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Medio Oriente » Egitto: prime riflessioni - intervista G.Achcar  
PRIME RIFLESSIONI SULLA DINAMICA DELLA  RIVOLUZIONE EGIZIANA

 

Intervista a Gilbert Achcar rilasciata il 3 luglio al canale televisivo The Real News Network (TRNN) e trasmessa in due parti il 4 luglio.

Gilbert Achcar è cresciuto in Libano ed è ora professore presso la Scuola di Studi Orientali e Africani dell’Università di Londra. Tra le sue opere: "Scontro tra barbarie", "Terrorismo e disordine mondiale" (2002, pubblicato in 13 lingue); "La guerra dei 33 giorni" (con Michel Michel Warshawski, edizioni Alegre), "La poudrière du Moyen-Orient" (2007), con Noam Chomsky, "Les Arabes et la Shoah" (2009) e, più recentemente, "Le peuple veut" (2013).

Puoi illustrarci la tua reazione alla notizia che il presidente Morsi, il leader democraticamente eletto d’ Egitto, è stato rimosso dal potere dall’esercito egiziano?

Direi che, in un certo senso, si tratta della ripetizione dello stesso scenario che ha avuto luogo nel febbraio 2011. Quel che effettivamente possiamo constatare in entrambi i casi è che si tratta di un colpo di stato, un colpo di stato militare, nel contesto di un’immensa mobilitazione, con la sola differenza che coloro che sono al potere sono diversi e la composizione della folla, la mobilitazione di massa, è anch’essa diversa rispetto al 2011.

Nel gennaio-febbraio 2011, abbiamo assistito, come si sa, ad un immenso movimento di protesta, quella grande rivolta nella quale erano coinvolte tutte le correnti di opposizione al regime di Mubarak. Si trattava dei liberali, dei movimenti di sinistra, ma anche i Fratelli Musulmani. Essi rappresentavano una componente importante della mobilitazione in quel momento. In quella grande mobilitazione di massa si riscontravano lo stesso tipo di aspettative nei confronti dell’esercito, l’idea cioè che l’esercito sia dalla parte del popolo, che esso potrebbe rappresentare gli interessi del popolo. Mi ricordo, d’altronde, che proprio l’8 febbraio 2011, appena tre giorni prima della caduta di Mubarak, The Real News Network mi aveva intervistato ed io avevo messo in guardia contro simili illusioni circa l’esercito e i militari.

Quello che stiamo vedendo adesso è solo il risultato di una sorta di gioco delle parti. I Fratelli Musulmani sono al potere e i sostenitori del vecchio regime, quello di Mubarak, per le strade a fianco dei liberali, con la sinistra, con l’opposizione popolare ai Fratelli Musulmani. È in un certo senso, come ho già detto, una ripetizione dello stesso scenario, naturalmente con una differenza fondamentale: la natura della forza politica che è al potere.

In entrambi i casi assistiamo ad una grande mobilitazione. E questa sollevazione è assolutamente affascinante. È qualcosa che va oltre le aspettative, anche tra chi, come me, rifiuta tutti quei commenti cupi ai quali si assiste ogni volta che le elezioni portano al portare forze simili alla Fratellanza Musulmana. Abbiamo assistito ad ogni tipo di commento che indicava come la primavera si fosse trasformata nell’autunno [islamista] o addirittura in inverno [fondamentalista]; molti hanno visto in questi eventi un motivo, se non una scusa, per denigrare tutte le rivolte nella regione. Ci sono stati anche altri, come me, che hanno invece insistito sul fatto che ci troviamo solo all’inizio di un processo rivoluzionario di lunga durata. Ho anche detto che, in effetti, ero abbastanza contento di vedere i Fratelli Musulmani accedere al governo perché questo sarebbe stato il modo migliore per fare in modo che essi finalmente si esponessero e, in questo modo, perdessero la loro capacità di ingannare la gente con slogan demagogici del tipo “l’Islam è la soluzione”.

Ci puoi dire qualcosa sugli interessi fondamentali in gioco nella rivolta in Egitto e quali quelli politici che la animano?

