LA
SINISTRA ITALIANA SI RIORGANIZZA:
NASCE
“SINISTRA ARCOBALENO”
“SINISTRA
CRITICA” LASCIA IL PRC
Conferenza Nazionale di Sinistra Critica 7-8-9
dicembre Roma
SINISTRA
CRITICA: L’ESPERIENZA NEL PRC E’ CONCLUSA.
ORA
NECESSARIO LA COSTRUZIONE DI UN NUOVO SOGGETTO POLITICO
Sinistra
Critica si trasforma in Movimento e propone una fase Costituente per
una coalizione anticapitalista a sinistra dell'Arcobaleno.
Prioritario, l'impegno nel movimento a cominciare da sabato prossimo
a Vicenza per proseguire nel Patto contro la precarietà, nel
protagonismo femminista, del movimento Lgbtq, per la battaglia
ecologista e antirazzista.
Oltre
200 delegati da tutta Italia si sono ritrovati a Roma all'auditorium
di via Rieti, per la prima conferenza nazionale di Sinistra Critica.
Oltre 100 assemblee svolte in tutta Italia per discutere di lotte
sociali, della fine dell'esperienza di rifondazione comunista,
dell'opposizione al governo Prodi e della costituente della sinistra
anticapitalista. Un percorso partecipato, fecondo e appassionato,
ricco di interlocuzioni. Sinistra Critica, a una settimana dalla
manifestazione di Vicenza, è pronta a lanciare la sua sfida.
in movimento per la sinistra alternativa.
Per
comprendere il cammino che dal voto contrario del Senatore
Turigliatto e del deputato Salvatore Cannavò ha condotto
questa parte importante della sinistra anticapitalista ad incontrarsi
per decidere l’uscita dal PRC, presentiamo:
Relazione
introduttiva di Salvatore Cannavò
Confesso
di provare una certa emozione a introdurre questa assemblea che, di
fatto, rappresenta il primo congresso nazionale di Sinistra Critica.
Da quando abbiamo realizzato la mozione congressuale nel Prc abbiamo
fatto molta strada. Abbiamo costruito un collettivo diffuso, una
fiducia reciproca, un sentire comune. E abbiamo prodotto dei fatti
politici, penso innanzitutto al 9 giugno contro Bush. Abbiamo
costruito una pratica collettiva fatta di democrazia e di reciproco
ascolto.
Sono
passati dieci mesi da quando Franco Turigliatto è stato
espulso dal Prc: un avvenimento fondativo di gran parte del nostro
stare insieme. E in questi mesi abbiamo discusso al massimo di come
mantenere il nostro progetto, di come raccordare i tempi di tutti, di
come trasformare la rabbia, o la delusione, in una proposta che
convincesse tutti e tutte. E siamo qui. Abbiamo deciso di convocare
una conferenza, per delegati e delegate, e non un meeting. Ci sarà
tempo anche per quello. Ma in questa tre giorni privilegiamo la
riflessione e il lavoro politico.
Anche perché fondiamo un
progetto in un contesto assai difficile. Non ci tiriamo indietro e
raccogliamo la sfida ma non ci raccontiamo frottole e non nascondiamo
la difficoltà dell’impresa.
La
fine di un ciclo
La
fase attuale va sotto il segno della chiusura di un ciclo politico.
Un ciclo politico breve, quello del governo Prodi, ma soprattutto un
ciclo politico lungo scaturito dalla precedente crisi italiana quella
del ’91-’92. Sta finendo il ciclo del bipolarismo all’italiana
visto che ha assolto al suo compito prioritario: garantire una
governabilità di fondo che gestisse il conflitto sociale e
permettesse all’Italia di reggere la competizione globale nel cuore
di una crisi di consenso che metteva a rischio il sistema
complessivo. Altro che le lamentele di Montezemolo, secondo cui il
paese non è governato da almeno 12 anni; in questo tempo
l’Italia è stata governata in una linea discendente di
liberismo, somministrato a dosi alterne, quali che fossero i governi.
La curva dei salari, quella dei diritti sociali, della salute, del
welfare, la situazione della precarietà sono tutte orientate
verso il basso come un grafico di Borsa in perdita; e tutte sono
state sospinte al ribasso da un mix di liberismo e autoritarismo che
ha caratterizzato il primo e il secondo governo Berlusconi ma anche
il primo e il secondo governo Prodi.
