IL MANIFESTO CENSURA I PALESTINESI
di Mirca Garuti
Quando leggiamo,
ascoltiamo una notizia, ci chiediamo se tutto corrisponde al vero? Quali
strumenti abbiamo per verificare la sua attendibilità?
Oggi purtroppo ci troviamo
immersi in un mare di manipolazioni a trecentosessanta gradi. L’informazione
subisce, ogni volta, un vero e proprio “lifting”: non può essere naturale,
perché può far male!
Se poi il soggetto è la
Palestina, tutto si complica. Può accadere, che anche “Il Manifesto”, effettui tagli di parti importanti di
un articolo di Ali Abunumah giornalista americano/palestinese, fondatore di
“elettronicintifada.net”. Periodico on-line che pubblica le notizie, il
commento, l'analisi ed i materiali di riferimento circa il conflitto
Israeliano-Palestinese da una prospettiva palestinese.
Secondo noi, queste parti
sono estremamente rilevanti nel comprendere l’attuale situazione e le sue
possibili conseguenze.
Per questo motivo abbiamo
deciso di ripubblicare l’articolo nella sua versione integrale completo delle
parti, evidenziate in grassetto, volutamente omesse dalla redazione del
Manifesto ed una riflessione di Manno Mauro sul motivo di tale censura.
Il Manifesto, 29 Luglio 2007
Battere la cospirazione contro la
Palestina
(tradotto
da Gianluca Bifolchi)
Autore: Ali ABUNIMAH
"Sia certo che i
giorni di Yasser Arafat sono contati, ma permetteteci di finirlo alla nostra
maniera, non alla vostra. E sia anche certo che... le promesse che ho fatto
davanti al Presidente Bush, darò la mia vita per mantenerle". Queste
parole sono scritte dal signore della guerra di Fatah Mohammed Dahlan, le cui
forze sostenute da Israele e USA sono state messe in rotta da Hamas lo scorso
mese nella Striscia di Gaza, in una lettera del 13 Luglio 2003 all'allora
ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz pubblicata sul sito di Hamas il 4
Luglio di quest'anno.
Dahlan, che nonostante il suo fallimento a tenere
Gaza, rimane un importante consigliere del Presidente dell'Autorità Palestinese
Mahmoud Abbas, descrive la sua cospirazione per rovesciare Arafat,
distruggere le istituzioni palestinesi e rimpiazzarle con una leadership quisling servile nei confronti di Israele.
Dahlan scrive della sua paura che Arafat convochi il consiglio legislativo
palestinese e gli chieda di ritirare la fiducia al Primo Ministro Mahmoud
Abbas, che era stato nominato agli inizi del 2003 su insistenza di Bush al fine
di assottigliare l'influenza di Arafat. Dahlan
scrive che "il completo coordinamento e la cooperazione di tutti"
erano necessari ad impedire questo, come anche "la pressione su Arafat per
indurlo a non compiere questo passo". Dahlan rivela che "abbiamo
già iniziato dei tentativi di polarizzare le opinioni dei membri del consiglio
tramite intimidazioni e tentazioni così che essi stiano al nostro fianco e non
al suo [di Arafat]".
Dahlan chiude la sua
lettera a Mofaz dicendo, "mi rimane solo da esprimere la mia gratitudine a
lei e al primo ministro [Ariel Sharon] per la vostra continua fiducia in noi, e
a lei tutto il rispetto".
Questa lettera è una piccola ma vivida prova da
aggiungere alla già esistente montagna, della cospirazione nella quale la
leadership di Abbas è compromessa.
Nel mese che inizia con la nomina di un "governo di emergenza" in
stile Vichy, guidato da Salam Fayad, i leader storici di Fatah, come Farouq
Qaddumi e Hani al-Hassan hanno espresso la loro opposizione alle azioni di
Abbas, rifiutando soprattutto il suo ordine ai combattenti della resistenza
palestinese di deporre le armi mentre l'occupazione israeliana continua
indisturbata.
Ciò sottolinea che la
divisione tra Palestinesi oggi non è tra Hamas e Fatah, tra gli
"estremisti" o i "moderati", o tra gli
"islamisti" e i "laici", ma tra la minoranza che ha fatto lega con il nemico in funzione
collaborazionista, e coloro che difendono il diritto dovere di
resistenza.
