamente. Io vorrei che i curdi  in Siria  fossero culturalmente (con libertà di uso della propria  lingua) ed  amministrativamente autonomi, ma comunque parte del Paese.  In tutto  questo processo di democratizzazione però il PYD si tiene  assolutamente  lontano dall’esercito di liberazione e non sono un caso  gli scontri con  esso. Alcune loro milizie arrivano nel nostro  territorio urlando di  voler liberare il territorio dalle truppe del  regime, ma le nostre zone  sono già libere: ci siamo noi. L’esercito di  liberazione vuole  intromettersi, ma noi abbiamo già il controllo. In  qualche modo ci siamo  già sbarazzati del regime, senza l’intromissione  di milizie di  estremisti islamici, come invece è composto l’esercito  dei ribelli. Noi  siamo stati sempre contrari al tipo di lotta armata al  regime proposta  dall’esercito di liberazione ed anche alla chiamata  dell’intervento  internazionale. Siamo a favore della gestione diretta  del territorio ed  alla protezione del suo popolo. Siamo curdi siriani,  quindi non abbiamo  relazioni politiche, ma solo di amicizia, con gli  altri partiti  Kurdistan iraniano, iracheno e turco. Naturalmente le  idee di  Abdullah Öcalan  hanno ispirato anche il PYD, però poi il  nostro  programma e le nostre linee sono state modellate in altra  maniera. La  cosa imprescindibile per noi sono solo i diritti dei curdi”.
 
                                                                                             
 I termini esatti dei colloqui tra Ocalan e il governo turco   rimangono tuttavia nascosti e non si sa quali possono essere le   concessioni che Erdogan è disposto a concedere. Il partito AKP di   Erdogan vuole raggiungere l’approvazione dell’emendamento alla   costituzione che prevede un sistema presidenziale. Per questo   ha bisogno anche dell’appoggio del partito curdo del BDP. Ocalan sembra   favorevole a questo cambiamento della carta e, se il governo turco si   dimostrasse disponibile a voler discutere sulla questione di una nuova   definizione di cittadinanza che comprenda anche l’identità curda, sul   riconoscimento del curdo come seconda lingua e l’istituzione di   parlamenti regionali, allora forse la fine del conflitto potrebbe   terminare veramente. La Turchia ha bisogno di risolvere la questione   curda anche perché aspira, per le nuove situazioni politiche venutesi a   creare con le Primavere Arabe, ad essere la nuova leadership regionale.   Riconoscere quindi i diritti ai curdi significherebbe fare un passo   avanti verso la pace nazionale e la democrazia ottenendo così anche una   maggiore legittimazione a livello internazionale. Erdogan,   inoltre, intende candidarsi alle prossime elezioni del 2014 per la   Presidenza della Repubblica, le prime a suffragio diretto, presentandosi   con la vittoria storica personale dell’accordo con il PKK.  Erdogan,   oltre alla Presidenza, sente anche l’odore del prossimo Nobel per la pace. Il segretario generale del Consiglio d’Europa, Presidente del Comitato Nobel, il norvegese Thorbjiorn Jagland, infatti, ha ventilato l’ipotesi che il Nobel per la pace 2013   potrebbe andare al Premier turco se riuscisse a trovare una soluzione   politica al conflitto curdo. Erdogan, quindi, se le trattative in corso   con Ocalan avranno un esito positivo, potrà essere un candidato valido   al Nobel. 
 
                                                                                                      
  
  
La   strada da percorrere è però molto lunga e difficile, occorre essere   molto cauti e prudenti. Per esempio, il primo aprile scorso è scaduto il   termite dato alla “Commissione di conciliazione costituzionale”,   formata da tre rappresentanti per ognuno dei quattro partiti presenti   oggi in parlamento, per presentare una bozza relativa alla nuova legge.   Il motivo è dato dalle grandi divergenze sulla forma istituzionale che   si vuole dare alla nuova Turchia. Sostituire l’attuale costituzione   formata dai militari dopo il colpo di stato del 1980 con una nuova più   aperta e dinamica, non è certo facile. La difficoltà di mettere   d’accordo le varie parti è su come cambiarla e non sulla necessità di   doverlo fare. Scaduto il termine, le forze politiche devono trovare una   via d’uscita. Erdogan, per uscire da questo blocco d’arresto, non   esclude l’uso del referendum popolare sulla bozza preparata dal suo   partito, l’AKP e, il 29 marzo ha dichiarato che “Dobbiamo pensare a   piani alternativi. Cercheremo un accordo con il Partito Repubblicano  del  popolo o con il Partito di azione nazionalista. Se non troviamo un   accordo, andremo al referendum”. I partiti d’opposizione sono   naturalmente insorti a questa proposta ed hanno accusato Erdogan di   volerli escludere dalla scrittura della nuova costituzione e di voler   invece imporre la sua visione. Mentre le scadenze elettorali si   avvicinano (amministrative marzo 2014, presidenziali giugno 2014, parlamentari 2015), le differenze che dividono le varie forze politiche, rimangono.  Su   125 articoli esaminati, solo 30 sono stati “licenziati” con il  consenso  di tutti, per gli altri 95 invece restano i contrasti.
                                                                         