Di cosa parlano, altrimenti
i morti sul lavoro come quelli di Torino?
Di cosa parlano i
milioni di precari?
E i lavoratori rumeni che si mettono in fila
sulle strade fino a mezzogiorno per poter lavorare qualche ora? Se
non di un degrado della condizione del lavoro a fronte di profitti
crescenti?
In questi quindici anni l’Italia ha cercato di
tenere il passo con la concorrenza internazionale, sempre più
esplicita e spietata, a base di guerre commerciali e guerre
guerreggiate. Ha cercato di non perdere quote di potere e di dotarsi
di un suo specifico “posto al sole”. Ad esempio piazzando un po’
di soldati – ormai stabilmente 10.000 – nei vari teatri di crisi
per poter contare nel gioco diplomatico. Per questo ha ritirato i
suoi soldati dall’Iraq per spostarli, più utilmente sul
piano del peso politico in Libano e non intende spostarli in nessun
modo dall’Afghanistan come la Sinistra sapeva bene quando ha
firmato l’accordi!
Ma il bipolarismo maggioritario, che è
servito a compiere questo inserimento, oggi non basta più. E
non basta perché nonostante i suoi “successi”
economico-militari ha fallito o non ha risolto nulla in termini di
consenso. Il conflitto sociale è aumentato negli anni in cui
ha governato Berlusconi e si è dileguato, lasciando però
il posto alla disillusione, negli anni di centrosinistra.
La
società italiana, il moderno proletariato è sempre più
diviso e frammentato, atomizzato e demoralizzato. La precarietà
è il senso di questa condizione, ed è visibile ormai ai
più.
E la stessa borghesia sebbene abbia accresciuto
profitti e forza politica non sta meglio: vive una fase di
incertezza, vede alcuni suoi settori impoverirsi, è impaurita
nello scenario globale e quindi più cattiva.
Serve un
sistema più stabile e allo stesso tempo meno rigido, più
malleabile.
L’ideale sarebbe una Grande Coalizione, come in
Germania. Probabilmente sarà una strada obbligata ma la Grande
coalizione, che costituisce una risposta in periodi di difficoltà
acute, è già in crisi in Germania, con una Spd pressata
a sinistra e una Cdu che vuole riguadagnare per intero il centro
della scena politica. Anche lì, la formula non funziona in
termini di consenso sociale perché la società è
molto più insofferente e aliena dal quadro politico di quanto
si immagini.
Il liberismo vuole ampliare gli strumenti con cui
può far passare le sue scelte. Non a caso ha salutato con
grande entusiasmo la nascita del Pd, nuovo partito della borghesia
italiana a vocazione europeista. Ampliare l’offerta perché
comunque le sue ricette non funzionano e quindi non convincono. Hanno
una crisi di consenso
Che non convincono lo abbiamo visto
negli ultimi anni in una grande mobilitazione internazionale che ha
posto il tema della contestazione del liberismo, in molti casi con
una “latenza anticapitalista” – prometto che è l’unica
citazione positiva di Bertinotti – che ha posto le basi di una
contestazione di sistema. Oggi molte dinamiche sembrano rientrate –
anche se viste nella loro dimensione internazionale le cose sono
molto più mosse – ma a noi sembra che quella critica abbia
aperto una faglia da cui scaturisce ancora energia positiva.
Chi
si occupa dell’antipolitica?
E
una parte di questa critica si è riversata anche nella
cosiddetta antipolitica che è un elemento corposo della realtà
italiana, non più solo un segnale inquietante ma un vero e
proprio fenomeno sociale che nessuno vuole indagare seriamente e a
cui nessuno vuol davvero fare riferimento nella speranza, o
illusione, che la riforma elettorale cancelli le anomalie e riporti
tutto alla normalità. E invece occorre un’indagine profonda
e un’attitudine non banale.
Non proponiamo di sposare le
tesi di Grillo, che anzi in alcuni casi sono un capolavoro di
qualunquismo e di spirito reazionario, ma se per antipolitica si
intende contro la politica degli apparati, dei ceti separati, del
nuovo notabilato che propina sempre la stessa minestra liberista, beh
allora siamo contro questa politica e un po’ di antipolitica la
facciamo nostra. Un po’, sia chiaro, quel po’ che si concilia con
una critica della politica, con una critica di classe della
democrazia delegata e con una contestazione radicale dei meccanismi
di privatizzazione dell’economia e della politica che vanno di pari
passo.
