martedì 30 aprile 2024   
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Medio Oriente » Una realtà ignorata: il popolo kurdo  

ACCESI I FUOCHI DEL NEWROZ


UNA REALTA’ IGNORATA
IL POPOLO KURDO

(I parte)
di Mirca Garuti



Ma chi sono questi kurdi? Ma perché vai in Kurdistan? E cos’è questa festa chiamata Newroz?


Queste sono le domande che perlopiù molte persone mi hanno rivolto, quando ho annunciato che avevo risposto all’appello: “Ez ji li virim Anche io sono qua” per partecipare al Newroz 2012 in Kurdistan.
Sulle carte geografiche o nelle varie guide turistiche della Turchia oggi il nome “Kurdistan” non compare, non è uno stato. Esiste l’Anatolia sud-orientale. La “Terra dei Kurdi” non appartiene più ai kurdi, anzi, rischia di scomparire dalle mappe del mondo. Il territorio occupa una vasta zona montagnosa di circa 450.000 Kmq divisa fra quattro stati: Turchia, Iran, Iraq e Siria. Nel Kurdistan settentrionale si trovano le sorgenti dei due fiumi biblici, il Tigri e l’Eufrate che con i loro affluenti rendono le vallate molto fertili. La Turchia e la Siria sono gli stati della regione mediorientale maggiormente coinvolti nel conflitto per l’acqua e, fin dagli anni 60-70, portano avanti rispettivi progetti idrici con vari obiettivi: produzione d’elettricità, irrigazione, disponibilità d’acqua potabile, sviluppo per l’industria, il turismo, i trasporti, la sanità ecc.

Progetto GAP
Il progetto del governo turco per l’Anatolia sud-orientale, conosciuto con il nome “GAP”, è il più grande progetto regionale in Turchia ed è anche tra i più grandi realizzati nel mondo che coinvolge nove province. Attraverso questo piano, la Turchia s’impadronisce dei rubinetti dei due grandi fiumi il Tigri e l’Eufrate, le due principali risorse idriche di Iraq e Siria. Nel 2008 sono state realizzate 17 delle 22 dighe previste. Molti villaggi sono già sott’acqua ed altri potrebbero esserlo a breve, se non si ferma questo progetto. E’ il caso di Hasankeyf, luogo incantevole, che nonostante la sua bellezza e storia, è destinato a scomparire per sempre sotto le acque della futura, e per ora sospesa, diga di Llisu, Questa diga causerebbe l’allagamento della regione compresa tra Batman e Midyat; ad essere sommersi, oltre a questo sito storico, sarebbero anche molti altri tesori archeologici e circa 37 villaggi. Nel 2008 alcuni enti finanziatori (della Germania, Austria e Svizzera) hanno ritirato il loro appoggio perché preoccupati dell’impatto culturale ed ambientale che avrà la diga. Le proteste contro questa costruzione continuano.

L’acqua è quindi di vitale importanza e la Turchia, per posizione geografica e risorse idrogeologiche, rappresenta un grande serbatoio idrico per la ricca presenza d’acqua sia superficiale sia sotterranea, rispetto alle zone semidesertiche dell’altopiano arabico e del vicino oriente.
Il governo turco usa questa ricchezza nelle relazioni con i paesi confinanti che accusano spesso Ankara di non rilasciare abbastanza acqua. L’acqua rappresenta un grande potere nelle mani di questo paese e l’ha dimostrato nell’occasione dell’inaugurazione della diga d’Ataturk (progetto colossale costato più di un miliardo di dollari) nel gennaio 1990, quando ha interrotto il corso dell’Eufrate, ufficialmente per riempire il lago di fronte allo sbarramento, ma in realtà si è trattato di una dimostrazione di forza, di quello che sarebbe potuto accadere alla Siria se avesse continuato a fornire supporto al gruppo armato separatista curdo del PKK. Questo atto però non portò al governo turco i risultati sperati, anzi, provocò un’alleanza tra Baghdad e Damasco, fino a quel momento nemici giurati, per difendere il diritto all’acqua. Un accordo che costringeva la Turchia a fare un passo indietro, anche se il problema principale restava, ed era stato solo posticipato a delle condizioni migliori. La diplomazia turca non perdeva quindi occasione per giocare la carta idrica al tavolo delle trattative con i paesi confinanti, in particolar modo con la Siria.
L’esempio più eclatante è la vicenda che riguarda la circostanza della cattura d’Abdullah Ocalan.
Ankara per bloccare il passaggio di guerriglieri tra la Turchia e la Siria, negli anni ottanta, aveva realizzato un sistema d’elettrificazione al confine con torrette d’osservazione e spesso l’esercito turco oltre a sparare contro pastori e agricoltori che lavoravano alla frontiera, compiva perquisizioni nelle case dei curdi siriani. Attraverso queste azioni e sfruttando, inoltre, la paura siriana per la realizzazione delle dighe d’Ataturk e Karakaya, che avrebbero potuto provocare un impoverimento economico nella regione per un’eventuale riduzione d’acqua, il primo ministro turco Ozal e il presidente siriano Hafez al-Asad, nel 1987 a Damasco, firmarono due protocolli: uno, per la “sicurezza della frontiera sirio-turca” in cui la Siria s’impegnava ad eliminare le basi dei separatisti (PKK che aveva il quartier generale nella Valle della Beqa in Libano) ed un altro, per la spartizione delle acque dell’Eufrate. Questi protocolli rimasero inapplicati fino a quando Ankara non fece intervenire i suoi più stretti alleati: Stati Uniti e Israele. La Turchia aveva più volte chiesto agli Stati Uniti di usare il processo di pace mediorientale per fare pressioni su Damasco e bloccare così gli aiuti al PKK.
Nel febbraio 1996 fu firmato un accordo militare di cooperazione strategica e tecnica tra la Turchia ed Israele. Uno dei maggiori obiettivi della Turchia nel rafforzare questa cooperazione militare era proprio quella di mettere sotto pressione la Siria affinché non offrisse più aiuti al PKK ed ospitalità ad Ocalan. La volontà di Ankara era molto chiara: distruzione del PKK e del suo leader ad ogni costo.
Nell’ottobre 1998 si era riaccesa la miccia alla frontiera turco-siriana. Il governo di Ankara aveva mobilitato al confine siriano diecimila uomini ed altrettanti erano penetrati nel Kurdistan iracheno con l’obiettivo di colpire le basi del PKK. Con questo spiegamento di forze Damasco fu costretta a sottoscrivere ed applicare l’accordo del 20 ottobre 1998, in base al quale doveva sospendere immediatamente qualsiasi aiuto al PKK ed espellere Ocalan ed i suoi 3000 guerriglieri. La dialettica turco-siriana si può quindi definire “acqua contro i curdi, curdi contro l’acqua”.
 


