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filosofia » Il fantasma della vita 2  

Parte I

IL FANTASMA DELLA VITA*

di Matteo Tomasina

Parte II

Il normale e il patologico
(Canguilhem, Foucault, Illich)

Abbiamo già detto della filosofia dell’hitlerismo, che fissa l’identità dell’uomo nella nuda vita. Abbiamo visto fino a che punto questa sia diventata da metafisica a senso comune, e come non venga riconosciuta con precisione nel tempo presente. Oggi tematizzeremo la differenza tra normale e patologico riguardo al concetto di salute.

Nella contemporaneità si deve “tendere” alla salute: cercata come valore ultimo, per essa si attua una mobilitazione totale. Il valore “salute”, o “benessere”, ha preso il posto di quello della “salvezza”. In latino “salus” significa “salvo”, ma tale è solo ciò che non è soggetto a deperimento, che si mantiene integro. Per questo la salvezza, in tempi premoderni, veniva ricercata in luoghi inaccessibili al divenire. La salvezza dell’anima era salvezza dal degradarsi del divenire. Oggi, pensando alla salute, non ci si appella più ad un’eternità al di fuori del divenire, ma a una salvezza nel divenire con i mezzi del divenire. Per impedire la degradazione, si fa appello alla stessa causa che la stabilisce. La ricerca della salute esclude così a priori la possibilità della salvezza. La salute perfetta è un “mito”.

Un autore che ha problematizzato questo concetto di salute è Ivan Illich. Era un prete cattolico, ma critico verso la Chiesa, che interpretò come modello di tutte le istituzioni della modernità. Il suo pensiero conduce a posizioni vicine per certi versi all’anarchia e per altri al reazionarismo.

In Nemesi medica, del 1976, Illich sostiene come tesi di fondo che la medicina, nel senso di istituzione della sanità, sia un agente patogeno. Essa produce il male che è portata a curare. Lo fa attraverso l’ “espropriazione della salute”, che avviene quando una casta, quella dei medici, si appropria della capacità di autogestione dell’individuo (il “paziente”) in questo ambito. Ciò avviene con la costruzione del concetto di “corpo medicalizzato”, il corpo che deve essere gestito da una corporazione di competenti nelle mani dei quali è ridotto a oggetto. Eventi mai considerati fenomeni patologici – sopra tutti: la nascita e la morte – nella modernità vengono medicalizzati. La stessa critica aveva già riguardato la scuola: in entrambi i casi, un’istituzione si appropria dei soggetti e li pone in custodia di esperti che li amministrano.

Illich porterà avanti negli anni seguenti queste tesi, senza timore di radicalizzarle. In una delle sue ultime conferenze, tenuta nel 1999 a Bologna, L’ossessione della salute perfetta (il video è disponibile in archivi on-line), il pensatore sostiene infatti che proprio la ricerca della salute è diventata il fattore patogeno determinante della modernità. Tanto più aumenta l’offerta di salute, tanto più le persone si sentono inadeguate, insufficienti, in ultima analisi malate. Illich aggiunge poi che il concetto di salute moderno ha subito trasformazioni, fino a diventare “cibernetico”.

Alle origini, il rapporto medico-paziente si dava come ascolto delle “lagnanze” del paziente (non avendo altro metodo di indagine) e successivo esame clinico. La preoccupazione non era tanto di risalire alla causa della malattia, ma piuttosto di arrivare a ristabilire un “ciclo naturale”, la salute. La pratica terapeutica era poi indicata all’individualità del malato. Si trattava di un’inferenza abduttiva, per usare la terminologia logica di Pierce: il paziente è un testo unico da decifrare, il medico è una sorta di investigatore. Non è ancora una relazione tra esperto e ingranaggio difettoso. Illich parla di “pratica dell’ascolto”.

Subentrerà in seguito la “pratica dell’auscultazione”. Sulla base di una teoria già formulata, il medico assegna al paziente una patologia codificata. Emerge un quadro teorico che prima era in secondo piano. Il “testo” individuale deve essere ricondotto a una legge superiore. Si applica lo schema della scienza moderna. Un altro autore, Canguillhem, che approfondiremo a breve, formula lo stesso discorso. Il maestro di Foucalt nel saggio Sulla medicina differenzia la figura del guaritore da quella del medico. Quest’ultimo non si definisce più sulla base della capacità di guarire: deve poter assegnare la patologia corretta. Sempre all’interno di un’istituzione, e sulla base di una teoria data. L’assegnazione della terapia spesso è il passo successivo, ma si tratta solo di un accidente. Il guaritore deve innanzitutto risolvere la patologia, il medico epistemologicamente non è tenuto a farlo. Il fatto che gli psicanalisti si occupassero in primo luogo di guarigione ha comportato le difficoltà a inserire la psicanalisi nella medicina.