La ricostruzione di una forza anticapitalista, appunto
“anti”, passerà necessariamente anche per il recupero di
queste istanze, anche attraverso forme ribellistiche e di
scompaginamento del “politically correct”: davvero una forza
fuori dai due poli, fuori dalle compatibilità, fuori dai
meccanismi e dai rituali della politica di palazzo!
Il
nuovo movimento
Per
questo occorre scommettere sul movimento, sui movimenti e i
conflitti.
E’ chiaro che il movimento non è più
quello di Genova che resta il momento originario. Esistono diverse
lotte e conflitti ma oggi sono molto localizzati per quanto sempre
più diffusi, enormemente diffusi. E dicono di una carica
radicale e di un potenziale di partecipazione altissimi. Basti
guardare Vicenza e la Val di Susa. Lì c’è stata una
risposta attiva alla crisi della politica.
Ed è
fondamentale non lasciare isolate queste realtà, come è
importante che loro stesse non ripiegano su se stesse.
Un
obiettivo sempre attuale è quello di ricucire legami e
relazioni stabili, almeno al livello della comunicazione – problema
Stampa - rafforzare i “Patti”, riempirli di soggettività
vere, non solo di gruppi politici, che pure non vanno demonizzati se
aiutano a svolgere questo compito (diverso è quando puntano
alla propria autorappresentazione o all’istituzionalizzazione del
movimento).
Il movimento dovrebbe preservare la sua autonomia
come una reliquia e, ovviamente, la sua capacità di congiugare
la radicalità e l’unità dal basso, sapendo che oggi
la prima è la condizione della seconda e non il contrario. Il
contrario è un’imposizione dall’alto, dalla politica
istituzionale e dalla Sinistra che punta a costruire il ponte
impossibile tra la “lotta” e il “governo”.
Centralità
ai movimenti, dunque.
L’agenda
è già segnata:
Vicenza e la guerra; TUTTI A VICENZA
IL 15 DICEMBRE, ma poi anche il 26 gennaio giornata di mobilitazione
con il Patto contro la Guerra;
la precarietà; il 20 ottobre
è stata una sonora presa in giro anche se ha mostrato una
disponibilità a mobilitarsi. Il milione di No al Referendum è
stato affossato in parlamento ma non va disperso: non commettiamo
l’errore dell’articolo 18. Sostegno al referendum per
l’abolizione della legge 30, rafforzamento del Patto,
individuazione di nuove scadenze;
il nuovo femminismo e i diritti
civili, partendo dal bel successo del 24 novembre e dall’invidia
per le donne che hanno dimostrato una forte radicalità e una
determinazione di altri tempi
i beni comuni e la battaglia per la
difesa ecologista dei territori;
le lotte dei migranti e
l’antirazzismo. Quello che è accaduto sulla sicurezza
rappresenta uno spartiacque uno dei punti più bassi della
Sinistra. Perché il silenzio di quella sera, quando è
avvento l’omicidio di Tor di Quinto e il governo ha convocato un
Consiglio dei ministri straordinari, ha pesato più del voto in
parlamento, l’assenza di un punto di vista contrario, alternativo,
che è il compito principale di una forza di sinistra.
Queste
sono oggi le nostre priorità
L’agenda di movimento è
l’agenda di Sinistra Critica!
La
sinistra e il movimento
Ora
vediamo che la sinistra di governo cerca di recuperare. Finalmente si
occupa di Vicenza, dopo più di un anno di silenzio. Fa
appelli, vuole ricostruire legami, interloquisce, scrive lettere.
Noi
ovviamente pensiamo che se il movimento è in difficoltà,
non è dovuto semplicemente alle scelte governiste della
sinistra politica e istituzionale. C’è dell’altro – i
limiti dell’organizzazione, il peso delle sconfitte, la scarsa
interazione con il mondo del lavoro, e altro ancora. Ma inviterei a
riflettere su una analogia internazionale molto indicativa.