L’Oro nero
Nei primi anni del XX secolo i molti indizi di una probabile presenza di petrolio in territorio Kurdo, provocò immediate lotte per il suo controllo. Furono anni di intrighi, di lotte e di difficili negoziati. Prima del 1914 i contendenti erano inglesi, tedeschi, americani e turchi mentre dopo la prima guerra mondiale (1914-1918) si aggiunsero i francesi ma sparirono  i turchi ed i curdi rimasero spettatori impotenti.
La prima guerra mondiale determinò la rottura degli equilibri nel vicino Oriente che divenne terreno di scontro delle potenze occidentali. L'accordo segreto Sykes-Picot del 1916, dai nomi dei ministri degli esteri inglese e francese, aveva già definito la spartizione dell'impero ottomano in due sfere d’influenza: la zona britannica includeva Mesopotamia, Palestina e Giordania, quella francese Siria e Libano.
L'8 gennaio 1918 il Presidente degli Stati Uniti Wilson esortò gli alleati ad accordare ai kurdi e ad altri popoli la possibilità dell'indipendenza. L'armistizio di Mudros il 30 ottobre 1918 suggellò la capitolazione, senza condizioni, dell'impero ottomano. Il Kurdistan però non colse tra l'ottobre 1918 ed il giugno 1919  il momento favorevole che la storia gli stava offrendo; il paese era ancora assorbito dalle rivalità tradizionali, frammentato in una miriade di partiti e comitati e suddiviso in varie entità territoriali e la popolazione era ancora paralizzata dal ricordo della furia nazionalista dei Giovani Turchi che avevano fatto strage non solo di circa un milione di armeni ma anche di almeno settecentomila vittime tra i kurdi. Durante la guerra si verificò il tragico scontro tra i nazionalismi curdo ed armeno, entrambi aventi il sogno dell'indipendenza, ed entrambi strumentalizzati dall'impero russo e ottomano.


Armeni e Curdi: due nazionalismi
Il problema armeno esplode, infatti, in tutta la sua drammaticità durante questa guerra e culmina con il massacro di un milione e mezzo di armeni nel 1915. Purtroppo anche i curdi parteciparono a questo genocidio, anche se il loro ruolo fu ampliato dalla propaganda turca ed europea; infatti, degli ufficiali turchi, che avevano partecipato al saccheggio e massacro di villaggi armeni, dissero: “Venendo abbiamo sterminato gli armeni, al ritorno ci sbarazzeremo dei curdi.”
Tra i due popoli vi erano degli elementi che li accomunavano ed altri che li dividevano. Il fattore determinante di contrasto era dovuto al fatto che gli armeni erano più avanzati dei curdi dal punto di vista culturale ed economico. Il commercio e l’artigianato erano nelle loro mani ed inoltre lo sviluppo del movimento nazionalista armeno, anche con una componente estremista espansionistica, spaventava i curdi che non volevano cedere le terre rivendicate dagli armeni. I fattori, invece, di coesione erano dati dalla povertà e dal comune oppressore, persiano o turco.  Gli ottomani consideravano il movimento armeno come una minaccia mortale per l’impero. Non potevano rinunciare all’Armenia perché avrebbe comportato non solo la mutilazione ma anche la dissoluzione dell’impero, in quanto la regione contesa che si estende dal Caucaso al Mar Mediterraneo, è nel cuore dell’area turca. I leader dei movimenti nazionali curdo ed armeno invece di attuare un piano comune per la loro liberazione, si lasciarono coinvolgere dalle manovre del governo ottomano che mise in pratica il così detto “divide et impera”.
Truppe inglesi, russe e ottomane combatterono nel Kurdistan, provocando numerosi morti, bombardando e distruggendo città e villaggi curdi. Anche il governo ottomano prese misure estremamente dure contro i curdi. Furono impiccati intellettuali, contadini e capi tribali per la loro opposizione, ma nonostante i rischi, i curdi organizzarono clandestinamente delle associazioni nella zona orientale della Turchia, soprattutto a Van. Fu fondata ad Istanbul l'Associazione per l'indipendenza del Kurdistan. Queste organizzazioni non svolsero un ruolo importante nella politica, ma ebbero influenza sulla popolazione curda, tanto che alla fine della guerra, la lotta del popolo curdo prese un indirizzo più ampio e profondo. Nell'estate del 1917 le popolazioni di Bohtan e Dersim si sollevarono per la seconda volta ed in agosto anche i curdi di Mardin e Diyarbakir scesero in lotta. Nell'autunno del 1917 la popolazione di Dersim poteva contare su trentamila combattenti. Non deve essere assolutamente dimenticato il fatto che, durante la guerra, avvenivano massicce deportazioni dei curdi. Era stata elaborata una legge di deportazione, una dozzina d’articoli, con il fine di attuare la diaspora dei curdi: dovevano essere espulsi dal loro territorio, mandati nelle province anatoliche e dispersi nei villaggi turchi nella misura non superiore del 5% della popolazione turca. I capi tribali ed i notabili erano confinati nelle città dell'Anatolia Occidentale posti sotto il controllo della polizia ed era loro proibito qualsiasi rapporto con gli altri curdi. I registri della direzione per l'emigrazione di Istanbul indicano che 700 mila curdi furono deportati. 
Purtroppo durante la guerra, i curdi lottarono e morirono senza aver concordato un piano nazionale, e solo successivamente però perseguirono una politica strutturata su due fronti: l’uno verso i trattati di pace e l’altro nel mantenere i contatti con i turchi battuti.
Armeni e curdi rivendicavano entrambi l’indipendenza ed anche in parte gli stessi territori. Le rivendicazioni armene furono presentate il 12 febbraio 1919 alla Conferenza di pace a Parigi, mentre quelle curde il 22 marzo. Il 20 dicembre 1919 fu raggiunto un Accordo armeno-curdo. Questo rappresenta un momento fondamentale per i due popoli perché, in questo modo, riuscirono a superare la barriera d’incomprensioni che li dividevano e la moltitudine di massacri dove entrambi erano stati strumenti e vittime del potere ottomano.    

                                                                                

 
I trattati di Sevres e Losanna
Il 10 agosto 1920 fu firmato il Trattato di Sevres. Per la prima volta un atto diplomatico riconosce negli articoli 62, 63 e 64 il Diritto del Popolo Curdo all’indipendenza. Il motivo principale che indusse le Grandi Potenze a prospettare l’indipendenza del Kurdistan fu la volontà di mettere una “cintura” tra la Russia e la Turchia, per prevenire l’allargamento della rivoluzione socialista russa, creando uno stato cuscinetto da poterlo utilizzare contro l’Urss e gli altri popoli. Il popolo curdo, all’annuncio del trattato, visse momenti di entusiasmo e di speranza. Si cominciò a prestar fede alla democrazia, molte coppie si sposarono e si sostituirono i vestiti neri con abiti variopinti.
Il trattato prevedeva: la completa spartizione dell’impero ottomano e gli stati creati sotto l’influenza diretta o indiretta delle potenze imperialistiche. Il trattato, sin dall’inizio si presentava molto fragile e, rimase, nei fatti, lettera morta. Il governo turco, infatti, uno dei firmatari, aveva perduto la sua autorità e quindi l’Assemblea Nazionale di Ankara non ratificò l’accordo. Cominciò la guerra turca per l’indipendenza contro l’esercito greco. Nel settembre 1922, quasi tutta la Turchia era liberata dalle truppe straniere ed il 1 novembre fu abolito il sultanato. Con la vittoria turca, gli alleati furono quindi costretti a redigere un nuovo trattato di pace, alla cui stesura i curdi non furono invitati.
Il 24 luglio 1923 fu firmato il Trattato di Losanna che segnò il tradimento degli impegni presi in precedenza dalle potenze europee nei confronti del popolo curdo ed armeno e riconosceva la Turchia come Stato sovrano. Non era più menzionata l’autonomia curda né tantomeno quella di uno Stato curdo. Il nuovo governo di Ankara si presentava come interprete degli interessi curdi, dal momento che “i curdi non si differenziano in nulla dai turchi e, anche se parlano lingue diverse, questi due popoli formano una sola entità etnica, religiosa e con gli stessi costumi”. Considerare, quindi, i curdi come turchi, significava non doverli più citare nelle garanzie dei diritti delle minoranze. Si sanciva così la NON esistenza del popolo curdo e le sue rivendicazioni nazionali; si negava la loro diversa e specifica identità etnica e culturale. Furono chiamati, da questo momento in poi, solo “turchi di montagna”. Questa decisione provocò una reazione violenta dei curdi dando inizio ad una serie di ininterrotte rivolte. Nel periodo fra le due guerre mondiali, non si sollevarono mai contemporaneamente, ma uno stato alla volta e, questa fu una delle ragioni dei loro fallimenti.