L’ultima tappa della storia della medicina avviene, secondo Illich, quando il paziente è identificato con un’astratta configurazione di probabilità (la prova eclatante è nella diagnosi pre-natale). Il medico non è più l’espropriatore della decisione del paziente, ma solo perché ora manca del tutto il decisore: il corpo è assegnato “all’inumano numerico”. Questo significa che il medico formula una tesi probabilista, e sulla base di questo offre al paziente una scelta. Questo comporta anche la caduta della responsabilità dalla parte dello specialista. Inoltre, la medicina è fiscalizzata: si sceglie per l’uso di certe terapie sulla base del criterio finanziario, e utilitaristico (su questo principio si può pensare di escludere gli anziani, o altre categorie).


Nel XX secolo si può dare questa definizione ironica di salute: “uno stato precario, transitorio, che non promette nulla di buono.” E’ ciò che noi realmente pensiamo. Non siamo mai “salvi”: la salvezza è all’opposto della precarietà. Il carattere costitutivo della modernità, il suo rimosso, non sono la morte e la sofferenza, ma la possibilità di essere sani. Riprendendo ora Canguillhem, possiamo affermare che oggi “quello che non ci è più dato è la possibilità di una salute libera, incondizionata, non contabilizzabile”. Non è questo l’oggetto d’attenzione degli “specialisti della salute”.

L’autore francese trattò direttamente Il normale e il patologico nella sua tesi di laurea (che reca questo titolo). La differenza tra i due concetti è quella tra salute e malattia. Riflettendo, una differenza può essere di due generi: grado o natura. Nel primo caso si è nella cornice del medesimo genere, e la variazione è solo quantitativa. Così per esempio nella differenza d’altezza, o di peso. Nel secondo caso è il genere stesso a variare.

Alla domanda se tra normale e patologico, cioè tra salute malattia, la differenza sia di grado o di natura, la medicina classica, positivista e ottocentesca risponde in modo chiaro e con un unico e indiscutibile dogma: la differenza è solo di grado. Se in un organismo vivente si verifica un fenomeno patologico, questo riguarda la variazione in “più” o in “meno” di un fenomeno fisiologico, senza salti e discontinuità. “Siccome dei contrari c’è una sola scienza, fisiologico e patologico sono la stessa cosa”, conclude Canguillhem. La contrarietà si verifica tra opposti dello stesso genere (per esempio, caldo-freddo, nel genere temperatura). La contrarietà assoluta e senza genere comune è invece contraddizione. Ma fra gli stati della salute la relazione è di continuità e omogeneità: si può procedere dividendo all’infinito, siamo tutti più o meno sani e più o meno malati.

Basta una condizione di “ipo”, o “iper”, perché si passi da fisiologia a patologia. Posizionati su una scala, ci si trova in condizione costante di precarietà: tornando alla definizione ironica, la salute è transitoria e non promette nulla di buono. Ma se siamo tutti più o meno malati, abbiamo anche tutti bisogno di cure, e dobbiamo quindi affidarci a un’istituzione apposita. Dire “non siamo sani” significa avere bisogno di aiuto.

La tesi che Canguillhem avanza, e che affascinerà Foucault, è che tra normale e patologico vi sia invece differenza di natura. Tra normale e patologico c’è continuità, ma può esservi anche eterogeneità: “la progressività di un evento (sto bene-mi ammalo) non esclude la sua originalità”, scrive. Il modello teorico di questo è Bergson: la continuità di un processo e il costante divenire altro non si contraddicono, ma sono l’essenza della durata. A questo punto la differenza tra normale e patologico non è più oggettiva, riguarda il piano fattuale ma non vi si riduce. Concerne anche un aspetto soggettivo, un giudizio di valore.