Come ho appena detto, siamo di fronte a una folla molto eterogena, politicamente parlando. Ho visto in tv alcune interviste con gente per le strade. Molte persone, nei caffè o in luoghi simili, esprimono la loro preferenza per Mubarak piuttosto che per Morsi. Vi sono dunque, naturalmente, un gran numero di sostenitori del vecchio regime, un gran numero di persone che sono, come dire, una massa piuttosto conservatrice, che è contro i Fratelli musulmani a causa del profonda incapacità mostrata in questo anno al potere. Si sono comportati in modo veramente deplorevole, mostrando una totale inettitudine, e sono stati capaci di mettere contro di loro proprio tutti.

Vi sono quindi sostenitori del vecchio regime; ma in questa grande mobilitazione avete immense masse di persone che agiscono partendo dalla loro situazione di classe, se così possiamo dire, constatando che nulla è stato fatto contro il deterioramento delle loro condizioni vita; il governo non ha fatto altro che continuare le politiche sociali ed economiche del regime precedente. Troviamo poi anche l’opposizione liberale, che si oppone ai Fratelli musulmani per motivi politici, ma che non contesta le loro politiche economiche e sociali, poiché i liberali, in sostanza, condividono le stesse opzioni. Abbiamo poi la sinistra. Si tratta quindi, come ho detto, di una massa molto eterogenea. Nello stesso modo in cui nel 2011 abbiamo visto forze molto eterogenee, di natura assai diversa, riunirsi attorno ad un obiettivo comune che era la loro opposizione a Mubarak, oggi assistiamo allo stesso fenomeno nella opposizione a Morsi.

Naturalmente questo non risolverà il problema. Qualsiasi illusione che l’esercito e o chiunque verrà portato al potere dall’esercito (perché l’esercito si trova di nuovo nella posizione di king maker) possa e voglia apportare miglioramenti alle condizioni sociali ed economiche e alle condizioni di esistenza dei lavoratori in Egitto è semplicemente infondata. Tutte le illusioni di questo tipo sono per l’appunto solo questo: illusioni!

Ci troviamo quindi di fronte ad uno scontro tra coloro che sostengono il colpo di stato dei militari perché vogliono la restaurazione dell’ordine, convinti che i Fratelli Musulmani non riescono a raggiungere questo obiettivo, quelli cioè che desiderano un ritorno alla normalità nel paese; cosa che in realtà significherebbe la fine di tutte le mobilitazioni sociali e di tutti gli scioperi che si sono sviluppati in modo assai intenso negli ultimi due anni. Vi è quindi questo tipo di persone. Dall’altra parte poi ci sono quelli che si ribellano a Morsi perché ha continuato le politiche sociali di Mubarak.

Ci troviamo quindi in piena contraddizione. Il problema è che, con l’eccezione di gruppi marginali, vi è poca consapevolezza di questa situazione. La tragedia sta nella mancanza di una forza di sinistra che possa contare su una credibilità popolare reale e su una chiara visione strategica di ciò che sta accadendo. Questa mancanza pesa enormemente.

Hai finora delineato il modo in cui questo processo rivoluzionario, che ha avuto inizio il 25 gennaio 2011, sta evolvendo. In sostanza stai dicendo che non si vedono emergere leader del movimento rivoluzionario in grado di candidarsi alla leadership in occasione delle prossime elezioni promesse dall’esercito…