Nei
tre paesi centrali del movimento internazionale – Brasile, Italia e
Francia – quelli che hanno guidato la dinamica di Porto Alegre, la
sinistra ha imposto la scelta governista – o vincendo come in
Brasile e Italia o candidandosi a governare con il socialiberismo,
come in Francia – e il movimento si è diviso e si è
inceppato. A noi sembra una spiegazione importante di quello che è
accaduto in Italia: andando al governo la sinistra ha smontato il
movimento e lo ha illuso nella prospettiva “di lotta e di governo”.
Illusioni ben rientrate e che dicono di quante macerie siano state
prodotte sotto i nostri piedi. E non sarà facile riprendere il
cammino.
Il bilancio del Governo
Anche
perché il governo pesa ancora non poco. Non ce la si cava
denunciando il fallimento di Prodi!
Perché il
fallimento di Prodi è il fallimento della Sinistra a
cominciare da Rifondazione!
Qui parliamo di un governo che ha
aumentato le spese militari in modo esponenziale, ha irriso alle
richieste dei movimenti, ha regalato miliardi su miliardi alle
imprese; ha lavorato attivamente a una riorganizzazione
capitalistico-finanziaria – da Intesa San Paolo a Telecom, dalle
manovre su Alitalia a quelle che riguardano la collocazione europea,
cioè nel novero dei paesi forti dell’Unione europea. Un
governo che può andare a braccetto con Zapatero e Sarkozy allo
stesso tempo, anche perché Zapatero e Sarkozy sulle politiche
sociali non dicono cose molto distanti.
E che ha regalato mance e
carità ai soggetti deboli: come il bonus agli incapienti, gli
aumenti irrisori alle pensioni più basse.
Un governo che
si è sorretto, fin dall’inizio, su una base concertativa tra
sindacati e imprese senza la quale non avrebbe resistito un giorno.
Un governo di classe, ma della classe avversa.
E soprattutto un
governo che è riuscito a integrare la legge 30 peggiorando,
con il decreto sicurezza, la stessa Bossi-Fini!
Per questo
siamo all’opposizione: ci siamo andati sulla guerra e poi sul Dpef,
sulle leggi più inaccettabili.
Oggi l’opposizione di
Sinistra Critica è ben visibile con il voto contrario dato
alla fiducia su Welfare alla Camera e sul Decreto sicurezza al
Senato.
Noi la verifica l’abbiamo già fatta,
all’opposizione ci siamo già!
E’ bene ricordare che
la Sinistra, Rifondazione, tutto questo l’ha coperto: la guerra, il
Welfare, la sicurezza, le spese militari, il G8 (ZANOTELLI), il cuneo
fiscale, l’affossamento dei Pacs
In realtà, l’attacco
a Prodi, cerca di far dimenticare tutto questo.
E serve a coprire
l’ultima insidia, la più grande e l’intreccio perverso,
oserei dire l’abbraccio mortale. Per favorire la nuova
riaggregazione e, quindi, la nascita della Sinistra Arcobaleno,
Rifondazione si erge a puntello dell’asse Veltroni e Berlusconi.
Nel bipartitismo a vocazione maggioritaria che propone un’ulteriore
restrizione democratica, un’ulteriore limitazione del pluralismo,
un ulteriore tentativo di ottenere il consenso barando sui risultati
elettorali, con soglie di sbarramento putiniane e abolizione,
d’ufficio, di partiti e culture politiche, spunta il soccorso
rosso.
Anche la tradizionale difesa del pluralismo e della
democrazia di base rischia di essere sacrificata sull’altare delle
proprie convenienze di apparato o addirittura personali. E’ bene
essere chiari su questo: ci hanno tenuto inchiodati alla paura del
“mostro” Berlusconi e oggi lo si erge a geniale riorganizzatore
della politica italiana e si contempla l’ipotesi di un asse con lui
e con il suo Walter Ego.
Il paradosso è che, se vogliamo
guardare i contenuti di democrazia, l’attuale legge elettorale è
la migliore in tutto questo bailamme. Se il nostro voto dovesse
essere decisivo, proporrei di affossare qualsiasi peggioramento del
Porcellum
La
fine di Rifondazione
Anche
questo dice della chiusura del ciclo di Rifondazione comunista.