Il 29 ottobre 1923 fu proclamata la Repubblica Turca che, forte del riconoscimento internazionale, praticò da quel momento, come asse portante del nuovo stato, la centralità del nazionalismo turco. In uno Stato quindi fondato sull’ideologia dell’unità nazionale, la presenza di un’altra comunità nazionale si configura come tradimento dello Stato. I primi anni dello Stato turco furono segnati da numerosi arresti, bandi di esilio ed esecuzioni capitali di intellettuali e capi del clan familiari curdi.
Nella politica di Mustafa Kemal verso i curdi si possono distinguere due diversi atteggiamenti: dal 1920 al 1924 è riconosciuta l'esistenza dell'etnia curda, mentre dal 1924 in poi è attuata una dura repressione verso i curdi che si oppongono con ricorrenti rivolte. Una profonda contraddizione è, infatti, vissuta, tra il 1921 ed il 1924, tra la maggioranza della popolazione curda che sosteneva il movimento kemalista e gli intellettuali curdi che sostenevano il movimento di liberazione curdo. Una contraddizione che è il risultato della propaganda kemalista e riflette la debolezza del movimento nazionale curdo.
Dopo la firma del trattato di Losanna, il potere kemalista si sentì abbastanza forte da mutare la propria politica verso i curdi, così nel 1924 fu approvata una legge che proibiva l'uso della lingua curda, vietandone le pubblicazioni e l'insegnamento. Il costume nazionale curdo fu interdetto. Sempre nel 1924 cominciò la deportazione degli intellettuali e dei capi nazionalisti curdi che si protrasse fino al 1928.  Il 19 luglio 1934 fu poi emendata ed approvata una legge che, insieme con altre norme più dettagliate, riguardava gli insediamenti della popolazione. L'intenzione era quella di disperdere e distruggere i curdi come nazione.
E’ precisato che “Il numero totale degli stranieri che vivono nei borghi e città non deve oltrepassare il 10% del numero di tutti gli abitanti residenti all'interno del confine municipale”. Questa legge, in pratica, sanciva l'etnocidio del popolo curdo in Turchia ed era in contrasto con gli impegni presi dal governo con la firma del Trattato di Losanna.  Nonostante la protesta internazionale, la legge fu applicata con estrema durezza.
Nel periodo 1924-1938 le forze armate turche furono impegnate in ben 17 campagne militari, tutte connesse direttamente o indirettamente alla soppressione delle rivolte curde.


Gli anni delle grandi rivolte
Le rivolte più rilevanti sono quelle del 1925, 1930 e 1937.
La rivolta di Shaikh Said scoppiò il 7 marzo 1925 prendendo di sorpresa il governo turco. La ribellione dilagò e preoccupò a tal punto che l'Assemblea Nazionale diede al governo la facoltà di dichiarare la legge marziale in tutta la Turchia. Dopo il primo disorientamento, il governo intraprese un'azione militare per schiacciare la rivolta. Ai primi d'aprile iniziò la controffensiva dell'esercito turco che impegnò 35mila uomini per circondare le forze principali degli insorti, mentre 80mila militari si trovavano in Kurdistan. Il governo turco si avvalse anche della collaborazione delle ferrovie siriane, sotto mandato francese, con l'invio di 25mila uomini in Kurdistan. Le forze curde si trovarono così tra due fuochi. L'insurrezione fu schiacciata il 12 aprile 1925 e il 29 giugno Shaikh Said ed altri 53 leader della rivolta furono giustiziati e condannati a morte dal “tribunale indipendente” di Diyarbakir. Questa guerra costò al governo turco 20milioni di lire turche. Vennero anche soppressi oltre una dozzina di giornali di Istanbul e provincia accusati di aver contribuito ad alimentare il malcontento e di nutrire sentimenti antikemalisti.
Le truppe turche devastarono il Kurdistan, lo misero a ferro e fuoco, gli uomini torturati ed uccisi, i villaggi incendiati ed i raccolti distrutti. Da statistiche rese pubbliche nel 1930 si può capire l'entità di questa repressione: su un territorio di 14 province, furono distrutti oltre 200 villaggi ed evacuati i loro abitanti; si dette fuoco a 8.758 abitazioni e più di 15.000 persone trovarono la morte. Tra il 1925 e il 1928 oltre mezzo milione di curdi fu soggetto a deportazioni, messo in marcia sopratutto nei mesi invernali, quando il cammino diventava più pesante.
Dopo il collasso della rivolta curda del 1925, il movimento curdo divenne puramente nazionalista e fu attivo nel Kurdistan turco ed irakeno. Nella primavera del 1927 si tenne una conferenza segreta di esponenti curdi sulle pendici del monte Ararat. Il congresso prese decisioni importanti e fu stabilito un programma di lotta che mirava alle dissoluzioni di tutte le organizzazioni patriottiche per formarne una sola, unita per liberare le frontiere del Kurdistan. Il 5 ottobre 1927 fu fondato il partito Hoybun (Indipendenza) con il fine esplicito della progressiva liberazione del Kurdistan turco per via militare. Il generale Nuri Pasha, presidente del partito, guidò la liberazione del territorio dell'Ararat e fu proclamata la Repubblica dell'Ararat. La nuova rivolta allarmò il governo turco perchè oltre alla simpatia diffusa nella popolazione turca, si era raggiunta un'unità d'azione tra curdi ed armeni. Il generale Pasha rivendicò il riconoscimento dell'identità e dell'autodeterminazione dei curdi, ma la controparte turca respinse queste richieste e reagì con un'offensiva militare nella primavera del 1930. I curdi dovettero fronteggiare un esercito turco tre volte più numeroso e con l'ordine di annientarli definitivamente senza nessun riguardo. Più di 100 intellettuali curdi furono gettati vivi nel lago di Van, dopo essere stati cuciti dentro a dei sacchi. Mentre erano ancora in corso i combattimenti, ad Ankara ed a Theran ci furono negoziati segreti che portarono ad un accordo che consentiva ad uno sconfinamento, se necessario, dei militari turchi in territorio iraniano. Per i curdi quindi l'amico Iran diventava il nemico!
Gli attacchi, saccheggi ed incendi dei villaggi ed il massacro dei loro abitanti si prolungarono per mesi e mesi. Il ministro della Giustizia del governo turco, il 19 settembre 1930 proclamò che: “tutti coloro che non potessero vantare un'ascendenza puramente turca, avevano un solo diritto in quel paese: quello di servire ed essere schiavi”.
Questa rivolta si differenzia da quelle precedenti in quanto voluta e sostenuta da un’organizzazione nazionalista curda con l'obiettivo politico dell'indipendenza del Kurdistan turco. Ogni significato religioso fu tralasciato. La sollevazione era relativamente ben organizzata sul piano militare, ma geograficamente troppo concentrata nella zona dell'Ararat, quindi isolata politicamente ed ignorata dall'opinione pubblica mondiale. In seguito a questa rivolta, il governo turco fece promulgare il 5 maggio 1932 la legge di deportazione dei curdi. Venne così, ancora una volta,  negata la presenza dei curdi in Turchia.
Le misure inumane prese dal governo turco per trovare i curdi che si erano rifugiati in montagna provocarono la reazione più grande della popolazione locale: quella di Dersim nel 1937.
Dersim (il cui nome è stato mutato in Tunceli che significa “pugno d'argento”) era definita il “cancro” della Repubblica turca da estirpare con ogni mezzo, perchè era stata la prima provincia curda che aveva rifiutato di farsi coinvolgere nel reclutamento per il reggimento Hamidiye e che si era schierata contro la soppressione degli armeni. L'ordine dell'evacuazione di Dersim segnò l'inizio dell'occupazione militare della “terza zona”. Fu disposto lo stazionamento di 25mila uomini nelle caserme della gendarmeria fatte costruire per loro. L'intero territorio divenne un'area militare. Il movimento d'opposizione si organizzò in piccole unità partigiane sotto la direzione di Sayed Reza e, nel maggio 1937 iniziò il bombardamento a tappeto della regione. Nel novembre però il capo dell'insurrezione, due dei suoi figli ed altri dirigenti furono arrestati ed impiccati. Il bilancio di questa rivolta fu di oltre 50mila curdi uccisi e più di 100mila deportati.
Un rapporto pubblicato rende l'idea della brutalità usata contro la popolazione di Dersim:
Migliaia di donne, bambini e ragazze avevano trovato nelle grotte del monte Tudjik riparo dalle bombe e granate turche. Quando i turchi si sono accorti dei loro nascondigli ne hanno presidiato gli ingressi ed hanno murato vivi quegli innocenti. Questa infamia è registrata negli atti dello Stato maggiore generale, con riferimento particolare agli accessi alle grotte indicate con i numeri uno,due e tre. In altre caverne è stato insufflato gas tossico”.
Fu vietato l'ingresso agli stranieri fino al 1965 e fino al 1946 l'area rimase in stato d'assedio. Dopo la sconfitta, nella regione interessata regnò una sorta di pace cimiteriale. I nuovi alloggi dei profughi furono baracche erette a forza di lamiera e colla ai margini delle città della Turchia occidentale. Erano i primi esempi delle baraccopoli denominate in turco "gecekondu" (costruito in una notte) che si sono poi moltiplicate in tutte le metropoli.
La maggioranza delle province curde fu dichiarata ben presto “zona militare” e fu avvolta da una fitta rete di caserme della Gendarmeria.

