L’ONDA MIGRANTE
di Mirca Garuti
I migranti arrivati sulle coste italiane dall’inizio del 2011 ad oggi sono 5.526. Un numero elevatissimo se si considera che, nello stesso periodo dell’anno scorso, i migranti arrivati erano stati solo 52.
Il governo italiano è nel panico e non sa come affrontare il problema. Il Ministro dell’Interno Roberto Maroni e quello degli esteri Franco Frattini diffondono continuamente dichiarazioni d’emergenza chiedendo aiuto alla Comunità Europea.
Sono arrivati migliaia di ragazzi, donne, uomini e bambini dalla Tunisia e il Ministro Maroni li ha definiti “Un esodo biblico di fronte al quale l’Europa non può lasciarci soli”. In un’intervista al Tg5 ha dichiarato: "L’Europa non sta facendo nulla. Sono molto preoccupato. Ho chiesto l’intervento urgente dell’Ue perchè il Maghreb sta esplodendo. C’è un terremoto istituzionale e politico che rischia di avere un impatto devastante su tutta l’Europa attraverso l’Italia. Noi siamo come il solito lasciati soli. Stiamo gestendo l’emergenza umanitaria con la protezione civile. È indispensabile l’intervento dell’Europa".
Il Ministro Maroni, all’inizio dei primi sbarchi (oltre 200 persone), nella seconda settimana di febbraio, aveva sottovalutato il problema. Si era, infatti, rifiutato di riaprire il Centro di soccorso e prima accoglienza, dichiarando il nove febbraio scorso che: "Il Centro non verrà riaperto" e che gli arrivi verranno gestiti con il trasferimento verso altre strutture". Maroni si è detto preoccupato per la "fortissima pressione sulle coste tunisine: non è ancora allarme rosso, ma può diventarlo e stiamo monitorando attentamente la situazione".
In verità gli sbarchi non si sono mai fermati, dichiara Giacomo Sferlazzo, pittore, musicista e portavoce dell’associazione “Askavusa” (a piedi nudi) di Lampedusa: “Ma mica sono arrivati adesso, è da gennaio che sbarcano. Solo che adesso non si poteva più tacere, l’emergenza è tale che il governo non ha più potuto far finta di niente”.
Giacomo due anni fa scrisse la canzone “Lampedusa 24/01/2009” per evidenziare che quella rivolta dei migranti che vivevano all’interno del Cpt, diventato poi Cie (centro d’identificazione ed espulsione) non fu solo tragica come la definirono i media, ma diventò un esempio d’accoglienza di tutti i lampedusiani. Ora l’associazione “Askavusa” insieme a quella trentina L.I.M.EN sta portando avanti, non senza difficoltà, il progetto “Museo della migrazione a Lampedusa”.
Askavusa è sorta proprio nel 2009 in conseguenza alle varie manifestazioni della cittadinanza con i migranti dell’isola, con il preciso intento di diventare una voce alternativa al dibattito istituzionale sull’immigrazione e di dare così vita ad una nuova idea di cultura.
Giacomo continua la sua testimonianza: “Quando hanno cominciato ad arrivare i primi immigrati, dormivano sul molo, per le strade. Poi alcune associazioni come la nostra, ma anche Legambiente e Amnesty International, hanno denunciato la cosa, e solo dopo 4 giorni si sono decisi ad aprire il CIE, che è comunque non idoneo a sistemare tutti con le adeguate condizioni sanitarie. È certo che chi si trova a Lampedusa in questo momento, si rende conto che quello che sta succedendo non è normale, ma poteva almeno essere prevedibile. Gli eventi delle scorse settimane in Nordafrica lasciavano sicuramente presagire l’arrivo di un’ondata numerosissima, e adesso l’isola che più di tutte le altre zone d’Italia è costretta a fare i conti con continui sbarchi, è praticamente in una condizione di stallo”. Ci troviamo in una situazione molto delicata. L’isola di Lampedusa è piccola, solo 22 km quadrati e, non è possibile ospitare tutte quelle persone. “Non ho visto bambini e donne, forse alcuni di loro sono nel CIE”, racconta ancora Giacomo: “In giro ci sono solo uomini giovani, tra i 18 e i 20 anni, alcuni poco più che trentenni. Se ne vanno in giro per l’isola, ma il pericolo vero è che una qualsiasi provocazione, un qualsiasi scontento, possa far degenerare la situazione”.