Questo non significa ridursi alla tesi opposta, sciocca, che afferma che la malattia è solo un “giudizio”. Il senso è che la salute ha a che fare una relazione, quella uomo-ambiente, e non è un oggetto che si riduce a misura e quantità. Freud parla di “anatomia volgare del corpo umano”: è l’idea che del corpo ha l’isterico, coincidente con la sua rappresentazione nella vita quotidiana. La salute è concetto “volgare”, che nasce prima di tutto come autovalutazione, “sto bene”. Citando Artaud, “salute è questa potenza di espansione, capacità di dominare le cose, io posso”. La salute c’è quando se ne può abusare, metterla a rischio. Nella relazione con l’ambiente esterno, ne deriva che il soggetto non si lascia normalizzare, ma è lui a dare norme. La salute riguarda la “quantità di mondo” a nostra disposizione, le risorse su cui siamo in grado contare. In questo senso, la giovinezza è sinonimo di salute e di “io posso”. Questa normatività della salute non figura sulle analisi e le rilevazioni oggettive. E’ volontà di potenza, nel senso di capacità di autoaffermazione nel rapporto con l’ambiente. Un rapporto umano con l’ambiente non è di esclusivo adattamento, ma conversativo.

A questo punto, il rischio è di vedere il patologico come un minore io posso, e di tornare quindi a ipotizzare una differenza di gradi. Ma Canguillhem parla piuttosto di patologia come condizione di normalizzazione. “Normativo” è colui che istituisce le norme, “normale” è la situazione che si verifica quando la normatività è potente. Il malato è colui che vive in una condizione d’esistenza in cui, incapace di dare norme, è costretto a subirle. Per Nietzsche l’uomo malato si limita a reagire alle circostanze, la morale platonico-cristiana è quella di uomini malati in quanto porta a subire e non ad affermarsi: La critica del filosofo tedesco colpisce anche Darwin (pur se in modo poco pertinente): il fondamento della vita non è l’adattamento, ma l’autoaffermazione. A volte chi è meno adatto all’ambiente, ma proprio per questo in grado di normarlo, sopravvive. C’è salute ogni volta che la potenza si afferma, creatività. La salute può coincidere anche con il suo abuso, il suo essere messa a rischio. Malato è chi non può aprirsi.

Nella vita quotidiana si è normativi e normalizzati. La guarigione è il momento in cui si riaccende la normatività: si riafferma l’esistenza sulla vita.


Per la medicina classica, guarire è tornare allo stadio precedente. Ma questo è impossibile, per l’evidenza del degrado prodotto dal divenire: non si può restaurare il passato. Per Bergson la “vita è durata creatrice”: irreversibilità, continuità, ma anche eterogeneità. Divenire altro senza reversibilità. Il tempo è sostanziale, non può cancellarsi. La guarigione nel senso della medicina classica è così impossibile. In un altro orizzonte, si guarda invece alla differenza io posso-io subisco. La guarigione deve essere un luogo pedagogico. Come in psicanalisi, dove chi ascolta come chi parla esce cambiato. Il trauma deve essere rielaborato, non evaso. Esso deve diventare principio di una nuovo racconto. Guarire significa imparare a fare qualcosa con la malattia. Non abbandonarla ai margini, cercando di renderla qualcosa di insignificante. Si tratta di introdurre elementi di normatività. “Stare bene” a partire dalla malattia. “Comportarsi bene” con qualcosa a cui si deve fare fronte, che è impossibile evadere. Ritrovare la volontà di potenza in una situazione che sembrerebbe eliminare io posso.

Foucault riprenderà questo discorso. Il “dispositivo” è il sistema per normalizzare la vita. L’unica via di fuga sta nella ripresa della capacità normativa, la volontà di potenza. “La norma è strumento del biopotere per normalizzare la vita”: il processo di normalizzazione della vita. Dal XVIII secolo il potere è diventato biopotere, potere sulla vita. Se ne è fatta una risorsa da gestire, incrementare, incentivare. Questo ha escluso anche a priori la possibilità della saluta. La vera proposizione rivoluzionaria, in questo mondo, è quella che all’interrogazione “come stai” risponde “sto bene”. Significa “non ho paura”, “non ho bisogno”. La salute è affermazione rivoluzionaria, una via di fuga dai dispositivi del potere. La salute è la condizione a priori, latente, vissuta come condizione di ogni attività

Presupposto di questo, è che non sia il paziente a esprimersi in gergo e il medico in lingua ben fatta. Il concetto di salute è “volgare”, per questo non si lascia normatizzare.

E’ un conflitto con il riduzionismo: riduzione da soggetto a oggetto, fatto. La salute non è solo uno stato della materia, ma soprattutto un atto, qualcosa che si fa.

03/03/12

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