 

Un popolo che non esiste e le basi USA
Dopo il 1937 la Turchia mancò di sviluppare una specifica politica verso i curdi perchè ufficialmente “non esistevano”. La Costituzione turca contiene molte disposizioni concernenti diritti umani, libertà di pensiero, ma i curdi, in quanto tali, non godono di tali diritti.
Solo nel 1946 fu transitoriamente abrogato in Kurdistan lo stato d'assedio imposto da circa due decenni. La Turchia avviò una nuova politica. Durante la fase della guerra fredda, la Turchia puntava ad ottenere una legittimazione da parte delle potenze occidentali, come gli Usa e la Gran Bretagna, con la speranza di un loro sostegno economico e finanziario. Questo processo culminò nel 1950 nella prima elezione realmente libera e a suffragio universale nella storia della Turchia e, per i curdi, questo si configurò come un radicale cambiamento. Il notabilato curdo fece ritorno dall'esilio per recuperare le terre, i poteri perduti. La Turchia della presidenza Menderes si presentava come un paese aperto, anche se dipendente dal sostegno economico esterno.
Il 18 febbraio 1952, la Turchia fu ammessa alla Nato in funzione antisovietica e, due anni dopo, gli Stati Uniti D’America cominciarono la costruzione sul suolo turco delle proprie basi militari. Gran parte delle centrali di controllo missilistico, dei depositi d’armamenti nucleari, degli impianti di telecomunicazione e comunicazione radio, delle stazioni radar e delle basi aeree della Nato erano e sono tuttora in territorio curdo. Ma, a dispetto di tutti i cambiamenti, si continuava a negare l'esistenza dei curdi come popolo autonomo.  Nel 1958 il Generale Qassem, uomo forte dell'Iraq, richiamò in patria dall'esilio russo il leggendario condottiero dei curdi, Mustafa Barzani. Un patto nazionale garantì ai curdi irakeni uno statuto di autonomia e persino la condivisione del potere statale. La notizia che nel paese confinante curdi ed arabi potevano convivere sulla base di un’ampia parità di diritti, fu sconvolgente, specialmente per i giovani intellettuali curdi, figli della classe dirigente. Non passò un anno che il governo Menderes fece arrestare 49 intellettuali accusati di avere dei comportamenti ostili verso lo Stato.
Il colpo di Stato militare del 27 maggio 1960, per opera di ufficiali kemalisti dell’esercito, rovesciò ed impiccò Menderes. La nuova giunta militare non incontrò il favore della popolazione curda perché vedevano in loro gli eredi d’Ataturk e la sua spietata politica nei confronti dei curdi. La realtà, infatti, confermò quei timori.
Subito dopo la presa di potere, 485 intellettuali curdi furono internati per quattro mesi in un campo militare a Sivas. La giunta dispose la turchizzazione dei nomi delle città e dei villaggi curdi. Furono anche istituiti “convitti regionali” nei quali i bambini curdi, sradicati dal loro ambiente naturale, erano educati secondo i canoni turchi. Sei emittenti radio aggiuntive avviarono trasmissioni in lingua turca per impedire di potersi sintonizzare sulle stazione del Kurdistan irakeno. Le misure decise dal Generale Kemal Gursel colpirono per lo più la classe dirigente curda. Il bilancio di queste iniziative fu molto amaro: la polizia disciolse con violenza le manifestazioni ed un gran numero di partecipanti fu ferito o ucciso. A Mardin si contarono 121 vittime e 354 feriti, a Diyarbakir 194 morti e circa 400 feriti. Le condanne furono alla pena capitale. Il governo trovò anche un termine per definire questo popolo in subbuglio che non doveva esistere: “Kurtculuk” ossia kurdaggine, e il separatismo curdo, bollato nella Costituzione del 1961, come “delitto contro lo Stato”.