I leader israeliani, almeno, sono molto chiari su
ciò che si aspettano dai loro servitori palestinesi. Ephraim Sneh, fino a poco tempo fa vice ministro
della difesa, esprime la visione dell'establishment israeliano:
"La missione più
importante ed urgente per Israele a questo punto è impedire che Hamas prenda il
controllo della West Bank. E' possibile ottenere ciò indebolendo Hamas
attraverso visibili progressi diplomatici; aiutando l'efficace funzionamento
del governo del Primo Ministro palestinese Salam Fayad, e la creazione di
condizioni per il totale fallimento del regime di Hamas nella Striscia di
Gaza" ("Come fermare
Gaza", Haaretz, 17 Luglio 2007).
Sneh chiarisce che "per emergere vittoriosi, le campagne
militari e gli arresti non sono abbastanza .. è imperativo causare la
sconfitta pubblica e politica [di Hamas] attraverso un altro elemento
palestinese". Questo elemento è Fatah. Sneh elenca un numero di misure per
ottenere ciò, compresa l'assunzione di più Palestinesi come lavoratori a basso
costo nell'economia israeliana, il rilascio dei prigionieri di Fatah e la
restituzione del denaro delle tasse rubato ai Palestinesi -- ma non dice
assolutamente nulla riguardo uno stop alle costruzioni di colonie per soli
Ebrei, della fine dell'occupazione militare, e dell'abrogazione delle leggi e
delle pratiche razziste. Con caratteristica vaghezza afferma solo che "è
necessario imbarcarsi in una discussione con il presidente palestinese circa i
principi di un accordo sullo status permanente". Quattordici anni dopo Oslo, questo non ha molte probabilità di
convincere gli scettici.
Da quando gli accordi di
Oslo sono stati firmati, Israele ha fatto tutto quanto gli era possibile per
indebolire la prospettiva di uno stato palestinese, azzoppando di continuo
l'Autorità Palestinese. Cosa c'è dietro la determinazione di Israele di
appoggiare la leadership Quisling di Abbas? Perché non lasciarla collassare e
dichiarare semplicemente vittoria?
I leader israeliani sanno
che per puntellare il sostegno ad uno "stato ebraico" occorre
nascondere la realtà che gli Ebrei non sono più la maggioranza di Israele, West
Bank e Striscia di Gaza -- il territorio controllato dallo stato israeliano.
Israele ha bisogno della foglia di fico di uno stato palestinese sovrano per
cancellare milioni di Palestinesi dai suoi registri, nel modo in cui
l'apartheid in Sud Africa cercò di usare il pretesto delle "patrie nere
indipendenti" -- i Bantustan -- per prolungare il governo dei bianchi e
dare ad esso una parvenza di legittimità. Se l'Autorità Palestinese collassa,
Fatah che non ha una base popolare *, collasserà con essa.
Hamas, poi, si trova ad un
incrocio. Può sopravvivere al collasso dell'Autorità Palestinese, ma cosa
diventerà? E' nata da un segmento della società palestinese -- povero,
mobilitato in massa su contenuti religiosi -- trae però un sostegno più ampio
per la sua resistenza contro Israele da Palestinesi abbandonati dai loro leader
opportunisti ed affamati di un'alternativa basata su principi. Hamas ha la
scelta di articolare un programma che sia all'altezza delle aspirazioni della
società palestinese in tutta la sua diversità, o può finire nelle trappole che
vengono messe davanti ai suoi piedi.
I leader di Hamas hanno
fatto dichiarazioni esemplari a favore
del pluralismo, di una genuina democrazia, e del primato della legge, e sono stati profondamente orgogliosi del
rilascio del giornalista della BBC Alan Johnston. Ma essi devono essere giudicati
dalle loro azioni, e ci sono segni scoraggianti. Il Centro Palestinese per i
Diritti Umani ha riportato diversi casi di abusi, sequestri, torture da parte
di membri della Forza Esecutiva di Hamas, e la morte di un prigioniero tenuto
dall'ala militare di Hamas. E' vero che
questi incidenti non accadono per caso -- Israele e i suoi alleati di Fatah
continuano ad impegnarsi in diffusi atti di omicidio, tortura e sequestro
diretti contro i membri di Hamas, e Hamas è impegnato in una lotta per la
sopravvivenza. Ma Hamas ha conquistato la sua legittimazione mettendo fine
alle brutte pratiche delle milizie di Fatah sostenute da Israele. Deve
mantenere la promessa o rassegnarsi a vedere svanire l'attuale sostegno. Allo
stesso tempo deve iniziare ad articolare una visione del futuro che contempli
la realtà di 11 milioni di Ebrei israeliani e palestinesi che vivono in un
piccolo paese.
Sappiamo a cosa Hamas si
oppone, ma non sappiamo che cosa vuole.