Vi è stata l’apparizione di una figura che poteva svolgere un ruolo di unificatore delle aspirazioni, chiamiamole così, sociali e progressiste della popolazione. Era il candidato nasseriano Hamdeen Sabahi, con riferimento al Nasser che ha governò l’Egitto fino al 1970. Questo candidato ha rappresentato una proposta che si può configurare come una sorta di nazionalismo di sinistra. È arrivato terzo (nel 2012 con il 20,72% contro il 23,66% di Ahmed Shafik – un ufficiale, un rappresentante del vecchio regime – e il 24,78% di Mohamed Morsi). È stata la vera e propria sorpresa delle elezioni presidenziali. Rappresenta l’unica figura realmente popolare nella vasta gamma della sinistra egiziana.
Il problema è che anche lui condivide totalmente il discorso oggi prevalente secondo il quale l’esercito è nostro amico, è con il popolo, ecc. Difende, inoltre un’ alleanza con i liberali e con altri che sono veri e propri superstiti del vecchio regime come Amr Moussa (il segretario generale della Lega Araba tra il 2001 e il 2011, e ancora prima ministro degli Esteri tra il 1991 e il 2001). Recentemente ha addirittura dichiarato che era stato un errore per il movimento popolare, prima che Morsi giungesse al potere, lanciare rivendicazioni quali “Abbasso il regime militare”; e questo mentre il Comitato supremo delle forze armate (CSFA) governava il paese con il pugno di ferro. Queste dichiarazioni non sono per nulla rassicuranti. Tuttavia bisogna riconoscere che è stata l’unica personalità emersa in grado di attrarre si di sé le aspirazioni popolari al cambiamento a sinistra e non a destra (sia nella variante di una leadership islamista o in quella di un ritorno al precedente regime). La questione che ora si pone, se l’esercito manterrà il programma annunciato – il che è ancora tutto da verificare – che prevede la tenuta di elezioni presidenziali a breve termine, è vedere che cosa accadrà in queste elezioni e come questo candidato – l’unico in grado di imporsi a sinistra – si posizionerà: che tipo di discorso svilupperà , quale programma, ecc. È questo un aspetto sul quale dovremo concentrare la nostra attenzione, sempre che – lo ripeto ancora una volta – le elezioni abbiano effettivamente luogo. È troppo presto per pronunciarsi a tale proposito, poiché i Fratelli Musulmani per i momento continuano ad opporsi al colpo di stato e a denunciarlo per quello che è: un colpo di stato. E lo è davvero. E questo anche se non si tratta di un semplice putsch contro un governo democraticamente eletto, ma di un colpo di stato contro un governo un eletto sì democraticamente, ma che ha suscitato l’opposizione della stragrande maggioranza della popolazione egiziana. Le mobilitazioni contro Morsi hanno raggiunto livelli mai visti. E’ stato un avvenimento assolutamente senza precedenti.

Qual è il ruolo degli Stati Uniti in tutto questo? Sono stati felici di sostenere Mubarak per decenni con i militari al potere. Che ruolo hanno giocato in questa situazione e qual è il ruolo che gli Stati Uniti potrebbero svolgere nel prossimo periodo?

Il movimento di opposizione in Egitto, vale a dire l’opposizione a Morsi, ha la forte convinzione che Washington abbia sostenuto Morsi. C’erano infatti molti segnali che indicavano il sostegno di Washington a Morsi; messe guardia contro un intervento dell’esercito, l’insistenza sulla necessità di seguire sempre la via costituzionale, sebbene l’attuale Costituzione goda di una legittimità assai discutibile. Questo enorme movimento, infatti, non riconosce questa come una costituzione legittima, ma come qualcosa imposto dai Fratelli Musulmani. L’ambasciatore degli Stati Uniti al Cairo ha fatto una dichiarazione, all’inizio delle proteste contro Morsi, nella quale ha affermato che esse erano dannose per l’economia. Una dichiarazione che è apparsa come flagrante sostegno a Morsi. Vi sono quindi ampie indicazioni che vanno in questa direzione.

In realtà Washington si trova in una situazione di grande difficoltà. Coloro che sostengono, e sono tanti, soprattutto su Internet, tutte queste teorie del complotto secondo cui Washington sarebbe onnipotente e tirerebbe le fila di tutto quello che sta accadendo nel mondo arabo sono completamente fuori strada. Penso invece che l’influenza di Washington, degli Stati Uniti in tutta la regione, si trovi ad un livello estremamente basso. Questa situazione è il risultato della sconfitta in Iraq, perché quella è stata una grande sconfitta per il progetto imperiale degli Stati Uniti.

Abbiamo assistito alla combinazione di questo disastro per la politica imperiale degli Stati Uniti con il rovesciamento di alleati fondamentali per Washington come Mubarak.