Lo
sosteniamo da mesi. Da domani, sarà visibile con
l’inaugurazione di un nuovo logo e il simbolo del Prc non sarà
più presente sulle schede elettorali e, di fatto, proporrà
la scomparsa della soggettività politica che abbiamo costruito
anche noi e che va sotto il nome di Rifondazione. E lo farà
senza che i militanti di questo partito possano dire la loro!
Quel
logo, da qualche giorno, è del resto noto e dice molto: dice
di una soggettività che si dilegua nell’Arcobaleno si
scolorisce del tutto e perde i suoi riferimenti storici. Come dice
Franco Piperno in un’intervista a Liberazione: il nuovo simbolo
serve a tradurre il bisogno di indeterminatezza”. Provate a
chiedere a ognuno dei quattro segretari fondatori del nuovo soggetto
chi sono, cosa vogliono: non solo avrete quattro risposte diverse ma
le risposte brilleranno per indeterminatezza, per genericità.
Nemmeno l’opzione riformista “forte” – che so, le
nazionalizzazioni – sono proposte con vigore.
Ovviamente tutto
questo può attrarre forze, non lo sottovalutiamo, attirare
consensi. Nella fase di stagnazione e demoralizzazione il richiamo
dell’unità esercità un fascino indiscusso.
Ma
dentro quel processo si perde il progetto di ricomporre una sinistra
di classe e si punta solo a occupare elettoralmente lo spazio
lasciato libero dai Ds senza perdere di vista la necessità di
rimanere agganciati al Pd in una prospettiva di governo. Questa è
l’identità vera.
E, vedete, noi non consideriamo i
simboli come un feticcio. I simboli rappresentano dei contenuti e
indicano un progetto politico. Perché ogni volta che si fa una
virata moderata si buttano via la falce e il martello?
Non
siamo nostalgici né ci ubriachiamo con le bandiere
rosse.
Però, a vederli buttati nel secchio, quei simboli, a
noi viene voglia di tenerli. E infatti li terremo, perché
rappresentano anche uno dei nostri simboli, quel legame alla storia
migliore del movimento operaio che non intendiamo buttare via.
Di
fronte al proprio fallimento, dunque, il Prc cambia il terreno di
gioco.
Il fallimento è misurabile
matematicamente:
Rifondazione ha lavorato attivamente e
convintamente – ve lo ricordate il clima congressuale? – per il
governo con l’obiettivo di battere le destre, permeare il governo
alle istanze dei movimenti, cambiare il paese e cambiarlo in una
Grande Riforma permessa da una “borghesia buona” che, nelle
visioni di Bertinotti, sarebbe presente in questo paese.
Ora, le
destre non sono state così forti nel paese reale, i movimenti
sono tutti contro il governo che non ha esitato ha mettersi contro di
loro; il cambiamento evidentemente è fallito e la borghesia è
così buona da mettere con Marchionne, una bomba a orologeria
sotto il contratto dei metalmeccanici e da costruire, con Padoa
Schioppa, una politica di risanamento liberista di cui a usufruire
sono soltanto le imprese.
Fanno a gara a dichiarare il fallimento
di Prodi per nascondere il proprio.
Se la Sinistra è
all’Anno Zero di chi è la responsabilità?
Forse
se abbiamo perso dieci anni di rifondazione comunista lo dobbiamo
alle disinvolture di chi si è alleato due volte con Prodi, con
zig zag improvvisi e spericolati!
Se oggi noi decidiamo di
spezzare un percorso politico in parte lo facciamo anche per metterci
in salvo da queste disinvolture e da queste giravolte
stucchevoli!
L’occasione
perduta
Tutto
ciò dà in effetti il senso dell’occasione persa.