[Paradossalmente] Hamas si
sta lentamente avvicinando ad accettare una soluzione a due stati proprio nel
momento in cui la realtà sta cominciando a farsi strada persino tra i più
convinti sostenitori dell'industria del processo di pace di Oslo che la
soluzione a due stati, necessaria a salvare Israele come enclave di privilegi
ebraici, è ormai fuori portata.
Mentre una soluzione a due
stati "sta diventando meno credibile", osserva Aaron David Miller,
per 25 anno nel Dipartimento di Stato USA e rappresentante di alto rango
dell'amministrazione Clinton al summit di Camp David nel 2000, "si parla
maggiormente nel campo palestinese di una soluzione ad un unico stato -- che
naturalmente non è la soluzione di tutto, e che potrebbe significare la fine di
Israele come stato ebraico". ("E'
la pace fuori portata?", The Los Angeles Times, 15 Luglio 2007).
Il commentatore di
Haaretz, Danny Rubinstein prevede che "prima o poi Hamas verrà meno alla
sua guerra contro Israele. Ma questo non significa un ritorno ai giorni di Oslo
e alla visione dei due stati". Piuttosto, egli teme, "ci sarà una
crescente domanda da parte degli Arabi palestinesi, che costituiscono quasi la
metà degli abitanti di questa terra, nel dire: nelle circostanze presenti non
possiamo stabilire un nostro stato, e ciò che ci rimane da fare è esigere il rispetto
dei nostri diritti civili in quella che è la nostra patria. Adotteranno gli
slogan della lotta degli Arabi che sono cittadini di Israele, che chiedono
uguaglianza e la definizione di Israele come stato di tutti i suoi
cittadini". ("Niente da
vendere ai Palestinesi", 16 Luglio 2007). Pertanto possiamo vedere
come Abbas è attulamente l'ultima speranza di Israele nella lotta contro la
democrazia. Questa patetica coalizione non può mettersi di traverso sulla via
della libertà.
Originale da: The
Electronic Intifada, pubblicato il 18 luglio 2007
Gianluca Bifolchi è membro
di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística.
Ipotesi sul perché delle censure de Il Manifesto: Ciak
si taglia!
di Manno Mauro
Il Manifesto, che si
proclama giornale comunista e di sinistra è invece, secondo me, quello che si
potrebbe tranquillamente definire un giornale di Sionistra. Un giornale in cui
albergano un gran numero di sionisti (“di sinistra”, cioè sionistri). Il
giornale non ha difficoltà a condannare il governo Bush, il governo italiano,
l’oppressione capitalista, ecc. Ma quando si giunge davanti ad Israele e al
sionismo, le cose cambiano. “È difficile criticare Israele” ebbe a dire in
televisione Bertinotti. Se è difficile per Bertinotti, immaginiamo quanto
ancora più difficile lo sia per il Manifesto.
Pensavamo che questo
giornale, a cui con amici ho versato una certa somma di denaro quando, per
salvarsi, esso ha fatto appello alla sottoscrizione popolare (oggi me ne pento
amaramente e non ci cascherò più) si limitasse a non criticare troppo Israele
(del sionismo nemmeno a parlarne). Non credevamo che sarebbe giunto a censurare
coloro che la critica di Israele la fanno sul serio.
Il Manifesto ha forse
ricevuto finanziamenti dallo stato ebraico che si permette di fare quello che
ha fatto? La domanda è provocatoria ma si deve ammettere che il Manifesto
sembra voler accumulare sempre nuove prove a suo carico. Soprattutto dopo la
morte del rimpianto Stefano Chiarini.
Molti sono i sostenitori
della Palestina che di questi tempi si sentono in angoscia per quello che sta
avvenendo a Gaza e nei territori occupati. Molti sono i dubbi che affliggono
gli amici della Palestina e gli antimperialisti in generale quando vedono le
immagini di Abbas a braccetto con Olmert, con La Rice ecc. Ma le immagini
potrebbero non essere tutto. Dubbi ancora più forti sopraggiungono quando si
sente che Abbas scioglie il governo che aveva precedentemente concordato con
Hamas alla Mecca, nomina primo ministro un tale Fayyad (un economista molto
apprezzato dagli americani), attacca Hamas (come fossero loro i nemici dei
palestinesi), rifiuta le profferte di dialogo degli islamici, medita di
sciogliere il parlamento eletto ma a lui contrario perché dominato da Hamas,
riceve armi e soldi per organizzare le sue forze di sicurezza (sicurezza di
Israele si intende), imprigiona e tortura i militanti islamici della
Cisgiordania, chiede ai combattenti di deporre le armi, partecipa al blocco
economico della Striscia di Gaza, ecc. E tutto per che cosa?