Curdo uguale rosso
Nel periodo successivo al colpo di stato militare del 1960 si costituirono diversi partiti democratici e socialisti.
Negli anni sessanta la Turchia accusa ogni attività nazionalista curda di essersi ispirata dai comunisti. Questa accusa si basa su alcuni avvenimenti della seconda guerra mondiale, quando, grazie anche all'Urss, si rese possibile la nascita della prima repubblica curda, la Repubblica di Mahabad in Iran. Inoltre, nell'opposizione di sinistra, rappresentata sopratutto dal Partito operaio della Turchia e dai sindacati, militano molti curdi che non sono disposti ad accettare passivamente una repressione. La Turchia, membro della Nato, rappresenta un avamposto per “arginare” il comunismo e, accusando i curdi d’essere agenti comunisti, si premunisce da un eventuale supporto occidentale alla causa curda, agitando anche lo spettro dell'aiuto sovietico ai curdi dell'Iraq. In questo modo la Turchia può ottenere ed usare le forniture militari date dall'occidente per piegare i curdi.
Il sindacalismo operaio ottiene delle grandi vittorie. II movimento socialista si sviluppa anche con la fondazione del partito Tip nel 1961, primo partito politico legale che riconobbe l’esistenza del popolo curdo. L’elemento nuovo è la proclamata intenzione di lottare per lo sviluppo della “arretrata Anatolia orientale”. Si rivolge a tutte le minoranze, portandone il problema al centro della lotta politica. Questa attività a favore delle minoranze indusse le autorità a denunciare il Tip nel febbraio 1971 ed a chiederne lo scioglimento.
Negli anni sessanta c’è un’evoluzione del movimento curdo che comincia a mettere sullo stesso piano d’importanza il discorso della propria autonomia e quello contro la politica filo-americana e conservatrice del governo. Nel 1965 nasce il Partito democratico del Kurdistan-Turchia (Pdk-Turchia) che rimane  nella clandestinità. Il continuo rifiuto di Ankara ha reso i curdi coscienti del fatto che un loro possibile successo si può concretizzare solo con l’unità tra curdi e turchi progressisti. La politica anticurda, da ora in poi, è condotta solo dalle forze di destra, spezzando così i partiti e le forze sociali turche. Si diede vita al binomio: curdo uguale a rosso. Nel periodo 1969-1971 si intensificò la lotta tra destra e sinistra.
La situazione si aggravò poi anche per l’accordo del 11 marzo 1970 avvenuto in Iraq tra i curdi ed il regime iracheno. Le autorità turche, sulla spinta irachena,  temevano che anche i curdi turchi potessero avanzare richieste e, pensando ad una probabile nuova rivolta, riprese la politica di terrore, con provocazioni e violenze contro il popolo curdo. Questa politica è conosciuta con il nome “Operazioni di commando nell’est” ed ha un duplice scopo: intimidire la popolazione per arrestare lo sviluppo del movimento nazionale curdo e provocare una rivolta per avere il pretesto di opprimere i curdi su vasta scala. In questo periodo prende consistenza in Turchia anche la contestazione operaia e studentesca e l’opposizione extra-parlamentare. Il generale Tagmac esprime “l’inquetudine” dell’esercito perché la gioventù turca sta apertamente parlando dei popoli della Turchia e dei diritti del popolo curdo e l’ansia dei capi dell’esercito per le attività della sinistra e degli studenti. Tutto questo si concretizzerà il 12 marzo 1971 quando l’esercito interviene e manda un ultimatum al Presidente della Repubblica Sunay, chiedendo le dimissioni del Primo ministro Demirel e la formazione di  un “Governo forte”.


La legge marziale dei generali
In aprile viene dichiarata la legge marziale in 11 delle 67 province del paese. In maggio il primo ministro afferma che la Costituzione del 1961 e “un lusso per la Turchia” ed in giugno annuncia un progetto di emendamento di 40 articoli. E’ così limitata la libertà garantita dalla Costituzione.
Durante la legge marziale (1971-1973) intellettuali ed attivisti curdi sono arrestati sotto accuse diverse. Nell’ottobre 1973 sono indette elezioni politiche, ma, nessun partito ottiene voti sufficienti per formare un governo. Alla metà degli anni ’70 aumentano notevolmente le azioni terroristiche e scontri tra estremisti di sinistra e di destra, tra cui emergono i Lupi grigi. In questo periodo le condizioni di vita dei curdi si sono aggravate anche a causa del terremoto che ha colpito il 6 settembre 1975 la zona di Diyarbakir, provocando oltre 3000 vittime ed il 24 novembre 1976 l’area di Van, provocando 6000 morti, 8000 feriti e distruggendo oltre 10.000 case. Le misure adottate dalle autorità sono molto insufficienti ed in ritardo. Gli aiuti inviati dall’estero, spesso sono rifiutati. Dopo il terremoto del 1975, sono state trovate provviste di soccorso nelle unità militari turche a Cipro. Nessuna risposta in merito da parte dello Stato.
I partiti politici curdi si riorganizzarono su basi autoctone, prendendo le distanze sia dal movimento nazionale curdo in Irak e sia dalle organizzazioni della sinistra turca, ma erano ancora troppo divisi ideologicamente e frazionati in una decina di organizzazioni, molte di sinistra e tutte clandestine, per poter condurre una lotta comune.  I partiti curdi trovano terreno fertile nel diffuso malessere sociale ed economico. Nel Kurdistan turco lo standard di vita ed il reddito sono molto inferiori alla media nazionale. La povertà costituiva una delle componenti principali della rivolta latente della popolazione contro le autorità centrali. La situazione politica e sociale degenera a tal punto che, alla fine del dicembre 1978, è proclamata la legge marziale in tredici province, la maggior parte nell’area curda e degli aleviti (sciiti) e, nell’aprile 1979, il governo adotta una serie di misure repressive che colpiscono il movimento curdo ed armeno.
La voce dei curdi, nonostante tutto, non è mai rimasta in silenzio. Dopo 60anni di repressione, in cui è stato usato ogni mezzo, dal genocidio all’etnocidio, i curdi hanno ancora la forza e la volontà di chiedere la loro libertà.


La politica turca arrivata a questo punto precipita nel terzo colpo di stato, il 12 settembre 1980.  Questo per ristabilire l’ordine nel paese e per schiacciare il nazionalismo curdo. Il generale Kenan Evren assume il potere con il sostegno della Nato e di Washington che, durante tutta la fase di pianificazione,  sono sempre stati informati del progetto.  La giunta militare s’insidia per salvaguardare “l’indivisibilità territoriale del paese e la sua unità nazionale”. In questo senso le misure assunte sono molto chiare: abrogazione della Costituzione, scioglimento del Parlamento e deposizione del governo in carica. L’attività dei nazionalisti curdi è repressa con il pugno di ferro, con arresti di massa ed esecuzioni sommarie. E’ colpita sistematicamente ogni espressione culturale curda.
La Costituzione turca del 1982 proibisce con varie modalità la lingua curda con restrizioni anche alla lingua parlata. E’ anche vietato dare nomi curdi ai bambini e l’anagrafe doveva registrare solo nomi turchi. Negli uffici amministrativi nel Kurdistan turco è esposto il cartello: “E’ severamente proibito parlare una lingua che non sia il turco”. Nella cittadina di Agri 60 curdi che non parlano turco sono arrestati e condannati a pagare un’ammenda. Un altro decreto del regime militare del generale Evren legittimò la deportazione di chiunque fosse sospettabile di operazioni a danno dell’ordine pubblico e dell’unità nazionale. Questo la base giuridica per una nuova deportazione di massa dei curdi. Un’altra operazione governativa fu la realizzazione di nuovi villaggi pianificati in termini strategici di controllo del territorio. Una misura usata anche da Saddam Hussein nel Kurdistan iracheno.
Nel dicembre 1983 viene ripristinato un governo civile guidato dal primo ministro Ozal del partito conservatore “Partito della madre patria”.