Non si può sempre e solo pensare a risolvere “emergenze” e non essere un po’ più accordi nel prevedere quello che può succedere.
L’Italia, ancora una volta, si è dimostrata debole ed ipocrita nell’affrontare questa realtà ed ora cerca di correre ai ripari rivolgendosi a tutti quelli che potrebbero essere in grado di “respingere” i migranti, anziché organizzare una degna sistemazione di tutti quelli che sono in fuga dai rispettivi paesi dittatoriali.
L’Italia ha sempre gestito il problema dei flussi migratori finanziando i vari regimi del Maghreb facendo finta di non sapere cosa succedeva in quei paesi, rendendosi così complice di quei regimi.
L’Italia ha sempre preferito fare una politica rivolta al respingimento e non all’accoglienza degli stranieri con la scusa di dover applicare il Diritto alla Sicurezza per i cittadini italiani, violando più volte la Convenzione di Ginevra.
L’Italia spesso non ha rispettato le direttive europee in materia d’immigrazione, ignorando gli avvertimenti del Parlamento e della Commissione Europea sul Trattato con la Libia. (v.sito fortresseurope)
L’emergenza ha riaperto i dialoghi tra l’Italia e l’Unione Europea. Il Ministro Maroni ha chiesto con urgenza una convocazione del Consiglio Europeo dei capi di Stato e di governo per “mettere in piedi una strategia”. Il Consiglio europeo favorisce la comunicazione e la discussione tra gli Stati Membri, ma non è un organo esecutivo, quindi, può solo discutere un tema ed esprimersi, ma, si sa, le parole non servono a nessuno. Il ministro degli esteri Frattini sostiene una linea di cooperazione con i paesi del Maghreb, proponendo uno schieramento di forze di polizia italiana in territorio tunisino.
L’Unione Europea nel 2004 ha delegato“Frontex”(agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea), operativa dal 2005, a sorvegliare le frontiere. Frontex entra in azione solo per richiesta degli Stati membri. La Tunisia ha respinto immediatamente la proposta di Frattini; è, infatti, un suo diritto difendere il paese.
Parlando della Tunisia Frattini ha spiegato che, dopo la richiesta di schierare le forze di sicurezza nei porti, "oggi 15 febbraio sono stati bloccati quattro barconi che tentavano di lasciare la Tunisia". "E' il metodo giusto" ha commentato il ministro spiegando che l'Italia ha anche offerto il suo equipaggiamento per migliorare la prevenzione, per avere un sistema radar e per fornire autoveicoli o battelli di pattugliamento"(AGI)
L’Agenzia France Press trasmette il 15 febbraio la testimonianza di otto passeggeri tunisini sopravvissuti al naufragio di Zarzis, località turistica sulla costa sud del Golfo di Gabès. Il giorno 11 febbraio scorso un’imbarcazione sulla rotta per Lampedusa ha avuto un incidente nel quale sono morte 5 persone, disperse 30 e 85 sopravvissute. I superstiti accusano la marina tunisina di avere deliberatamente speronato l’imbarcazione. E’ necessario ora capire alcune cose: se è stato un vero incidente, un sabotaggio, chi l’avrebbe ordinato e in quale punto del Canale si trovava il peschereccio, dal momento che stava navigando già da 12 ore. Sorgono spontanee alcune domande: la barca era vicina a Lampedusa? Perché è intervenuto un elicottero italiano? Perché nessuno ha fatto rapporto della strage?
“La barca era nuova, siamo partiti da una zona turistica, El Ogla, vicino a Zarzis, 500 km a sud di Tunisi, eravamo in 120 passeggeri. Ci siamo salvati in 85, i morti sono 5, e gli altri 30 sono ancora dispersi”, ha raccontato Ziad Ben Abdaalah, 23 anni, scampato alla tragedia. La sua versione dei fatti è confermata da altri 7 testimoni che erano sulla stessa barca. “Erano le 15,00. Faceva bello. Ci stavamo avvicinando all’Italia, ormai eravamo in mare da 12 ore, saremo stati ad un’ora dall’Italia, quando una nave della Guardia costiera ci ha dato l’ordine di spegnere i motori. Abbiamo obbedito”, continua Ziad. Si tratta secondo i testimoni, della motovedetta “Liberté 302”.