Solo per trattare
(trattare) con Israele! Di concreto, oltre alle eterne promesse di un futuro
roseo da parte di Israele e degli americani, cosa ha ottenuto Abbas?
La liberazione di circa
duecento prigionieri (tutti di Fatah naturalmente) che però hanno dovuto
promettere di fare i bravi, cioè non combattere gli occupanti. Duecento
prigionieri su 12 000!
Abbas e i suoi si sono
accordati con Israele per chiedere la liberazione dei fedelissimi di Dahlan e
dello stesso presidente; non certo del capo dei Tanzim, Barghuti, che potrebbe
svolgere il ruolo di mediatore tra Fatah e Hamas, e nemmeno dei suoi seguaci.
Israele ne è felice perché i liberati vanno a rafforzare Abbas e le sue scelte
sciagurate.
Mano mano che “le
trattative” avanzano che “il processo di pace” viene miracolosamente
risuscitato, i veri amici della Palestina vedono lentamente e tragicamente
sciogliersi tutti i dubbi:
Sì, Abbas è un traditore,
il suo governo e le sue forze di sicurezza sono in mano a Israele e agli
americani.
Il Manifesto che fa?
Dà una mano a Israele
naturalmente e di conseguenza anche ad Abbas, il suo Quisling (per chi non lo
ricorda, Quisling era il primo ministro della Norvegia occupata dai Nazisti, il
quale faceva ciò che i suoi padroni tedeschi gli ordinavano).
Tutti possono capire
perché il Manifesto elimina la frase, riferita a Dahlan, “che nonostante il suo fallimento a tenere Gaza, rimane un importante
consigliere del Presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas”. Dahlan
è il traditore palestinese che più di tutti quelli della sua specie si è
venduto ed esposto per Israele e gli americani. Era lui che aveva promesso che
avrebbe scalzato da Gaza i combattenti islamici di Hamas. Gli americani (con la
complicità di Egitto e Giordania) gli avevano affidato un piccolo esercito che
istruivano con loro istruttori (guidati dal generale Dayton) in Egitto e poi
facevano penetrare a piccoli gruppi a Gaza. Il piano è fallito perché Hamas,
giustamente, si è mosso in fretta e ha sbaragliato il complotto.
Oggi Dahlan, un servo
oltretutto poco capace, è stato estromesso dal governo di Fayyad. Non lo si
poteva tenere visto che gli americani e gli israeliani sono rimasti molto
delusi dalla sua incapacità, ma rimane un consigliere di Abbas e ha molti amici
nelle forze di sicurezza di Fatah che ha diretto per anni. Per gli americani e
Israele rimane pur sempre una carta da giocare ma intanto vogliono vedere se
Abbas trova una carta migliore di lui. Il suo ruolo di traditore non è finito e
il Manifesto censura le denunce contro di lui per far piacere a Israele. Il
giornale sionistro e i suoi “esperti” mediorientali non ci nascondono che
Dahlan complottava contro Arafat, tanto loro stessi hanno partecipato all’opera
di denigrazione (ideata a Tel Aviv) di Arafat, ma non vogliono che colui che
agiva segretamente contro il suo presidente sia definito parte di “una leadership quisling servile nei
confronti di Israele”. Quando questa leadership quisling (Dahlan, Abbas,
Fayyad) si era sufficientemente rafforzata ed era pronta, ecco che i servizi
segreti israeliani entrarono direttamente in scena e avvelenarono il legittimo
presidente palestinese per spianare la via del potere ai traditori. Per il
Manifesto è importante anche eliminare ogni ammissione da parte di Dahlan
di aver operato in “completo
coordinamento e cooperazione” con israeliani e americani (“tutti”) ed ecco quindi che sforbicia
un’altra frase pericolosa:
Dahlan scrive che "il completo coordinamento e
la cooperazione di tutti" erano necessari ad impedire questo, come anche
"la pressione su Arafat per indurlo a non compiere questo
passo".
Subito dopo, ancora ciak,
e cade un’altra frasetta che rafforza quanto si era eliminato in precedenza: “Questa lettera è una piccola ma vivida
prova da aggiungere alla già esistente montagna, della cospirazione nella quale
la leadership di Abbas è compromessa”.
