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Medio Oriente » Intervista a Luisa Morgantini  

New.gif MEDIO-ORIENTE: L'Ue deve fare di più per il popolo palestinese

Intervista a Luisa Morgantini, Vice-Presidente del Parlamento Europeo

Roma 15/10/07

L'Unione Europea ha precise responsabilità nella crisi palestinese, e adesso deve farsene carico, sostiene Luisa Morgantini, Vice-Presidente del Parlamento Europeo.

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L'Ue deve "attuare gli esistenti Accordi di Movimento e Accesso fra Ue e Israele, imporre a quest' ultimo il rispetto delle leggi internazionali sui diritti umani, e porre fine all'occupazione militare della West Bank e alla chiusura della Striscia di Gaza, dove il furto delle terre palestinesi continua senza alcuna condanna", ha riferito Morgantini in un'intervista con la corrispondente dell' IPS Sabina Zaccaro.
La Vice-Presidente del Parlamento Europeo ha accolto molto positivamente la recente adozione da parte del Parlamento Europeo di una risoluzione sulla situazione umanitaria a Gaza. La risoluzione chiede a Israele "di adempiere agli obblighi internazionali sottoscritti con la Convenzione di Ginevra per garantire l'accesso di aiuti umanitari, assistenza e servizi essenziali, come elettricità e carburante."

Alcuni estratti dall'intervista:

IPS: Lei ha descritto la situazione di Gaza come una "punizione collettiva."

Luisa Morgantini: Sono stata di recente a Gaza, e ho visto come la Striscia sia soffocata da una grave crisi umanitaria dovuta ai raid e alla chiusura imposta dall'Esercito israeliano. La sempre più massiccia devastazione dei servizi pubblici e delle abitazioni private, la distruzione di ospedali, cliniche e scuole, l'accesso negato a acqua potabile, cibo e elettricità e la distruzione della terra coltivabile, provocano una vera catastrofe per la popolazione civile.

Inoltre, il blocco degli spostamenti paralizza l'economia e contribuisce ad un tasso estremamente elevato di disoccupazione, e il sistema sanitario è messo a dura prova.
L'Unione Europea deve chiedere con forza al Governo israeliano il pieno rispetto per i diritti umani e la legge internazionale nell'intera area.

IPS: Esiste qualche differenza tra la visione dell'Ue e quella degli Stati Uniti sul riconoscimento di Hamas, il gruppo che ha vinto le elezioni politiche dell'Autorità Palestinese nel 2006?

LM: Naturalmente ci sono delle differenze. L'Ue ha riconosciuto le elezioni come legittime, e svolte democraticamente. Non c'è dubbio che questo riconoscimento avrebbe dovuto comportare anche il riconoscimento del Governo Palestinese, ma questo non è avvenuto, per via degli Usa, che hanno imposto la loro visione di Hamas come forza terroristica.

In realtà, scegliendo di partecipare alle elezioni, Hamas ha scelto di entrare nella vita democratica, offrendosi di sospendere le azioni militari.
Il punto è che le divergenze sono state solo sussurrate anziché espresse attraverso azioni politiche; malgrado continui a dare supporto economico alla popolazione palestinese, l'Ue ha praticato una forma di ostracismo nei confronti del governo di Hamas.

Purtroppo, ha applicato lo stesso ostracismo anche al Governo di Unità Nazionale sostenuto da tutti i partiti politici palestinesi.

IPS: Intende dire che quelle divergenze rispetto agli Usa non siano state davvero "agite"...

LM: È l'eterno problema dell'Ue. Malgrado sia un gigante economico e il donatore principale per i paesi in via di sviluppo, ha una debole autorità politica e lascia che il suo parere venga obnubilato dalle opinioni degli stati Uniti.
È chiaramente una contraddizione affermare che le elezioni siano democratiche e poi respingerne i risultati. Significa applicare due pesi e due misure.

IPS: Alcuni osservatori sostengono che non c'è più spazio per la speranza in Palestina, privata della terra e di molti suoi abitanti che continuano a lasciare i territori come rifugiati.

