Durante il Forum della Mesopotamia del 2 ottobre 2009, dove gli argomenti analizzati erano concentrati sulla guerra, donne e questione curda, quello più forte era dedicato alla situazione nelle carceri della Turchia. Un rappresentante dell’associazione IHD per i diritti umani ricordava i numeri: 120.000 prigionieri, di cui 5200 politici. Il trattamento dei prigionieri politici era diverso rispetto a quelli comuni e, specialmente, per le donne, era molto più drammatico perché legato ad abusi sessuali sia fisici e sia verbali. La violenza nelle carceri turche diventa reale leggendo il racconto del detenuto, Sali: “Sono stato in carcere 20anni - ha detto – la maggior parte di questi nella prigione militare di Diyarbakir’, la “prigione 5”. Dopo il golpe del 12 settembre 1980 – continua Sali – la situazione è peggiorata. Il golpe io l’ho vissuto in carcere ed il carcere voleva dire soltanto due cose: tortura ed isolamento”. Con rabbia ma anche con una forza interiore difficile da descrivere a parole, Sali ha raccontato, in quell’occasione, l’inenarrabile, perché se uno non vive personalmente queste cose non può credere che un uomo sia in grado di arrivare ad usare tanta violenza contro un altro uomo. L’inenarrabile è: “Costringere i detenuti a mangiare i loro escrementi, tutti i giorni. Costringere i detenuti ad urinare in bocca ai compagni. Costringere i detenuti a mangiare topi. L’orrore che si materializza. L’unico scopo della tortura era arrivare ad annientarci, umiliarci a tal punto da cancellarci se non fisicamente almeno psicologicamente”. Diyarbakir, prigione 5: oggi si sta discutendo se farne un museo. Per molti ex detenuti sarebbe importante. Non un museo degli orrori, ma un perenne ricordo di quello che è accaduto in questo carcere della brutalità dell’uomo sull’uomo, dice Sali. Un museo però ricorderebbe anche la resistenza eroica dei detenuti kurdi: “Ci hanno stuprato – dice ancora Sali – costretto a mangiare i nostri stessi escrementi, ma non ci hanno spezzato. İn quel momento era proibito tutto, anche piangere, scambiarsi due parole. Era proibito anche morire. Il popolo kurdo – conclude Sali – vuole la pace, chiede la pace. Ma le risposte sono gli aerei che si alzano da questa città per andare a bombardare, le decine di persone arrestate ogni giorno, bambini compresi. No – conclude – senza atti concreti non posso credere al governo turco, alla sincera volontà del primo ministro Erdogan di lavorare per la pace”
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