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Medio Oriente » At-tuwani:l'integralismo coloniale israeliano  
AT-TUWANI: L’INTEGRALISMO COLONIALE ISRAELIANO
IN UN VILLAGGIO LONTANO DA OGNI RISORSA E CONFINE


di Alessandro Verona

 


Hafez parla piano.
Sulla collina un ulivo maestoso protegge dal sole d'Agosto, appena sotto lo sguardo c'è At-Tuwani, e alle nostre spalle, nascosta oltre al bosco di pini, l'occupazione israeliana.
Ha mani grandi e affusolate, che si muovono lentamente mentre parla.
Lo sguardo è fiero, per niente rassegnato, ma senza rabbia.
Quasi a dire che il costruire la pace passa anche per i nostri gesti, facendo tornare alla mente quel Gandhi che esortava ad essere il cambiamento che si vuole vedere nel mondo.

At-Tuwani è un piccolo villaggio di circa 200 persone, nelle colline semidesertiche a Sud di Hebron.
E' abitata soprattutto da pastori, fra cui Hafez, portavoce del movimento non violento locale.

Vent'anni fa è stata costruita la prima colonia, fatta di case a schiere e giardinetti, a poche centinaia di metri dal villaggio di pietra, dove le case più antiche hanno 500 anni.


 

Con il passare del tempo e il proliferare delle colonie, At-Twani si ritrova circondata: a Nord-Est Ma’on, ad Est gli avamposti di Havat Ma’on insediati nel 1982,  e a Sud-Ovest Avi Gai.
Secondo le ferme condanne della giustizia internazionale ognuno di questi è illegale, come ogni altra colonia o avamposto nei territori occupati, mentre la giustizia israeliana giudica illegali i soli avamposti.
Dal 1982 ad oggi l’espansione delle colonie ha confiscato agli abitanti di At-Tuwani 1500 dunums  di terre (1 dunum corrisponde a circa 1000 metri quadrati) e mediamente ogni anno vengono sottratti al villaggio circa 100 dunums.
La forte presenza coloniale in questo minuscolo villaggio di pastori dimostra quanto sia assoluta e capillare la volontà di sradicare l'identià palestinese, investendo ingenti somme di denaro e forze militari anche dove il numero di abitanti e le risorse del territorio sono così limitati.

Ma l'intimidazione dei coloni non si limita affatto alla presenza fisica in  luoghi così aridi, dove pochi vorrebbero vivere senza esserci nati.
Dopo l'insediamento delle colonie, le incursioni si sono susseguite con frequenza.

I pozzi e il bestiame avvelenati, i campi sottratti poco a poco, gli spari dalle colonie verso i campi d'ulivi durante la raccolta, gli arresti arbitrari, l'abbattimento della moschea avvenuto a sorpresa nella notte: una politica della violenza e del terrore che tenta di rosicchiare lentamente l'appartenenza alla terra e la tranquillità del quotidiano, che Hafez e gli abitanti del suo villaggio continuano ad stringere con determinazione.


Così racconta delle pietre lanciate alle finestre e ai passanti (a volte con la spudorata connivenza dell'esercito), seguite dalle irruzioni dei coloni che a volto coperto entrano nelle case per picchiare gli abitanti, nella logica barbara che continua a susseguirsi in tutti i territori occupati.
E Hafez queste cose le conosce meglio di chiunque altro, perché la sua casa, la più vicina all'avamposto, è la più frequente meta dei coloni.

Ad At-Tuwani due gruppi si impegnano a sostenere la popolazione, operazione Colomba e CPT (Christian peacemaker team).
Operazione Colomba è il corpo non violento della associazione Comunità Papa Giovanni XXIII,  un esempio di corpo civile di pace.
Ragazzi e soprattutto ragazze, un gruppo molto giovane che si presta per lunghi periodi per proteggere il villaggio in condizioni non agevoli, tanto nei progetti quanto nel vivere la quotidianità.

Un'attività  importante di queste associazioni è lo school patroling: i bambini del  vicino villaggio di Tuba, che non possiede strutture dedicate all'istruzione, devono recarsi a scuola ad At-Tuwani.
Per farlo utilizzano la strada più breve, che permette un percorso di mezz'ora ma divide l'insediamento di Ma'on dall'avamposto di Havat Ma'on.
Dal villaggio la strada di ghiaia abbraccia la collina, per poi passare vicinissima a colonia ed avamposti. Questo punto dista circa 500 metri dalle abitazioni di At-Twani, e un centinaio di metri prima le volontarie e i volontari consegnano i bambini all'esercito israeliano, come è loro imposto.
Molto spesso la scorta militare arriva in ritardo, a volte tanto da far perdere le lezioni agli studenti.
Volontarie e volontari controllano la situazione fino al punto in cui è loro concesso arrivare, nel caso la scorta non si presenti ne sollecitano l'arrivo, e se alla terza chiamata non hanno successo si rivolgono all'associazione di avvocati israeliani a cui fanno riferimento.
Inoltre, come noto, l'esercito israeliano obbliga a tre anni di leva tutti i suoi cittadini, così fra quei soldati che prendono in consegna i piccoli è possibile che ci siano anche abitanti della colonia stessa, manifestando tutta la perversione di questo sistema.
Così a volte i coloni hanno mani libere per divertirsi, ad esempio facendo correre i bambini fino a scuola, inseguendoli con i loro enormi pick-up.
Abbastanza lenti per non investirli, abbastanza veloci per terrorizzarli.

Durante il resto della giornata i volontari restano soprattutto insieme ai pastori palestinesi, facilmente esposti al pericolo di attacchi da parte dei coloni - a volte diretti anche verso i volontari stessi - e arresti arbitrari da parte dei soldati.
La presenza internazionale, e il suo potenziale  nel riprodurre sui media quanto vissuto in parte diminuisce questi rischi, perché tanto le dinamiche mediatiche quanto quelle politiche, purtroppo, hanno ormai portato i diritti umani ad essere rispettati in base al peso del passaporto.


At-Tuwani tiene il mento in alto, e i piedi ben piantati nella terra dei loro padri.
L'arroganza, la violenza e la tortura psicologica viene contrastata con l'informazione e la non-violenza, promossa in tutte le sue forme.
Fra queste c'è anche la Marcia della Pace, che nel 2010 si è fatta anche qui, nello stesso giorno della nota Perugia - Assisi.
Quella nelle mani di Hafez e dei suoi concittadini è una marcia lunga e difficile, ma percorsa sulla solidità della giustizia e protesa ai diritti umani più elementari, la libertà e l'uguaglianza.
E proprio per questo merita di avere voce.

Fotografie: Anna Gigante ( Gigante_Anna@libero.it )

Alessandro Verona ( bellerofonte1983@hotmail.com )

 

22/02/2011

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