 
  
 
  
Il Presidente del Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità curde (KCK), Murat Karayilan   in una conferenza stampa ha affermato che il ritiro dei guerriglieri   curdi oltre i confini turchi comincerà l’8 maggio e che sarà fermato in   caso di attacchi o operazioni da parte dell’esercito turco. Karayilan  ha  inoltre sottolineato che saranno organizzate quattro conferenze che  si  terranno in Kurdistan settentrionale, in Turchia, in Europa e a  Hewler  nell’ambito del processo in corso per una soluzione pacifica  della  questione curda ed ha dichiarato che “Portare a compimento  questo  passo storico che permetterà una soluzione della questione  curda,  condurrà la pace in Turchia ed aprirà la strada per quella in  Medio  Oriente non è solo il nostro obiettivo finale, ma anche quello di   chiunque sia dalla parte della pace, della fratellanza, della  democrazia  e della libertà”.  L’Associazione per i Diritti Umani (IHD)   ha realizzato una commissione per monitorare il processo di ritiro del   PKK iniziato l’8 maggio. Si vuole tenere sotto controllo il ritiro dai   confini turchi, i probabili scontri armati, le attività dei gruppi di   guardie di villaggio temporanee e permanenti, dei battaglioni, delle   brigate e delle squadre per le operazioni speciali, le attività presso   le postazioni militari di confine, le zone minate ed i villaggi evacuati   negli anni ’90 nelle regioni orientali e sud orientali della Turchia.   Il Presidente dell’IHD Ozturk Turkdogan ha affermato   che la creazione di una commissione indipendente è stata una decisione   dell’IHD per poter dare un contributo in questa fase: “In qualità   d’istituzione con esperienza in attività sulle violazioni dei diritti   umani nella regione curda e familiare con i comportamenti delle parti   turche e curde, la nostra associazione ritiene utile monitorare nel modo   più efficace possibile il processo di ritiro”.
  
 La nostra delegazione italiana, oltre al Newroz di Diyarbakir, ha partecipato anche al Newroz di Semdinli e Yuksekova il 19 e 20 marzo scorso.  
    
    
  
Semdinli è   una sperduta cittadina di montagna, situata nella provincia di Akkari   del sud-est della Turchia e, per la sua posizione strategica ai confini   tra Iran e Iraq, è controllata da una notevole e visibile presenza   militare. Qui, 29 anni fa è nata la resistenza curda. Dal 23 luglio 2012   all’11 agosto a Semdinli le forze di sicurezza turche hanno iniziato   una grande offensiva, sostenuta da forze aeree, contro il PKK, uccidendo   115 combattenti. L’Agenzia di stampa curda (ANF) di   Semdinli, il 18 aprile scorso ha riportato la notizia che nel distretto   continuano le attività militari dell’esercito turco: sempre più soldati  e  veicoli militari sono dispiegati in loco. Due elicotteri di tipo  Cobra,  decollati da Yuksekova, avrebbero effettuato una ricognizione  aerea  nelle aeree presso il confine con il Kurdistan Federale, dopo di  ché  alcuni elicotteri di tipo Skorsky sono atterrati a Semdinli  trasportando  numerose unità di soldati alle basi militari di  Gevriyazine e Xarane,  ed inoltre è arrivato anche un convoglio di venti  veicoli militari.  L’esercito turco si sta forse preparando a ricevere  il ritiro dei  guerriglieri previsto per l’8 maggio?                                                        
La nostra delegazione   il 19 marzo, dopo un breve viaggio da Yuksekova tra le alte montagne   piene di neve, è arrivata in una vasta spianata dove erano già iniziati i   festeggiamenti. Superati i posti di blocco della polizia siamo   finalmente entrati nella festa dove siamo stati accolti con il consueto   calore del popolo curdo. Lo striscione con il quale ci siamo presentati   portava i nomi delle tre compagne curde assassinate a Parigi il 9   gennaio scorso: “Sakine, Fidan e Leyla, loro vivranno sempre nei nostri cuori”. L’avvocato Simonetta Crisci   della delegazione italiana, invitata dall’organizzazione, è salita sul   palco portando i saluti degli italiani venuti in Kurdistan per   festeggiare il Newroz con il suo popolo, comunicando anche l’avvenuta   espulsione del responsabile dell’associazione “Verso il Kurdistan”,   Antonio Olivieri. La festa tra danze, canti ed interventi di   rappresentanti del partito BDP si è poi conclusa nel primo pomeriggio. 
  