“La motovedetta della guardia costiera, che sarà stata un 40 metri di lunghezza, prima si è affiancata alla nostra barca e poi si è allontanata di un 700 metri circa. Pensavamo che avrebbe ripreso la sua rotta, ed invece, d’un tratto c’è venuta addosso. Non abbiamo sentito le guardie dirci di abbassare la testa, e poi ci sono venuti addosso e hanno spezzato in due la nostra barca”. "In quel momento, racconta Ziad, arriva sulla scena un elicottero italiano e un’altra unità della Guardia costiera tunisina. Iniziano i soccorsi, mentre l’imbarcazione spezzata in due affonda e la gente si ritrova in mare. Quando sono salito sulla motovedetta, uno dei guardacoste mi ha detto di tornare in acqua a salvare i miei amici. Ci hanno lasciato fradici sulla barca, dandoci giusto un tozzo di pane e, neanche a tutti", rincara la dose Fares Ben Yahyaten, un 21enne disoccupato, anche lui su quella barca, partito alla ricerca di un lavoro. Una volta a terra, è intervenuto l’esercito, che ha portato tutti alla base militare di Sfax, (seconda città della Tunisia, situata sulla costa Est a 270 Km a sud di Tunisi) “dove ci hanno dato da mangiare e delle coperte ma ci hanno anche preso le impronte digitali, le foto e ci hanno fatto delle domande sulla Guardia costiera”, spiega Aziz Bousetta, 26 anni, un altro superstite.
Dal canto suo, la Guardia costiera ha smentito all’AFP l’accaduto, stimando che la barca sia affondata perchè vecchia, senza aggiungere altro. Ma i parenti delle vittime chiedono giustizia: “Vogliamo sapere perchè la motovedetta tunisina ha rotto in due questa barca. Vogliamo che i responsabili siano processati perchè ci sono stati dei morti”, dichiara Nabil Ragdal, che nell’incidente ha perso il fratello. “Andremo fino alla fine, devono essere condannati per omicidio” aggiunge, mostrando l’autorizzazione alla sepoltura del fratello Lasca, il cui corpo è stato ripescato al largo di Sfax.
Le proposte dei Ministri Maroni e Frattini non portano a delle vere soluzioni al problema, anzi lo evitano, si fa il possibile per non andare verso il nucleo della questione. Bisogna smettere di parlare sempre e solo di “emergenza”, occorre coinvolgere tutta l’Europa, non è solo un problema italiano, le responsabilità sono di tutti. Se si chiude una frontiera se ne apre un’altra e, il problema così, può continuare all’infinito.
“Le frontiere esistono dove finiscono le parole” (Mikhail Shishkin “Capelvenere”).
Sarebbe opportuno quindi mettere in atto una serie di meccanismi diretti verso una politica d’integrazione e di cosmopolitismo. Tutti hanno diritto di vivere sulla terra, il diritto del cosmopolita deve essere superiore ai singoli governi e ci deve essere un diritto universale superiore che difende e legittimi qualsiasi uomo di vivere sulla terra (Kant v. filosofia della pace – il concetto d’ospitalità).
Purtroppo la realtà in cui viviamo è ben diversa, quando tutto è sotto il dominio dell’economia, dell’interesse e del potere della tecnocrazia. Per oltre vent’anni l’Italia ha sostenuto i governi di Ben Alì, Moubarak, Gheddafi, tutti ottimi partner commerciali, facendo finta di non sapere niente delle loro politiche antidemocratiche ed illiberali. Ora i loro cittadini scappano da questi paesi e, se da una parte si riconosce la loro legittimità, dall’altra, se arrivano nel nostro paese, sono considerati “un esodo biblico”. Basta riascoltare l’intervento del Ministro Maroni alla trasmissione “Che tempo che fa” del 13 febbraio (v.link raitre.chetempochefa@rai.it). Si è parlato di stato d’emergenza umanitaria, di terremoto istituzionale e di un fenomeno che si presenta diverso da quello conosciuto finora. “Prima l’immigrazione era gestita da criminalità organizzata, ha dichiarato l’onorevole Maroni, ora, invece, si tratta di un fenomeno del tutto spontaneo”. Si è parlato di prevenzione, di accordi bilaterali, di rom, ma mai dei crimini di Ben Alì, delle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo per i rimpatri avvenuti negli anni scorsi dall’Italia verso la Tunisia, dei processi in corso per i respingimenti in Libia, del naufragio di Zarzis e soprattutto nemmeno un piccolo accenno di solidarietà al popolo tunisino ed alla loro lotta per un nuovo governo democratico. La preoccupazione di Maroni è quella di dover “smaltire” una massa di gente che può essere pericolosa, in quanto, oltre ai normali cittadini in fuga, ci possono essere criminali scappati dalle carceri o terroristi inviati da varie organizzazioni islamiche.