Nasce il PKK e i protettori dei villaggi
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) che fu fondato il 27 novembre 1978 da Abdullah Ocalan, noto come Apo (zio) e da altri studenti universitari, inizia ufficialmente la guerriglia il 15 agosto 1984, quando un gruppo di guerriglieri s’infiltra nel Kurdistan turco e si diffonde nella maggior parte delle 18 province curde, dove è applicata la legge marziale. Per portare avanti l’attività del partito, Ocalan si recò in esilio nel 1979 e visse fra Siria e Libano (Valle della Bekaa) fino al 1998.
Il primo congresso del Pkk ebbe luogo nel 1981 alla frontiera siro-libanese ed un delegato che contrastava la leadership di Ocalan fu assassinato. Nel secondo congresso (1982) Ocalan fu il leader indiscusso e fu approntata una strategia di terrorismo selettivo contro lo Stato turco ed i collaborazionisti curdi. Il Pkk rivendicava l’identità etnica dei curdi e l’ideologia originaria mirava, con il suo patrimonio ideale marxista e socialista, alla creazione di uno Stato curdo indipendente. E’ nel 2000 che Ocalan professa un socialismo più pragmatico.
L’importanza di questo movimento si riscontra nel fatto che, per la prima volta, faceva appello ad una coscienza nazionale di popolo curdo, sviluppando una nuova e forte consapevolezza di sé stessi.  Dopo il colpo di Stato turco del 1980 le condizioni di vita dei curdi divennero ancora più dure, subivano massacri e soprusi nei villaggi e nelle città, torture feroci erano inflitte a coloro che si trovavano in carcere. In aprile 1981 il tribunale militare di Diyarbakir avviò una serie di processi nei quali erano imputati di appartenenza al Pkk un totale di 2231 prigionieri.
Il 21 marzo 1982, giorno della festa nazionale curda, il detenuto Mazlum Dogan, membro del Pkk, decise, come estrema forza di resistenza, di darsi alla morte volontariamente, impiccandosi dopo aver dato fuoco alla sua cella. Il Pkk, in veste di principale partito d’opposizione, per perseguire i suoi scopi mise in piedi una propria forza militare e, per una popolazione soggetta da generazioni al terrore ed alla tortura, il ricorso alla forza costituì un argomento potente. Il fatto che un’organizzazione curda potesse reagire e contrattaccare gli aggressori rappresentò per il partito la miglior forma di propaganda.
Le autorità turche, inizialmente colte di sorpresa dagli attacchi ed incapaci di trovare una soluzione ai problemi legati alla sicurezza nei vilayet curdi, si riorganizzano ed adottano una nuova strategia basata sulla cooperazione militare con la popolazione locale.
Il 3 ottobre 1984 il presidente Evren annuncia che gli abitanti fidati dei villaggi della Turchia orientale senza stazioni locali della gendarmeria saranno dotati di armi e munizioni.
Il 28 giugno 1985 il Consiglio dei Ministri decide il reclutamento di alleati curdi al fianco delle truppe regolari in alcune aree. Fu così costituito il “ corpo dei protettori dei villaggi”, in pratica, contadini locali ai quali furono fornite armi e salario per difendere il villaggio dai guerriglieri, diventando così uno dei principali obiettivi del Pkk. Si tratta di una pratica inventata in Centroamerica. Al di là di tutti i privilegi e le rassicurazioni da parte dello Stato, la vita dei protettori è un continuo pericolo. Alla minaccia da parte dei militanti e dei simpatizzanti del Pkk si aggiunge il controllo assiduo dello stato stesso, in quanto le informazioni in possesso dei protettori circa le attività dello stato devono rimanere segrete. Le cognizioni dei protettori sono così pericolose che, in molti casi, la loro morte ne è la conseguenza inevitabile. Secondo alcune fonti curde, ai 17mila protettori sono distribuite 50mila pistole e fucili, con relative licenze. Attualmente di “guardiani” ve ne sono circa 60mila. Il loro operato li rende naturalmente invisi al resto della popolazione curda.
La storia dei curdi dimostra in che modo lo Stato turco “compensa” la collaborazione dei suoi servitori.

19 luglio 1987 il nuovo “Stato d’emergenza”
La legge marziale viene sostituita il 19 luglio 1987 dallo “Stato d’emergenza” (noto come OHAL) in otto province curde che impone: tutti i cittadini devono essere provvisti di carta d’identità; i protettori dei villaggi devono segnalare i sospetti e viene approntato un servizio telefonico 24ore su 24 per raccogliere le segnalazioni dei cittadini. Le autorità turche cambiano il nome di molti villaggi curdi, 2842 su 3524.
L’OHAL fu abrogato nelle province curde ed a Istanbul solo agli inizi del 2003.
La popolazione curda è schiacciata tra i militanti del Pkk e l’esercito. Talvolta nei loro attacchi i guerriglieri coinvolgono i civili che rifiutano di cooperare. Dopo un viaggio di ricognizione nel Kurdistan, il deputato curdo Adnan Ekmen afferma:
ci sono squadroni della morte in azione. Ogni giorno vengono trovati corpi non identificati”,  ed enumera una ventina di casi irrisolti. Se un guerrigliero viene ucciso dall’esercito, il corpo viene portato nei vari villaggi ma i familiari non possono riconoscerlo perché altrimenti vengono deportati ed il villaggio distrutto. Amnesty International pubblica una lista delle vittime delle torture con oltre 220 nomi e date e luoghi di decesso per il periodo dal settembre 1980 all’aprile 1988.
Alla fine del 1989 il quotidiano “Cumhuriyet” pubblica il bilancio di un decennio di repressione ufficiale in Turchia: dal colpo di stato del 1980 è stata eseguita la sentenza capitale di 50 persone condannate per offese politiche, mentre altre 6500 condanne a morte sono decretate dai tribunali militari; almeno 171 persone muoiono sotto tortura, almeno 5mila prigionieri politici sono in carcere, 650mila persone sono incarcerate per periodi diversi. a 388mila cittadini curdi è vietato viaggiare all’estero e circa 34mila dipendenti pubblici (giudici, pubblici ministeri, insegnanti) sono allontanati o obbligati a rassegnare le dimissioni.
Nella seconda metà degli anni 80’ il Pkk costituisce una forza dirompente che rilancia il problema curdo come uno dei nodi centrali del paese. E’, infatti, significativo il fatto che, proprio in quel periodo, la stampa turca dedichi molto spazio ad un problema sempre considerato tabù e che si snoda su tre scenari: la guerra, la lotta nelle carceri, l’ambito parlamentare.
Nel 1986 il Pkk si preoccupò di dotare il movimento guerrigliero di comandanti abili e di adeguate strategie. Fu fondata in Siria un’Accademia per la formazione politico-militare dei combattenti e quadri di partito. La formazione dei combattenti consiste in un’istruzione di base impartita in un corso di tre mesi, dove si riceve l’addestramento militare ed una formazione politica. Ogni unità, composta di 12-15 persone, sceglie, al suo interno, il comandante. Il gruppo fa vita comune in una casa o in una tenda che serve sia da dormitorio, sala di discussione e luogo di addestramento. Nella parte della formazione politica si tratta principalmente di conoscere la storia curda sullo sfondo dello sviluppo storico del Medio Oriente insieme al ruolo dell’Europa e degli Usa. Il fine della formazione è il consolidamento della coscienza di sé da parte di ogni singola recluta del Pkk. I lavori quotidiani sono svolti indifferentemente da uomini e donne.