Washington ha cercato di puntare sulla Fratellanza Musulmana. Infatti, durante l’ultimo periodo, dopo l’inizio delle rivolte nel mondo arabo, o immediatamente dopo, Washington ha scommesso sui Fratelli Musulmani. Si ê trattato in realtà di una loro rinnovata alleanza poiché gli Stati Uniti hanno lavorato a stretto contatto con i Fratelli Musulmani negli anni ’50, ’60, ’70, di fatto fino al 1990-1991. Sono sempre stati in stretto contatto con i Fratelli Musulmani. Hanno rinnovato questa collaborazione convinti che nelle attuali condizioni del mondo arabo, di fronte a tutte queste mobilitazioni di massa – che costituiscono il più importante e nuovo sviluppo a partire dal dicembre 2010/gennaio 2011 – avevano bisogno di alleati con una vera base popolare, con una vera e propria organizzazione popolare. Coloro che meglio incarnavano questa opzione e che erano disposti a lavorare e a cooperare con Washington sono stati i Fratelli Musulmani. Questo è quello che hanno fatto e questo è ciò che essi continuano a fare.

La situazione ha ormai raggiunto un punto in cui Washington ha dovuto constatare che la Fratellanza Musulmana ha fallito. Quindi, anche dal punto di vista di Washington, scommettere su di loro non è più possibile. Non sono riusciti a riportare l’ordine in Egitto. Non sono stati in grado di controllare la situazione. Il principale alleato di Washington in Egitto è ovviamente l’esercito, un esercito che ha legami molto stretti con Washington. Esso è in parte finanziato da Washington (dalla fine degli anni 1970, a seguito della conclusione di un trattato di pace con Israele, l’esercito egiziano riceve finanziamenti annuali; attualmente pari a circa 1,3 miliardi dollari). La maggior parte dei pagamenti degli Stati Uniti verso l’Egitto, che si colloca appena dopo Israele dal punto di vista degli importi riscossi, va all’esercito. L’attuale generazione di ufficiali è stata addestrata negli Stati Uniti, ha partecipato a manovre militari congiunte, ecc. Si tratta quindi di un esercito strettamente legato a Washington. E, naturalmente, non è concepibile che Washington prenda posizione contro i militari. Credo che adotteranno una posizione conciliante. Ciò che conta è che essi non dirigono la situazione. E coloro che pensano che gli Stati Uniti siano i registi occulti di tutta l’operazione, come ho già detto, sono completamente fuori strada.

Puoi ora dirci cosa accadrà in Egitto? Mohamed El-Baradei è una delle figure dell’ opposizione tra i leader che hanno incontrato l’esercito. Pare che i leader sindacali non abbiano incontrato l’esercito. Ci puoi dire quali le possibili implicazioni di tutto questo? Infine, dopo la crisi di questo governo dei Fratelli Musulmani, se ci dovessero essere nuove elezioni, pensi che i Fratelli Musulmani potrebbe vincere?

Comincerò con l’ultimo punto. No, io non vedo come i Fratelli Musulmani potrebbero in questo momento vincere delle elezioni. Le prossime elezioni saranno elezioni presidenziali, perlomeno in base alle indicazioni del comandante dell’esercito El-Sissi contenute nel suo discorso. Se si guarda a quello che è successo nelle precedenti elezioni, si ricorderà che Morsi è stato eletto al secondo turno grazie ai voti che non erano “pro-Morsi”, ma piuttosto contro Shafik, l’altro candidato, un ex soldato considerato rappresentante di una totale continuità con il regime di Mubarak. Morsi ha ottenuto, anche allora, poco meno del 25% dei voti al primo turno. E non sono affatto sicuro che i Fratelli Musulmani otterrebbero di nuovo questo 25%. Quindi, no, non penso che sia davvero possibile, per non parlare del fatto che mi è difficile immaginare l’esercito organizzare delle elezioni che permettano a Morsi, o a qualcuno a lui legato, di ritornare al potere. Questo mi pare perlomeno piuttosto improbabile.
Quello che accadrà è esattamente ciò a cui mi riferivo quando ho fatto allusione alla questione del candidato nasseriano. Questo fronte di opposizione assai eterogeneo si presenterà alle prossime elezioni con un unico candidato? Se è questo quel che succederà, il candidato non sarà il nasseriano al quale ho fatto allusione [Hamdeen Sabahi], ma piuttosto qualcuno come El-Baradei, un liberale.