LM: La visione di "due popoli, due stati" diventa sempre più debole. Lo stato palestinese che doveva esistere in quei territori occupati 40 anni fa ha visto crescere solo le colonie anziché le sue strutture. Quelle colonie hanno portato via la terra ai palestinesi. E ora, negli ultimi quattro-cinque anni, questo muro di separazione che divide palestinesi dai palestinesi, dà nuova terra a Israele, e sottrae al popolo palestinese terra fertile.

Un esempio è il piccolo villaggio di Belain nel distretto di Ramallah, dove da tre anni giovani palestinesi e israeliani manifestano in modo non-violento per dire "no" al muro. Il sessanta per cento dei terreni fertili e coltivati in questo piccolo villaggio è dall'altra parte del muro (quella Israeliana), e lo stesso accade in molti altri villaggi deprivati di terra e acqua.

Inoltre, i territori palestinesi sono frammentati dai checkpoint israeliani, presenti ovunque nei villaggi. Il risultato di questa politica di frammentazione è che i palestinesi di Gaza non possono incontrare i loro parenti che vivono a Hebron, a pochi chilometri di distanza.
Israele ha attuato la politica della segregazione per milioni di palestinesi che ancora vivono nei territori occupati. Con una simile frammentazione, è difficile credere alla possibilità di uno stato palestinese, capace di coesistere con Israele. La verità è che in ogni istante la terra è divorata dalle colonie. Pochi giorni fa abbiamo appreso della confisca delle terre di alcuni villaggi intorno a Gerusalemme: serviranno per ospitare 3.500 nuovi alloggi di colonie. 

IPS: Come può la pace penetrare - come volontà, non solo come speranza - nella coscienza di un popolo cresciuto in mezzo alla violenza e all'odio?

LM: Esistono delle esperienze straordinarie che mi danno speranza. Penso al Circolo dei Genitori (Parents Circle), un gruppo di genitori e parenti di persone palestinesi o israeliane uccise in attacchi suicidi di palestinesi o da soldati israeliani. Sono circa 600 famiglie che lavorano insieme per fermare la violenza, convinte che fare la pace significhi riconoscere a ciascuna parte i propri diritti.

Oppure i Combattenti per la pace (Combatants for Peace), un gruppo di ex soldati israeliani ed ex militanti palestinesi, che chiedono la pace e chiedono di fermare l'occupazione militare.  
La pace può penetrare, ne sono sicura. È compito dei leader politici di entrambe le parti predicare e agire la pace. Tuttavia, per me ciascuna delle due parti ha le proprie responsabilità, non metto sullo stesso piano il Presidente (dell'Autorità Nazionale Palestinese) Mahmud Abbas e il governo d'Israele: hanno responsabilità diverse. Gli uni sono gli occupanti, gli altri coloro che subiscono l\'occupazione. E poi ci sono i gruppi di estremisti palestinesi che continuano a sparare razzi sui civili israeliani, ma questi sono gruppi di estremisti, non rappresentano né l'Autorità Palestinese, né il Governo Israeliano.
Credo che se Israele volesse la pace, se davvero accettasse di restituire i territori occupati, la pace sarebbe possibile. Nel frattempo, posso ancora credere e sperare, grazie a quelle persone straordinarie - palestinesi e israeliani - che continuano a lavorare insieme.

IPS: La settimana scorsa ha incontrato alcuni di loro a Perugia, durante il meeting delle Nazioni Unite per i popoli, e poi alla marcia Perugia-Assisi.

LM: Sì, ho incontrato Bassam Aramin (fodatore del gruppo Combatants for Peace), detenuto per sette anni in un carcere israeliano quando era un giovane militante contro l'occupazione. A gennaio, sua figlia Abir, 11 anni, è stata uccisa da un proiettile israeliano nel cortile della scuola. Una rapida inchiesta dell'Autorità israeliana ha stabilito che la bambina era stata colpita da una pietra.
Aramin era a Perugia con un gruppo di soldati israeliani e per il suo lutto non ha chiesto vendetta, ma solo giustizia. È un esempio sconvolgente di un palestinese che non ha perso la propria umanità, nonostante la lunga strategia di disumanizzazione.

Dal sito www.ipsnotizie.it

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