E visto che ci siamo e con
le forbici ci sappiamo fare ecco che cade anche la frase riguardo al tipo di
contraddizione tra Abbas e cricca da una parte e Hamas dall’altra. Che i lettori
del Manifesto non vengano mai a sapere che la contraddizione è “tra la minoranza (minoranza poi!) che ha fatto lega con il nemico in funzione
collaborazionista, e coloro che difendono il diritto dovere di resistenza. Che
continuino pure, i poveri lettori, a credere che la contraddizione è tra laici
(buoni) e islamici (brutti, barbuti e molto cattivi, soprattutto con le
donne)!
Poi nel testo compare la
parola “israeliani”… apriti cielo, non sia mai, non sia mai, ciak, ciak,
ciak!!! Non sia mai detto chi “i leader
israeliani sono molto chiari su ciò che si aspettano dai loro servitori
palestinesi”. Ciak, ciak, qua ci chiamano antisemiti! Ciak! E via pure le
parole del dirigente israeliano Sneh: "per
emergere vittoriosi, le campagne militari e gli arresti non sono abbastanza”
è chiaro che ci vuole la collaborazione attiva di alcuni palestinesi. Tolta la
frase di Dahlan sul “coordinamento e la cooperazione di tutti” va tolto anche
il pendant israeliano, le parole di Sneh.
Poi viene la frase su
Oslo, e sul sottinteso “processo di pace”. Ciak anche questa. “Quattordici anni dopo Oslo, questo non ha
molte probabilità di convincere gli scettici”. Vogliamo che i lettori si
mettano in testa che Oslo è fallita, che il processo di pace è finito, morto,
sotterrato, come dice Hamas? Non è permesso neanche di essere “scettici”. Israele non ha mai cessato
di costruire insediamenti e ha tirato le “trattative” per le lunghe, ma essere
scettici è un crimine. Bisogna credere che il “processo di pace” va avanti e
che un giorno (quando?) si giungerà ai due agognati Stati e che forse, con un
po’ di buona volontà supplementare dei palestinesi si potrà deportare gli arabi
di Israele (14.000.000) nello “stato palestinese” in modo che Israele rimanga
etnicamente puro (Israele come stato ebraico). Nello “Stato palestinese” si
risolverà pure la questione dei profughi. In tutto oltre 10 milioni di persone
nei quattro bantustans con una superficie complessiva di 2400 Km2 (metà del
Molise) senza acque e senza confini propri ma in cambio ci sarà un poderoso
muro tutto intorno e ferro spinato a volontà.
Vogliamo che la gente si
convinca della giustezza politica della lotta per un solo Stato democratico per
ebrei e palestinesi? Non sia mai: Due popoli due Stati! E basta, sennò ciak,
ciak, e poi ciak.
E le dichiarazione di
Hamas “a favore del pluralismo”? E
no, non si può! Quelli sono solo “integralisti” e “terroristi”, non possiamo
far saper all’Occidente che si sono dichiarati a favore del pluralismo. Dunque
di nuovo ciak! E non ricordiamo in giro che sono riusciti a far liberare Alan
Johnston della BBC da un clan che a Gaza traeva profitto del disordine e
dell’anarchia. E quindi riciak!
Se infine si deve
mantenere l’immagine negativa di Hamas che Israele e gli USA hanno costruito a
bella posta allora bisogna assolutamente fare ciak pure con la frase “Israele e i suoi alleati di Fatah
continuano ad impegnarsi in diffusi atti di omicidio, tortura e sequestro
diretti contro i membri di Hamas”. Israele poi non può essere accusato così
brutalmente di atti di omicidio, tortura e sequesto! Vogliamo scherzare?
Israele è una democrazia. L’unica democrazia del Medio Oriente.
La verità è pericolosa,
soprattutto che “Hamas è impegnato in
una lotta per la sopravvivenza” e non invece, come ci vogliono far credere,
in una lotta per rovesciare Fatah (che ha perso le elezioni ed è stato gia
democraticamente rovesciata) e allora ancora ciak.
Ah scusate! Stavo
dimenticando le allegre sforbiciate per togliere di mezzo i riferimenti alle
fonti (Ha’aretz, Los Angeles Times)!
Ci diranno che è stato
fatto per ragioni di spazio. Ma noi non ci crediamo. Senza i riferimenti
autorevoli che vengono da giornali israeliani o filosemiti, le affermazioni di
Ali Abunumah potrebbero anche sembrare campate in aria ed è probabilmente
quello che vuole il Manifesto.
Vergogna! Non bastano
tutte le censure a cui sono sottoposti i palestinesi? Ci voleva pure il
Manifesto! È proprio vero che quando cominci a perdere l’aggancio originario,
sai che ti sposti a destra ma non vedi fino a dove.
Il viaggio continua.