La situazione, nessuno lo nega, è complessa e delicata, ma non si deve assolutamente dimenticare che stiamo parlando di Persone che hanno il diritto di scegliere dove andare e dove restare.
Il sindaco di Modena, Giorgio Pighi ha così commentato il trasferimento di cinquanta tunisini da Lampedusa al C.I.E. di Modena: “Per fare spazio ai tunisini provenienti da Lampedusa, il ministero degli Interni ha rilasciato quasi tutte le persone ospitate nel Centro d’identificazione ed espulsione di Modena. Ancora una volta, il Governo si è trovato impreparato e tutti paghiamo le conseguenze di una colpevole inerzia. Il Governo certamente sapeva ciò che stava avvenendo nei Paesi del nord dell’Africa, ma si è trovato incapace di gestire la situazione d’emergenza perché aveva chiuso il centro d’accoglienza di Lampedusa lasciando intendere che non ci sarebbe più stato nemmeno uno sbarco. Con quel centro aperto e funzionante si sarebbero potute valutare le domande d’asilo evitando un uso improprio dei centri d’identificazione ed espulsione. Il sottosegretario Giovanardi continua a confondere i profughi con i clandestini; secondo la legge, i profughi vanno assistiti, non respinti, e si deve verificare se ci sono le condizioni per la domanda d’asilo. L’Italia è obbligata a fare questo dalla Convenzione internazionale sui profughi e sul non respingimento, ma si è trovata completamente impreparata. Ricordo inoltre al sottosegretario che il Comune di Modena ha voluto il Cie e lo Stato si è impegnato a valorizzarne la presenza per le esigenze del territorio. Solo la voglia di propaganda e l’evidente incapacità di fare fronte alle crisi internazionali può far dire che era nostra intenzione chiudere il Centro d’identificazione ed espulsione. I Comuni italiani continuano ad essere disponibili e leali nei confronti di tutte le istituzioni repubblicane, anche quando si trovano di fronte ad un Governo incapace, ad una politica estera poco lungimirante, soprattutto per l’area del Mediterraneo, e ad altisonanti dichiarazioni sulla sicurezza che non trovano mai riscontro nella realtà. Ad ogni modo - conclude il sindaco - ho allertato i Servizi sociali del Comune per eventuali richieste d’asilo".
Inizia ora la corsa per risolvere il problema profughi. C’è gran fermento da tutte le parti.
Il sindaco di Lampedusa ha annunciato che entro dieci giorni gli immigrati saranno dirottati verso altre destinazioni. Finalmente dopo le accuse ed i litigi il ministro Maroni, la Commissione europea e Frontex sono arrivati ad una pacificazione. Cecilia Malmstrom, commissaria europea agli Affari interni, ha affermato, davanti alla sessione plenaria del Parlamento europeo: "È questione che riguarda l'intera Unione Europea, non è solo bilaterale". L’Unione Europea aiuterà quindi sia l’Italia e sia la Tunisia. . Le autorità tunisine, ha, infatti, aggiunto Malmstrom, "devono essere in grado di pattugliare le proprie frontiere marittime per impedire la tratta e l'operato dei trafficanti di esseri umani. Devono anche riprendere chi è entrato in Europa senza averne diritto. Ma - ha rilevato - dobbiamo anche mirare meglio il nostro intervento favorendo una serie di misure per promuovere la ripresa economica e l'occupazione in Tunisia".