Perché se Rifondazione si è perduta – e Rifondazione
si è perduta! - non è perché improvvisamente è
diventata governista ma solo perché ha deciso, a un certo
punto, di valorizzare della propria storia complessa e
contraddittoria l’anima riformista e compatibilista che proviene
dalle radici del Pci, quel partito di lotta e di governo che in
realtà mette da parte le lotte e cerca, senza riuscirci in
questo caso, a praticare la strada del governo. L’approdo al
governo è in realtà l’esito di una sconfitta in cui
non è stato realizzato ciò per cui Rifondazione è
nata: un tentativo di ricostruire una dimensione e una soggettività
di classe che si contrapponesse alla stabilizzazione capitalistica in
corso. Questa vocazione è stata tenuta in piedi per circa
dieci-dodici anni, periodo nel quale il Prc è rimasto, di
fatto, fuori dai poli e fuori dalla normalizzazione. L’ascesa al
governo del sistema – ben evidenziata dalla scelta di ritagliarsi
il ruolo di presidente della Camera – ha chiuso
l’anomalia-Rifondazione e ha chiuso qualsiasi tentativo di
insediare un corpo politico-sociale che ricostruisse l’identità
anticapitalista. Questa è la “rifondazione mancata” quella
che nessuna controsvolta ci potrà più dare.
Per
questo parliamo di un ciclo chiuso e di un’esperienza consumata:
anche un eventuale ritorno all’opposizione non potrà più
rimettere in moto la macchina che abbiamo conosciuto, tra l’altro
per breve tempo e con prestazioni non del tutto soddisfacenti.
Insomma, la politica non è come la pellicola di un film che a
un certo punto puoi arrestare, far ritornare indietro e far
ripartire. Non si ritorna alle origini.
La
Cosa socialdemocratica
La
Sinistra Arcobaleno è il naturale approdo di questo nocciolo
salvato dalla traversata degli ultimi quindi anni: un riformismo
temperato, di matrice socialdemocratica, a vocazione
governativa.
Solo che questo riformismo si presenta nel momento in
cui i margini di mediazione riformista sono minimi se non esauriti.
Si guardi al Welfare: grandi proclami, ginnastica militante e poi
niente. Niente, non gli hanno dato niente ed stato un disastro, come
dimostra la delusione del 20 ottobre.
Ovviamente, la
riduzione dei margini non è solo un fattore oggettivo ma è
il prodotto anche di un fattore soggettivo, il comportamento del
socialiberismo e del sindacato istituzionale che è parte
attiva dei processi di demoralizzazione e scomposizione. La Cgil ha
giocato in questa fase un contributo attivo ed è un contributo
criminale: ha portato coscientemente milioni di persone ad accettare
una mediazione che peggiora le condizioni di vita e si è
opposto perfino a miglioramenti parlamentari. Un’indecenza mai
vista.
Un’identità
alternativa
Noi
vogliamo ripartire da qui da un anticapitalismo sul piano del
programma e delle idee anche a breve termine.
Noi restiamo
ancorati a una Sinistra che voglia rompere con il capitalismo,
rovesciarlo e costruire un “ordine nuovo”. Restiamo ancorati a
un’ipotesi rivoluzionaria che passa per una grande partecipazione e
autorganizzazione di massa, per un’ipotesi di proprietà
pubblica e sociale, di produzione collettiva, di autogoverno
democratico come forma avanzata di relazioni sociali. Utopie? Bene,
l’utopia è una grande forza che smuove colossi e all’utopia
restiamo molto affezionati.
Per
questo “l’elogio dell’opposizione”
Nel
senso che rivendichiamo l’indisponibilità a governare il
capitalismo. Per questo abbiamo avanzato l’elogio dell’opposizione:
perché la sinistra di classe deve accumulare forze, far
esprimere forme di autogoverno sociale, modificare drasticamente
sistemi istituzionali concepiti per fare da cane da guardia al
sistema e acquisire peso e potere nella società e nella
struttura socio-economica. Solo a quel punto può porsi la
questione del governo.
La
proposta dell’oggi
Noi
la verifica con il governo l’abbiamo già fatta e infatti
siamo già all’opposizione.
Rifondazione vuole fare una
verifica della verifica per mascherare la centralità della
legge elettorale. Noi non parteciperemo a un gioco che serve a
prendere tempo, a far nascere la Cosa Arcobaleno e a mascherare il
vero confronto che è sulla legge elettorale.
Il rinvio del
Congresso è l’epilogo di questa esigenza di prendere tempo e
si presenta come un vero e proprio sequestro di democrazia. Non c’è
dubbio: si deciderà tutto prima e il congresso sarà
chiamato a ratificare. Un triste epilogo.
