L'OCCUPAZIONE, LA SOCIETA' ISRAELIANA E I MEDIA
Intervista con Gideon Levy
di Marco Cesario
"Il nodo del conflitto israelo-palestinese sono le colonie a cui i governi di Tel Aviv non vogliono rinunciare. Ma finché non lo faranno, non ci sarà pace in Medio Oriente".
Tel Aviv - La sede del quotidiano israeliano Haaretz si trova al termine di una lunga strada alberata e dagli appezzamenti di verde estremamente curati. Il verde dei giardini, di un colore così vivace stride con l'architettura circostante, fatta di palazzi fatiscenti, mostri di cemento sventrati e anneriti dallo smog, complessi edilizi semi-abbandonati della peggiore architettura degli anni '60 e '70. All’improvviso, in mezzo ad un nugolo di case costruite quasi senza senno, spunta un elegante edificio Bauhaus o una villetta curata di due o tre piani circondata da maestosi alberi, fiori e giardini. E' qui che incontro Gideon Levy.
“L'accordo Hamas-OLP sarebbe un'ottima notizia se funzionasse” dice a Pagina99 Gideon Levy, Vincitore dell'Emil Grunzweig Human Rights Award nel 1996, del premio della Fondazione Anna Lindh (2008) per un articolo sull'uccisione di Palestinesi da parte dell'esercito israeliano e del Peace Through Media Award nel 2012. Levy tiene una rubrica su Haaretz dal titolo “Twilight Zone” in cui fa resoconti dettagliati sulle attività dell'esercito israeliano nei territori occupati. E' una delle voci critiche più autorevoli d'Israele.
Il 29 Aprile scorso è scaduto il termine dei 9 mesi decisi nello scorso luglio a Washington, sotto la spinta del presidente Obama e di John Kerry, per trovare un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Un nuovo fallimento?
In realtà non si tratta di 9 mesi ma di 45 anni. Il vero processo di pace è infatti iniziato agli inizi degli anni '70. Ogni volta si tratta sempre sullo stesso tema. E ogni volta non si riesce a trovare un accordo. Non credo si possa realmente giungere a un accordo tra le parti. E la ragione è semplice: fin quando Israele non deciderà di mettere fine all'occupazione non si potrà mai raggiungere alcun accordo. E' chiaro come il sole. Il problema è che Israele non ha intenzione di rinunciare ai territori occupati. E' questo è il nodo del problema, il centro della discordia. Tutto il resto è di minor entità. Non credo che il governo di Netanyahu voglia rinunciare ai territori e non credo che alcun altro governo dello stato d'Israele voglia, con sincerità ed onestà, assumersi questa responsabilità.
Il negoziatore capo palestinese Saeb Erekat ha addossato la colpa del fallimento al premier Netanyahu mentre per quest'ultimo la trattativa è finita anche di fronte al fatto che l'Anp non voglia riconoscere Israele come "Stato ebraico". Ora s'aggiunge l'accordo di unità nazionale tra OLP e Hamas, quest'ultima definita da Israele, Usa e Ue un'organizzazione terroristica.
In primo luogo non sono sicuro che quest'accordo funzionerà perché già in passato ne sono stati siglati diversi, poi saltati. Credo che questo essere divisi sia il principale problema ed il più grande errore dei palestinesi. Dividendosi fanno il gioco del governo israeliano che cerca in ogni modo di dividerli. I palestinesi del '48 da quelli del '67, gli abitanti di Gerusalemme da quelli della Cisgiordania, di dividere i cittadini della Cisgiordania da quelli di Gaza, di dividere i palestinesi della diaspora da quelli residenti in Palestina ed infine di dividere Hamas dall'OLP. Ovviamente tutto ciò non è solo responsabilità degli israeliani. Io spero che questa volta l'accordo non fallisca e che i palestinesi trovino davvero un'unità. Ma resto molto scettico. Se funzionasse questa sarebbe un'ottima notizia per chiunque voglia la pace perché infine si avrebbe un solo interlocutore palestinese. Mi sembra chiaro che se Hamas s'allea con l'OLP vuol dire che accetta, direttamente o indirettamente, di trattare con Israele.
L'ANP ha annunciato l'adesione a 15 trattati internazionali e ha manifestato l'intenzione di aderire ad altri 60.
L'adesione a questi trattati è perfettamente legittima, l'autorità palestinese ha pieno diritto. Israele costruisce colonie senza sosta e ciò non costituisce un problema. E quando l'ANP s'appella alla comunità internazionale – il che che costituisce non solo un suo diritto ma anche un suo dovere - Israele dice che si tratta di una “decisione unilaterale”. Per me questo è totalmente inaccettabile. L'ANP ha pieno diritto ad aderire ai trattati internazionali.
Come vede il ruolo d'Israele nel Mediterraneo?
Israele risiede in una zona geografica in cui la maggior parte dei paesi non ne accetta l'esistenza. Ma non bisogna dimenticare che Israele fa di tutto per non essere accettato. Israele ha infatti un'unica ispirazione: quella di essere un paese europeo, americano, occidentale, un paese che nonostante la sua posizione geografica, volta completamente le spalle al mondo arabo-musulmano. Israele non solo intrattiene pessimi rapporti con i propri vicini ma cerca di evitare qualunque contatto con la cultura e la lingua araba, la sua musica, la sua storia. La cultura araba è praticamente un tabù in Israele. Mentre io credo sinceramente che invece di voltare le spalle al mondo arabo, Israele dovrebbe rivolgere il suo sguardo verso di esso perché ciò avrebbe anche conseguenze politiche importanti. Un esempio è la Turchia. L'unico paese nel Medio Oriente che accetta l'esistenza d'Israele (e con il quale i rapporti commerciali e turistici sono più che floridi), un rapporto rovinato in seguito alla questione della Freedom Flotilla. Mi chiedo: era davvero necessario che il governo israeliano agisse in quella maniera?
In quanto giornalista critico del governo lei è molto esposto. Come vede il ruolo dei media critici nella società israeliana?
I media in Israele hanno molta influenza. La maggior parte dei media collaborano attivamente alla filosofia dell'occupazione territoriale. Molte volte penso che senza i media israeliani l'occupazione non sarebbe durata tanto. I media collaborano attivamente con questo stato di cose negando l'occupazione, nascondendola, disumanizzando e demonizzando i palestinesi. Io rappresento un'esigua minoranza come commentatore all'interno dell'opinione pubblica israeliana. Devo dire che il mio giornale, Haaretz, rappresenta una specie di isola in Israele in quanto a libertà ed indipendenza dell'informazione. Ma non so quantificare l'impatto dell'informazione che io ed il giornale su cui scrivo abbiamo sull'opinione pubblica. Posso solo dire con certezza che Israele senza Haaretz sarebbe un posto molto peggiore in cui vivere.
Dal Sito "Pagina 99"
31/05/2014
Reportage di Marco Cesario a Gerusalemme:
http://www.eastonline.eu/it/opinioni/open-doors/gerusalemme-la-citta-della-discordia
http://ita.babelmed.net/cultura-e-societa/103-israele/13421-vita-quotidiana-a-gerusalemme-est-sgomberi-demolizioni-e-discriminazioni.html
APPELLO DI GIDEON LEVY AL BOICOTTAGGIO DI ISRAELE