Francia e Germania hanno già dimostrato la loro intenzione a non voler concedere nulla ai migranti tunisini sbarcati sulle coste italiane. “La Francia non accoglierà sul suo territorio tunisini sprovvisti di visto” - ha avvertito, nel corso del consiglio dei ministri a Parigi, il presidente francese Nicolas Sarkozy – aggiungendo “escludiamo di accogliere ulteriori migranti che non rispettano le regole sul visto”. Il ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Maiziere ha affermato che l’Italia è in grado di gestire la situazione senza l’aiuto della Germania: "Noi non possiamo risolvere i problemi di tutto il mondo", ha aggiunto il ministro, ricordando che l'anno scorso la Germania ha accolto circa 40mila rifugiati politici, mentre l'Italia non ne ha accolti nemmeno 7mila. "L'Italia è sotto pressione, ma non è affatto sovraccarica", ha tagliato corto De Maiziere.
Sono tutti concordi nell’affermare che la questione “sbarchi” è d’interesse europeo e contrastare l’immigrazione clandestina è certamente l’obiettivo prioritario.
La realtà però è che nessuno vuole questo popolo di migranti in casa propria!
Le ultime notizie riguardanti i disordini in Libia ci fanno capire purtroppo la posizione del nostro governo. Il premier Silvio Berlusconi si dice preoccupato per quanto sta avvenendo in Libia, ma spiega di non aver sentito il suo amico Gheddafi per non "disturbarlo" in un momento così delicato. "Siamo preoccupati - dice il premier ai giornalisti - per tutto quello che sta accadendo lì in tutta l'area". A chi gli chiedeva se avesse sentito il colonnello, il premier ha risposto di no perché "la situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno". (TMNews)
La rivolta in Egitto è stata vissuta praticamente attraverso la televisione, quella libica, invece, si svolge sotto totale censura. I giornalisti stranieri non possono raccontare, la televisione di stato manda in onda solo le manifestazioni pro Gheddafi e non c’è collegamento internet. L’Italia sta zitta, anzi, non vuole “disturbare” il colonnello, troppi interessi li tengono uniti! Ma i morti, secondo dati medici, sono saliti a 285. Ma cosa succederà ora? Come reagirà il governo italiano nei confronti di probabili migranti libici? E il Trattato con la Libia?
Il ministro Franco Frattini ha già rilasciato la posizione dell’Italia:"Bisogna difendere la sovranità e l'integrità territoriale della Libia perché, l'ipotesi di un emirato islamico a Bengasi sarebbe una minaccia veramente seria. L'Europa non deve esportare la democrazia in Libia: non sarebbe rispettoso dell'indipendenza del popolo, della sua ownership". Ma allora il popolo iracheno e quello afgano come si devono sentire di fronte a questa triste ma chiara affermazione?
Non una parola quindi nei confronti del popolo libico massacrato dall’esercito! Un silenzio che dura da decenni ormai con la complicità di tanti governi italiani pronti solo a siglare accordi con Tripoli sui respingimenti in Libia in cambio di commesse commerciali molto onerose. La situazione oggi si presenta molto complicata e pericolosa per suo futuro sviluppo. I giovani libici sono determinati a raggiungere il loro obiettivo di libertà, di liberarsi da questa lunghissima dittatura anche a costo di dover pagare un prezzo elevatissimo di vite umane.
Le ultime notizie, infatti, riportano le parole dure del colonnello che minaccia l’Europa di riaprire le frontiere e di far arrivare migliaia di migranti sulle sue coste ed il suo popolo di repressioni violente e sanguinarie se non cessa questa ondata di ribellione. E come il solito, gli uomini scesi in piazza per riacquistare dignità e libertà sono i criminali, mentre i “fratelli libici” sostenitori del regime sono i cittadini modello! A parlare è il figlio secondogenito del colonnello, Saief al-Islam Gheddafi: "Stiamo molto attenti! Schiacceremo la rivolta. Combatteremo fino all'ultimo uomo, fino all'ultima pallottola. L'esercito rimarrà al suo posto. Mummar Gheddafi, rimarrà al suo posto a guidare la lotta”. Ci si domanda perché è stato delegato il figlio a parlare direttamente in televisione al popolo libico? Un passaggio di poteri? Un consiglio di qualcuno? Una prossima fuga dello stesso colonnello? Speriamo proprio non verso l’Italia!
L’Italia, l’Europa, l’Occidente sono in parte responsabili di tutto quello che sta succedendo perché non si può pensare di appoggiare i governi dittatoriali dei paesi del Nord Africa per un proprio interesse economico di mercato e di sicurezza senza mai provocare o causare forti reazioni di chi è costretto a subire tali dittature.
21/02/2011