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Medio Oriente » I profughi palestinesi in Libano 4°p  

 

LEGGI III° Parte

IV° Parte

 

4° giorno

E’ il giorno più importante di tutto il viaggio: la manifestazione “Per Non Dimenticare Sabra e Chatila”.
La giornata inizia al Centro culturale della municipalità di Ghobeiry dove, il Sindaco Abou Said al Khansaa, l’ambasciatore palestinese in Libano, Dr. Abudallah Abdullah, le varie delegazioni presenti ed infine i familiari delle vittime del massacro, espongono i loro interventi, ricordando il massacro.

 

Al termine di questi incontri, usciamo per unirci al corteo che ci porterà nel luogo della memoria per ricordare tutte le vittime di quel feroce massacro, rimasto ancora del tutto impunito.

 

 

Finita la manifestazione, rendiamo omaggio anche ai martiri del massacro di Tal al Zaatar, alle figure storiche della resistenza palestinese, Shafik al Oout e Abo Maher al Yamani ed ai martiri della resistenza nazionale libanese ed islamica. Incontriamo subito dopo, nel campo di Chatila, i familiari delle vittime.


Ritornare a Chatila, anno dopo anno, è sempre molto emozionante, ma, anche molto triste. Non è facile ritornare in questi luoghi, incontrare le stesse persone, la cui la vita è sempre più difficile e drammatica, portando sempre e solo la nostra presenza, il nostro affetto e solidarietà e senza mai una parola di speranza di giustizia e di pace.  Le loro richieste sono rivolte al riconoscimento del Diritto al ritorno alle loro case, ad una vita normale, ma, siamo impotenti di fronte a tutto ciò. Non siamo in grado di esaudire le loro richieste, quello che possiamo fare è continuare a parlare, a raccontare, a manifestare per la causa palestinese. Per questo, continuiamo a tornare da loro, a lottare per e con loro, a parlare di loro, solo così, possiamo forse risvegliare la coscienza addormentata dei nostri governi.

    

 

 

 

Incontriamo nella nuova sede dell’ambasciata Palestinese in Libano,l’ambasciatore Dr. Abdullah Abdullah che ricorda il massacro di Sabra e Chatila, l’importanza del diritto al ritorno e la figura di Stefano Chiarini. Rivolge un pensiero anche a Juliano Mer-Khamis e Vittorio Arrigoni uccisi il 4 e 15 aprile scorso. Consegna infine al Comitato un omaggio da parte di tutta l’ambasciata: uno striscione con la foto di Arafat nel momento in cui, nel 1974, è andato alle Nazioni Unite, portando in una mano il fucile e nell’altra un ramoscello d’ulivo, dal titolo “Palestina Stato delle Nazioni Unite n. 194”.  

 


Stefania Limiti, ringraziando l’ambasciatore, rileva l’importanza delle novità diplomatiche per i Palestinesi in Libano, attraverso l’apertura di questa nuova sede, perché i simboli sono molto importanti, specialmente per le tante e continue sofferenze dei Palestinesi in questo territorio. Alla vigilia di un’importantissima azione diplomatica che la Palestina ha intrapreso da tempo, il fatto che ci sia un’ambasciata palestinese in Libano, significa che c’è un pezzo di Palestina in Libano e che questa può diventare una speranza di una nuova unità di tutti i fratelli palestinesi. Stefania termina il suo intervento ricordando che non ci può essere una soluzione di pace senza il riconoscimento del Diritto al Ritorno. Una richiesta, non per chiedere un risarcimento ma, perché non si può perdonare, l’occupazione.

 


 

La giornata continua al Centro Arabo per la comunicazione. Incontriamo il Presidente Mr. Moen Bashour, considerato un leader per il suo impegno contro le discriminazioni e soprattutto contro l’embargo, prima di Bagdad e, poi quello di Gaza. Mr. Bashour apre il suo discorso con il tema oggetto di discussione di questi giorni: il Riconoscimento all’Onu dello Stato Palestinese. La Palestina potrebbe diventare lo Stato n. 194, lo stesso numero della Risoluzione Onu (n. 194) che riguarda l’annoso problema del “Diritto al Ritorno”. Indipendentemente dal risultato di questa richiesta, essa rappresenta una grande battaglia, il premio della lotta del popolo palestinese e di tutti i paesi arabi. Illustra i convegni che sono stati organizzati dal centro dal 2007 ad oggi: il forum su Gerusalemme ad Istanbul, sul Diritto al Ritorno a Damasco, sulle alture del Golan nella città liberata di Kenitra, sul diritto alla resistenza a Beirut e sulla situazione dei prigionieri nelle carceri israeliane e degli Stati Uniti in Algeria. E’ in preparazione per la fine di novembre, il meeting internazionale contro l’apartheid nella Palestina occupata, dal titolo “La lotta contro l’apartheid israeliana” con due incontri, uno al Cairo e l’altro nella città di Durban in Sud Africa. La scelta della data non è un caso, spiega Mr.Bashour, gli incontri, infatti, si tengono sempre tra il 29 novembre ed il 10 dicembre, perché il 29 novembre è la giornata internazionale di solidarietà con il Popolo Palestinese ed il 10 dicembre è la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. L’iniziativa a Durban, per richiesta degli stessi fratelli africani, sarà però rinviata a marzo, per la settimana mondiale contro l’apartheid israeliana.