Per questo
dichiariamo conclusa la nostra esperienza nel Prc e costruiamo un
nuovo progetto. Non la chiamiamo scissione perché è
l’amara presa d’atto di percorsi che divergono: c’è una
maggioranza che punta a riassemblare la sinistra riformista e ci
siamo noi, ma non solo noi, che invece pensiamo se debba continuare a
costruire una sinistra di classe, anticapitalista, indisponibile al
governo.
La nascita della Sinistra-Arcobaleno, un anno e mezzo di
governo fallimentare – che ha mostrato il volto vero di questa
Sinistra – e infine la decisione di rinviare il congresso fin
quando tutto si sarà compiuto ci fa dire, come ebbe a dire
qualcun altro, che “noi ci fermiamo qui”. Non vi seguiamo, in
qualche modo ci auto-tuteliamo e, speriamo, offriamo un’ipotesi
politica a quanti vogliono continuare quella strada intrapresa nel
1991 e rinverdita nel 2001.
Sinistra Critica si trasforma in
Movimento politico e persegue un suo progetto autonomo;
Nei
prossimi giorni ci dimetteremo dal Prc e quei pochi istituzionali che
fanno a noi riferimento costituiranno gruppi di Sinistra Critica a
partire dalla Camera dei deputati. Una storia si chiude, e ci duole
molto, perché sappiamo riconoscere le sconfitte. E il
fallimento di Rifondazione è una sconfitta, non ci sono dubbi.
Ma un’altra storia si apre, e di questo siamo
lieti.
Annunceremo questa scelta al Cpn di domenica prossima con
una lettera aperta e lo stesso faremo a livello locale. Organizzeremo
incontri provinciali per spiegare agli iscritti e iscritte del Prc
cosa pensiamo e cosa intendiamo fare.
Da subito costruiremo i
circoli territoriali e tematici di Sinistra Critica dando vita anche
a una campana di iscrizioni e di autofinanziamento.
Una
Costituente Anticapitalista
Non
ci trasformiamo né ci autoproclamiamo in un
partitino.
Costruiamo da oggi Sinistra Critica come Movimento,
Movimento per la Sinistra Anticapitalista. Quello che ci interessa è
innescare una dinamica, di movimento e politica complessiva. Una
dinamica per far esprimere una ribellione che in assenza di strumenti
adeguati proverà a prendere strade impervie e, in alcuni casi,
pericolose.
Per questo vogliamo aprire, e quindi proporre a tanti,
una fase Costituente della Sinistra Anticapitalista.
Se si
creeranno le condizioni, se altri si muoveranno o si renderanno
disponibili a impegnarsi sul livello del progetto politico, pensiamo
si possa costituire una Coalizione della Sinistra di classe che possa
giocare in ruolo nella società e nel contesto politico
italiano.
Le coordinate in cui far nascere e muovere questa
proposta sono tre:
1) Il vincolo con il movimento. Noi non
proponiamo che il movimento o settori di movimento si trasformino in
un partito politico o in un soggetto politico. Pensiamo esistano
ambiti diversi, vocazioni differenti ruoli differenti. Ma il vincolo
con il movimento di cui noi ci sentiamo parte attiva è
importante. Ed è importante non scimmiottare gli errori e i
disastri prodotti da Rifondazione sia nella confusione dei ruoli, sia
nella pretesa di rappresentare nelle istituzioni il movimento.
Insomma, un rapporto alla pari ma nella chiarezza dei ruoli e delle
responsabilità.
2) L’anticapitalismo come una scelta
di fondo, e quindi l’adesione a una coerente visione di classe che
escluda alleanze di governo e commistione con il social-liberismo e
quindi la vocazione non governista.
3) La condivisione di una
non centralità delle istituzioni nel lavoro politico futuro.
C’è bisogno di rivoluzionare questo aspetto della politica.
Basta con le prerogative esclusive con la corruzione morale e
materiale, con i privilegi, con l’ossessione istituzionale. Servono
proposte per ridurre drasticamente le indennità – vedi
vitalizio parlamentare – serve la rotazione degli incarichi, il
rapporto diretto con la società, insomma un’altra idea della
politica.
Ovviamente, non proponiamo di escludere la via
elettorale. Anzi, discuteremo di esperimenti già da subito e
intendiamo cimentarci con questo terreno ovviamente utilizzando la
falce e il martello.