Dopo la formazione dei guerriglieri ci si dedicò a quella del popolo. In tal modo la resistenza curda si diffuse. Non era più condotta solo da sparuti nuclei di guerriglieri, ma dalla popolazione delle città che si sollevò compatta contro le autorità. Da quel momento in poi il partito era il popolo ed il popolo era la guerriglia.
Gli anni 1990-1991-1992, definita “la rivoluzione delle città”, furono anni d’insurrezione permanente e di azioni incessanti che partivano dalla popolazione stessa. A partire dalla festa del Newroz del 1992 la guerra di repressione turca si riversò sul popolo curdo in uno spaventoso potenziale di distruzione. Abdullah Ocalan nel racconto “Per vivere davvero, devi vivere libero” all’interno del libro “Kurdistan – Storia di un popolo e della sua lotta” di Namo Aziz, afferma:
“Noi eravamo per una soluzione pacifica e politica del problema, una soluzione da ricercare attraverso il dialogo. Eravamo stati costretti ad impiegare le armi soltanto per portare alla luce del sole la questione curda e mettere fine alla politica negazionista. Volevamo rendere chiaro che nello Stato turco i curdi esistono e desiderano vivere in condizioni di sicurezza. Nessuno del Pkk ha il culto delle armi o dell’uso della forza. Tanto meno si può identificare il Pkk come un movimento di tipo militare. Esso è piuttosto un movimento orientato da ideali e dotato di un retroterra filosofico.  Per dare un’opportunità alla soluzione politica e alla pace, il 17 marzo 1993 proclamammo, in una conferenza stampa tenuta presso la comunità Mar Elias in Libano, una tregua unilaterale”.
Ocalan in più occasioni (marzo ’93 – dicembre ’95- settembre ’98- agosto ’99) ha proclamato il cessate il fuoco unilaterale per aprire la strada ad un dialogo politico completamente ignorato  dai governi turchi.
La Turchia, pur essendo il solo paese della regione dove sono rispettate le apparenze formali della democrazia, considera ogni rivendicazione curda un attentato all’integrità territoriale. I governanti, tra cui il primo ministro Ecevit, riconducono la questione curda ad un problema economico, data l’arretratezza della regione curda, ed a un problema di ordine pubblico.
Ocalan ed il suo seguito hanno lasciato Damasco per Mosca (che per anni ha fornito armi al Pkk) il 30 ottobre 1998, chiedendo asilo politico. Nonostante il parere favorevole della Duma, il governo russo, per mantenere relazioni di buon vicinato con la Turchia, alla fine si dimostra sensibile alle pressioni turche.
Il 12 novembre Ocalan arriva in Italia dove è arrestato, poiché aveva due mandati d’arresto internazionali. L’opzione per l’Italia, paese tradizionalmente tollerante, con scarsa presenza curda e turca, in un momento in cui le forze governative appaiono più sensibili a sostenere le rivendicazioni del popolo curdo, ha rilanciato il problema a livello internazionale.  In primis l’Unione Europea e lo stato italiano sono coinvolti direttamente nella questione curda. I rapporti italo-turchi s’irrigidiscono ed Ankara promuove il boicottaggio delle merci italiane. Data la difficoltà di gestire il caso, il governo favorisce l’allontanamento del leader curdo dall’Italia (16 gennaio 1999). Dopo una sosta a Mosca ed in Grecia, Apo è condotto nella residenza diplomatica greca a Nairobi, dove è catturato dalle forze speciali turche (15 febbraio 1999). E’ rinchiuso nel carcere speciale di massima sicurezza dell’isola di Imrali nel Mar di Marmara ed è sottoposto a notevoli deprivazioni ed a strettissima sorveglianza. Da 10 anni vive in totale isolamento all’interno di una cella di piccole dimensioni, sorvegliato 24 ore su 24. Fino a due mesi fa era l’unico detenuto all’interno di questo carcere. Numerose leggi sono state appositamente cambiate per Ocalan e sono state introdotte norme speciali che limitano il suo diritto di difesa e l’esercizio della professione legale di quegli avvocati che hanno accettato di patrocinarlo. Le visite dei legali, dei familiari e dei medici sono ostacolate di frequente con ogni mezzo.
Obiezioni contro queste violazioni del diritto rimangono inascoltate.


Il carcere di Imrali è uno spazio extralegale, sottoposto unicamente al controllo del potere militare in Turchia.
Durante questi 10 anni Ocalan ha continuato a pronunciarsi e battersi per una soluzione politica e pacifica del conflitto. Seguendo le sue parole il movimento della guerriglia ha proclamato diversi cessate il fuoco unilaterali per favorire l’apertura di un dialogo.  Ocalan dall’inizio degli anni ‘90 rifiuta il separatismo ed ha proposto diverse soluzioni non solo per la questione kurda ma per un Medio Oriente democratico con popoli parimenti riconosciuti.
Per il popolo kurdo in Turchia Ocalan rappresenta il simbolo della propria condizione e della libertà.
Circa 4 milioni di kurdi hanno sottoscritto nel 2006 una petizione per la sua liberazione.

I numeri di un lungo conflitto e il cambiamento del PKK
Nel corso del conflitto, sono stati evacuati o distrutti dalle forze di sicurezza turche 6153 comunità e 1779 villaggi ed agglomerati, da 3 e 4milioni di curdi sono stati dislocati all’interno della Turchia. Negli anni ’60, ’70 e ’80 l’emigrazione verso le città della Turchia occidentale, come Istanbul, era dettata principalmente da motivi economici. Negli anni ’90 molti migranti sono costretti ad abbandonare i villaggi a causa della loro identità curda, quindi la migrazione assume un significato etnico.
Diyarbakir è passata da 350.000 ed un milione e mezzo di abitanti, a Istanbul abitano più di 2milioni di curdi ed oltre 1milione risiedono ad Ankara.
Il 2002 è stato protagonista anche di un cambiamento all’interno del Pkk.
Il Pkk, durante l’8° congresso dal 4 al 10 aprile, ha cambiato nome in quello di Kadek (Congresso per la libertà e la democrazia del Kurdistan). Secondo le indicazioni di Ocalan ha abbandonato la lotta armata ed ha l’obiettivo di raggiungere uguali diritti per tutti i cittadini della Turchia. Il Kadek si è poi scorporato il 15 novembre 2003 nel Congresso del popolo del Kurdistan (Kongra-Gel) ufficialmente per attività separatista e dissidente pacifica. Nella galassia del Pkk odierno sussistono ancora diverse cellule portate all’azione violenta propria dell’attività separatista armata.
In questo caleidoscopio di sigle è interessante segnalare come, il Tribunale di primo grado dell’UE abbia in un primo momento accolto il ricorso proposto dal Kongra–Gel, contro la decisione del Consiglio dell’Unione Europea del 2 aprile 2004 che lo aveva inserito nell’elenco europeo delle organizzazioni terroristiche, in quanto ritenuto mero pseudonimo e alias del Pkk, successivamente, invece, una decisione del Consiglio dell’Unione Europea del 15 luglio 2008, abbia inserito il Partito dei lavoratori del Kurdistan Pkk (anche noto come Kadek, anche noto come Kongra-Gel) quale entità soggetta a misure restrittive.
Oggi, di fatto, Ocalan continua a destabilizzare le relazioni internazionali e diplomatiche tra gruppi e nazioni anche dal carcere. Nel 2007, la pubblicazione del suo testo “Prison writings: the roots of civilizations” ad opera dell’editore inglese Klaus Happel creò un forte attrito diplomatico tra Turchia e Regno Unito. Nel 2008 un nuovo libro d’Ocalan scritto in carcere dal titolo “La rivoluzione della cultura e dell’arte” ha ingenerato una rinnovata tensione politica, quando la casa editrice Aram ne ha richiesto il nulla osta all’ufficio del ministero della Cultura turca.