Foto newroz di Semdinli
  

  
Lasciamo Semdinli per ritornare a Yuksekova   dove il giorno dopo parteciperemo al Newroz. Quest’anno tutte le città   del Kurdistan hanno anticipato le date dei festeggiamenti proprio per   permettere a tutti di raggiungere il grande Newroz di Diyarbakir per   poter ascoltare la lettura della lettera di Ocalan. La mattina del 20   marzo, lasciato l’albergo, cominciamo a percorrere le strade di   Yuksekova insieme ad una moltitudine sempre più crescente di persone per   raggiungere il luogo della festa.  La giornata è serena, l’aria è   tiepida e l’atmosfera felice. Per l’occasione, le donne indossano i loro   coloratissimi vestiti, sono truccate, hanno adornato i capelli con   fasce con i colori della loro bandiera, rosso, giallo e verde o con   foulard neri o colorati con treccine o fiocchi. Gli uomini, ragazzi,   ragazze e bambini vestono quasi tutti la loro tradizionale divisa verde   oliva con una larga fascia colorata in vita. Tutti salutano gioiosi con   le mani alzate verso il cielo con le dita aperte a “V” in segno di   Vittoria. La nostra delegazione, dopo aver superato i consueti controlli   da parte della polizia, è accolta dagli applausi di tutte le persone   presenti, è difficile sapere esattamente la quantità, ma certamente   oscilla da 20.000 a 40.000 presenze. Attraversiamo a fatica tutta la   folla nella piazza fino ad arrivare al palco dove l’avvocato Simonetta   Crisci si rivolge al popolo curdo rinnovando il saluto della nostra   delegazione e la speranza di una vittoria non troppo lontana. Tra canti,   balli, applausi, slogan urlati trascorriamo una bella giornata con   persone che ci sorridono e ci ringraziano per il semplice fatto di   essere lì con loro. Tutti chiedono una foto o desiderano farsi   fotografare con noi. Un’enorme gigantografia di Ocalan ricopre un’intera   facciata di un palazzo, altri manifesti appesi ai muri oppure alle  reti  di protezioni, cartelli che chiedono la fine delle operazioni  militari,  bandiere curde, bandiere con l’immagine di Ocalan e tanti  palloncini  colorati, creano la calda atmosfera di tutta la festa. Oltre  a tutto  questo, ho un ricordo molto particolare di questa giornata che  mi ha  commosso. 
  

  
Mi trovo a girare con   la mia reflex nello spazio dietro al palco osservando le persone che   sedute a terra ascoltano la musica, le canzoni, le voci trasmesse dagli   altoparlanti. Vedo un uomo seduto a terra con la moglie che mi fa un   cenno con la mano come se chiedesse di avvicinarmi. Lo raggiungo e   inizia a parlarmi battendosi il petto con le mani. Non capisco e quindi   sono costretta a chiedere aiuto a Lerzan, nostra guida e interprete.    Questo vecchio signore dal viso segnato dal tempo e dalla sofferenza mi   ringrazia per essere qui con lui a festeggiare il Newroz: lui è per la   libertà e la pace di tutti i popoli. Sua moglie racconta che ha perso  un  figlio, è martire, ma, purtroppo, non ha avuto il suo corpo, non è  mai  stato trovato. Non vogliono che altri possano subire quello che  loro  stessi hanno subito. Sperano nel nostro aiuto. Mi stringono la  mano e mi  salutano lasciandosi fotografare con le mani in alto in segno  di  vittoria. Mi allontano. I loro volti semplici e forti, nello stesso   tempo dignitosi nella loro sofferenza, perché sono dalla parte giusta,   mi accompagneranno per sempre. 
  
Foto Newroz di Yuksekova 
  
 Fonti:   Centro informazioni e relazioni del partito dell’Unione Democratica   -Osservatorio Balcani e Caucaso – First Line Press - Associazione Verso   il Kurdistan – 
  
10/05/2013
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