Ma non si tratterà di prove decisive
o fondative di un vecchio modo di agire che vogliamo gettare,
letteralmente gettare via dalla porta evitando che rientri dalla
finestra.
8. L’organizzazione politica necessaria
La
decisione di non proclamarci partito, di aprire una fase costituente,
di tenere la porta aperta ad altri settori che potranno mobilitarsi
non significa che propendiamo per una concezione minimalista
dell’organizzazione.
Sinistra Critica vuole costruirsi e
organizzarsi. E a questo destineremo le nostre energie già da
subito. Nella costruzione di coordinamenti provinciali in tutte le
province, nei seminari regionali che dovremo costruire nel prossimo
anno, nella organizzazione di una campagna politica ampia che
proponiamo alla discussione.
Una campagna sugli elementi sociali e
politici del nostro programma – innanzitutto sulle questioni
sociali, sulla fatica di arrivare a fine mese, sui diritti sociali
negati - per arrivare in primavera a un nuovo grande appuntamento,
stavolta di massa, organizzato direttamente da Sinistra Critica
!
Ovviamente non rinunciamo a dire la nostra, anche sul
terreno dell’identità a cui teniamo anche se non intendiamo
chiamarci ne essere chiamati trotzkysti, per la semplice ragione che
Siamo molto di più.
Perché noi ci riconosciamo nella
Comune di Parigi e il ’17 in Russia, nella rivoluzione spagnola del
’36 e in quella ungherese del ’56, nel Maggio ’68, negli anni
70 e nel protagonismo operaio, nell’immaginazione al potere, nella
lotta di classe e nei consigli operai, nel femminismo radicale, nelle
occupazioni studentesche e nella critica dell’economia politica;
Vogliamo essere il movimento che abolisce lo stato di cose, Che
Guevara e Rosa Luxemburg, Lenin e Trotzky, Malcom X e il marxismo
indigeno sudamericano: Un filo rosso di ricerca e pratica politica
che riconduce sempre lì, all’impellenza di una rivoluzione
sociale e politica per trasformare la realtà.
E quindi, se
dobbiamo sintetizzare la nostra identità non abbiamo categoria
più precisa che quella di Rivoluzione. Sì,
rivoluzione.
Pensiamo alla rivoluzione perché altrimenti
nemmeno le riforme sono possibili. A una rivoluzione che permetta
l’irruzione della soggettività repressa – spesso repressa
dalle alchimie della politica dei ceti e degli apparati – e che
permetta di realizzare una democrazia radicale, assoluta, un salto di
paradigma rispetto alla farsa di democrazia in cui viviamo oggi. Una
rivoluzione come possibilità-
Ma anche una rivoluzione come
unica soluzione alla barbarie e alla catastrofe che si spalanca
dinnanzi a noi, una rivoluzione come necessità.
Nel
manifesto programmatico ci dilunghiamo molto sugli scenari di guerra
e sul disastro ambientale che incombe, la catastrofe è lì
e non vede l’ora di compiersi. La rivoluzione è quindi uno
degli strumenti per arginare la catastrofe, per arrestarla. E’ una
bella immagine che scaturisce da uno dei pensatori marxisti ancora
inesplorato, come Walter Benjamin:
“Forse le rivoluzioni sono il
ricorso al freno di emergenza da arte del genere umano” per
impedire l’eterno ritorno della catastrofe.
Tutto questo
sembra essere fuori dal mercato della politica e spesso ci fa sentire
soli.
In questo passaggio politico, del resto, noi scegliamo il
“Controtempo”, ci muoviamo in direzione “ostinata e contraria”
per citare De André, ma in realtà, credetemi, forse
possiamo anche essere soli, ma non siamo isolati: perché nelle
lotte, nelle emergenze sociali, nel divenire concreto del movimento
ci sentiamo a nostro agio.
La
miscela Sinistra Critica
Ma
l’identità non è solo un recupero simbolico o un
programma astratto è anche l’identità materiale, la
carne e le ossa di tutti e tutte noi.
Sinistra Critica è
stata il voto di Franco, unica opposizione istituzionale a sinistra,
mantenuta in condizioni difficilissime e che fa onore a lui e a
noi.
E’ la generosità di compagni e compagne
istituzionali che ci regalano la loro piccola « carriera »
politica per un progetto comune volte senza alcun paracadute.