In qualche modo tutto questo sarà un altro passo, l’apertura di una nuova fase in processo rivoluzionario che sarà bel lontano dall’essere portato a termine. Esso continuerà, e passerà per molti anni, se non decenni, di instabilità prima di giungere in una fase in cui le cose cambieranno profondamente sulla base di politiche economiche e sociali diverse. Per raggiungere questo obiettivo è necessario che si produca un cambiamento sociale e politico profondo. Tutto questo oggi non è ancora visibile. È perciò troppo presto per fare previsioni a questo proposito.

Quello che però possiamo dire è che è altamente improbabile che l’esercito cerchi di ripetere quello che ha fatto dopo il precedente colpo di Stato dell’11 febbraio 2011, quando, nello stesso modo, l’esercito ha allontanato Mubarak dal potere. Quello che adesso hanno fatto con Morsi. Essi hanno a lungo governato il paese la prima volta, prima dell’elezione di Morsi (tra il febbraio 2011 e la fine di giugno 2012, ndr). Mi sembra difficile che possano fare la stessa cosa perché hanno capito che questo è per loro dannoso e che di fatto oggi il potere in Egitto è diventato una sorta di patata bollente. Solo che… chi potrebbe desiderare di affrontare tutti i problemi che abbiamo davanti, uno dei quali, non certo il meno importante, è rappresentato dai Fratelli Musulmani stessi? Staremo a vedere cosa succede. Se questi ultimi verranno semplicemente sopraffatti, obbligati a capitolare, ciò accadrà con un accumulo di molto risentimento e ci sarà una forte opposizione da parte degli ambienti islamici verso chiunque verrà dopo Morsi.

D’altra parte vi è una situazione economica terribilmente difficile, molto preoccupante, con un paese sull’orlo della bancarotta, ai limiti di un profondo disastro economico. La sola politica proposta, da parte di un ampio schieramento che va da Morsi ad El-Baradei passando per i militari, corrisponde all’agenda delle misure neoliberali che l’FMI promuove in Egitto. È veramente difficile definire fino a che punto il Fondo monetario internazionale rappresenti nei fatti proprio quello che è stato criticamente definito da molto tempo, cioè il fondamentalismo monetarista internazionale. A tal punto fondamentalista nella sua prospettiva neoliberale da spingere l’Egitto, dopo tutto quello che abbiamo visto, ad approfondire ulteriormente l’applicazione di quelle stesse politiche economiche già attuate sotto Mubarak e che hanno portato a questa profonda crisi economica: nessuna crescita e, in ogni caso, creazione di pochissimi posti di lavoro, una disoccupazione enorme, in modo particolare tra i giovani. Come detto, essi continuano a preconizzare le stesse politiche. L’FMI ha esercitato forti pressioni sul governo Morsi affinché mettesse in atto ulteriori misure di austerità, con nuove riduzioni dei sussidi erogati sui prezzi del carburante e di altri prodotti di base. Essi continuano a sostenere tali politiche. Morsi non le ha attuate per la semplice ragione che non era in grado di farlo. Non era politicamente abbastanza forte per poterlo fare. L’unica volta che ha tentato di farlo ha assistito a una tale reazione che lo ha costretto ad annullare immediatamente, via Facebook, le misure che aveva annunciato. È stato davvero ridicolo.

È una vera e propria patata bollente. Proprio per questo, lo ripeto ancora una volta, quello a cui stiamo assistendo non è altro che un episodio di una lunga storia, che di fatto si trova ancora alle sue battute iniziali. Assisteremo a numerosi altri sviluppi nei prossimi anni in Egitto e nel resto del mondo arabo.

(traduzione a cura della redazione di Solidarietà - pubblicato da fabur49 il 10 luglio 2013 sul sito di Sinistra Critica)

 - “Egitto, la questione sociale alla radice dei grandi sconvolgimenti politici" (Intervista rilasciata il 30/06/13 di Gilbert Achcar)

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