Nelle elezioni legislative del 4 novembre 2002 la coalizione governativa presieduta da Ecevit dal 1999, è stata battuta. Vince il Partito della Giustizia e dello sviluppo (Akp) guidato dall’ex sindaco di Istanbul, Recep Tayyip Erdogan, che ottiene il 34,3% dei suffragi e può disporre di 365 su 550 seggi, grazie anche allo sbarramento elettorale del 10%.  Akp è un partito islamico conservatore e sostenitore dell’adesione all’Unione Europea. Erdogan dichiara subito: “Introdurremo misure per combattere la tortura, e i diritti e le libertà di base saranno innalzati alle norme internazionali nel quadro del processo per fare parte dell’Unione Europea”.
Durante la sua prima legislatura (2002-2007) l'Akp aveva cercato di affrontare il problema curdo tramite riforme politiche nazionali, beneficiando anche della situazione di relativa tranquillità dell'Anatolia sud-orientale, principalmente dovuta alla sospensione delle operazioni da parte del Pkk. Tuttavia la concessione di maggiori diritti per la popolazione curda, mirata anche a favorire il processo di entrata di Ankara nell'Unione Europea, non ha avuto effetti dirompenti. Il curdo, per esempio, è ancora considerato una lingua non ufficiale anche nelle province dove è parlata dalla maggioranza della popolazione e il suo uso nella politica è ancora severamente proibito e lo stesso Alto consiglio per l'istruzione tende a scoraggiarne, e addirittura ostacolarne, l'insegnamento universitario.
Nella seconda legislatura (2007-2011) l’Akp ha ottenuto il 46,7% dei voti ed ha eletto 340 seggi, ha incrementato i voti, ma ha perso 23 seggi per l’entrata nella Camera di 24 deputati indipendenti (23 dei quali curdi del Partito della Società Democratica – DTP). Con tale risultato il partito è riuscito a far eleggere Abdullah Gul lcome l’11° Presidente della Turchia.
Nel 2009 si è registrata un'apertura da parte del governo dell'Akp nei confronti dei curdi, ma questo non è bastato per ottenere sostegno popolare e politico. La cattiva gestione della questione da parte del governo e l'atteggiamento poco collaborativo del Pkk e dei partiti filo-curdi, su tutti il Dtp (Partito della società democratica) di Ahmet Türk ed Emine Ayna, hanno reso l'intera iniziativa un vero e proprio fiasco.
La terza legislatura con le elezioni del 12 giugno 2011 ha visto nuovamente la vittoria del AKP che ha sfiorato, per la prima volta, la maggioranza assoluta dei voti assicurando così al suo leader, Recep Tayyip Erdogan, il terzo mandato consecutivo alla guida di un paese in bilico tra Europa e Medio Oriente. Queste elezioni consentono ad Erdogan di formare per la terza volta un esecutivo monocolore, assegnando, però solo 325 deputati, cinque in meno del numero che gli avrebbero consentito di varare riforme costituzionali senza concordarle con altri partiti ma soltanto sottoponendole a referendum.
Il premier islamico moderato ha annunciato, per rendere più democratica la Costituzione scritta dopo il colpo di Stato del 1980, che lavorerà ad una riforma condivisa dalle altre tre forze entrate nella Grande Assemblea Nazionale della Turchia: "La nazione ci ha detto di fare la Costituzione attraverso il consenso e i negoziati", ha detto Erdogan, e "faremo la nuova Costituzione con i partiti d’opposizione”.  Nel suo esemplare “discorso dal balcone”, accanto alla moglie e ad una figlia entrambe velate, ha assicurato che la nuova Costituzione rispetterà tutte le religioni e gli stili di vita laici, senza però riuscire a rassicurare il partito d’opposizione ed alcuni osservatori internazionali. Erdogan inoltre, forte di una crescita economica dai ritmi “cinesi” (+8,9%il Pil 2010) e di una stabilità politica, ha ribadito che Ankara ambisce ad essere un modello per il Medio Oriente.
Il partito BDP filo curdo non si è presentato come partito ma come sostenitore del blocco “Lavoro, Democrazia, Libertà” una formazione di 64 candidati indipendenti che riunisce la voce della società civile curda e turca e che non è sottoposta all’altissima soglia di sbarramento. Sono eletti 36 deputati indipendenti, dieci in più del 2007, per la maggior parte curdi insieme al candidato aramaico di Mardin, Erol Dora. L’Akp, nonostante un sistema proporzionale, ha guadagnato voti ma perso dei seggi e, questo perché i seggi vengono attribuiti su base provinciale: l’incremento distribuito in tutto il paese non ha fatto scattare seggi supplementari, il secco arretramento nel sud-est curdo (-10%) ha fatto perdere quozienti elettorali e seggi importantissimi. Erdogan ha annunciato subito dopo le elezioni di giugno che ad occuparsi dell’iniziativa curda sarà uno dei 4 vice premier del governo che sarà nominato per adempiere a questo compito esclusivo. Non sarà più quindi il ministro degli interni troppo legato alla sicurezza ed a metodi polizieschi ad occuparsi dei curdi. Un segnale di forte cambiamento, forse dovuto agli errori della campagna elettorale per aver perso il 10% dei voti nel sud est curdo.
La questione curda rimane un nodo irrisolto della politica turca. I giovani curdi di oggi non hanno più paura, non nascondono più il loro nome curdo, lo sostiene in un’intervista rilasciata al settimanale “Internazionale” nel numero 901 del 2011, Leyla Zana, una candidata curda indipendente, già eletta in parlamento nel 1991 e condannata a 15 anni di carcere nel 1994 per la sua attività politica filo curda.
“Per questo lo stato ha tutto l’interesse a trovare rapidamente una soluzione alla questione curda. Non dobbiamo lasciarci sfuggire questa occasione”.

Fonti bibliografiche:
“Storia dei Curdi” di Mirella Galletti – edizione Jouvence
“Kurdistan, Storia di un popolo e della sua lotta” di Namo Aziz - edizione Manifestolibri

16/04/2012

 


 

NEWROZ PIROZ BE (II parte)

 

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