Subito dopo quest’introduzione, iniziano le nostre domande: Turchia-Israele, Libia e Siria, indispensabili per poter comprendere meglio la vastità di tutto il problema.
Afferma con certezza la vicinanza del popolo turco al popolo palestinese e, nello stesso tempo, rimarca la contraddizione che si trova all’interno del governo turco, da una parte le pressioni dell’amministrazione americana e dall’altra le scelte del suo popolo. La posizione del governo turco è ambigua: ha sostenuto la Flotilla 1, ma impedisce la Flotilla 2, all’inizio del conflitto in Libia era favorevole a Gheddafi, poi, insieme alla Nato ha bombardato la Libia. Mr.Bashour non poteva non parlare della recente pubblicazione del Rapporto Palmer dell’ex premier neozelandese G.Palmer e dell’ex presidente colombiano A.Uribe. Un rapporto che non ha condannato la violenza israeliana verso la nave Mavi Marmara il 31 maggio 2010 dove sono rimasti uccisi nove passeggeri turchi, delegittimando così anche l’embargo contro Gaza. Tutto questo ha compromesso le relazioni diplomatiche tra i due paesi, provocando la reazione di Ankara che, prontamente ha espulso l’ambasciatore israeliano dalla Turchia e ritirato il proprio in Israele, ma questo non basta. La Turchia per risolvere la sua crisi dovrebbe uscire dalla Nato ed unirsi alla resistenza palestinese, irachena, libanese, ossia con tutti quei paesi che rifiutano l’egemonia americana.
Per quanto riguarda la questione libica, Mr. Bashour conferma la posizione libanese nei confronti di Gheddafi e ricorda come ha potuto iniziare il massacro di Sabra e Chatila. Il 4 giugno 1982 l’esercito israeliano invade il Libano. In 8 giorni è alle porte di Beirut. A fine mese si contano 30.000 libanesi e palestinesi uccisi. L’invasione è chiamata “ Pace in Galilea”.  Dopo aver distrutto le città ed i campi profughi nel Libano meridionale, l’esercito israeliano entra a Beirut est controllata dalle milizie falangiste addestrate ed armate da Israele e pone sotto assedio Beirut ovest. Dopo 77 giorni di bombardamenti si giunge ad un accordo per l’evacuazione dei combattenti palestinesi, garantendo, sotto il controllo di una forza internazionale, tra le quali anche un contingente italiano, la protezione delle popolazioni civili dei campi profughi. Ma, il 13 settembre la forza internazionale si ritira dal Libano, in anticipo sui tempi previsti. Il 14 è ucciso Bashir Gemayel, presidente della Repubblica e capo delle milizie falangiste. Il 15 l’esercito israeliano occupa Beirut ed assedia i campi profughi di Sabra e Chatila e Burj il-Barajne. Il 16 settembre inizia il massacro nel campo di Chatila. Se Sharon è il responsabile diretto di questo massacro, la responsabilità totale ricade sulla protezione internazionale. Ora, la Nato è arrivata in Libia in nome della protezione internazionale e, dalla No-Fly zone sotto l’Onu, si è arrivati al bombardamento delle forze Nato. Gli interventi bellici sono commercialmente utili: denaro, petrolio e ricostruzione di quello che si è distrutto. Per questo motivo, pur considerando la legittimità delle richieste dei popoli, gli interventi stranieri devono essere condannati. Se la Lega Araba voleva stare veramente con il popolo libico, lo poteva aiutare con il denaro e le armi, senza chiedere l’intervento della Nato.
L’ultima domanda è rivolta a capire quanto sta succedendo in Siria. Mr. Bashour ripete il concetto della legittimità delle richieste del popolo siriano, ma fa presente che i piani stranieri sono alquanto sospettosi perché dimostrano molto interesse verso questa situazione. La posizione invece del Centro Arabo è molto chiara: no alla violenza da qualsiasi parte provenga, no ad uno spargimento di sangue, no ad un intervento straniero, no ad una guerra civile, alla richiesta dei cittadini, alla libertà, alla diversità politica. I paesi che condannano ora la Siria, non prendono in considerazione né il partito al governo, né il Presidente, ma solo unicamente la sua posizione geografica, strategica ed il suo ruolo in questa regione. Come si fa a credere alla buona fede di un paese che ha sulla sua coscienza molte migliaia di morti in Iraq, Afghanistan, Pakistan e che passa attraverso la tortura nel nome di una democrazia? Chi è il responsabile di tutte le morti in Iraq? Perché questa coscienza mondiale non si muove? Per il diritto internazionale, tutto quello che succede in un territorio occupato, è responsabilità dell’occupante. Il Centro Arabo, conclude Ms.Bashour, ha lanciato una campagna per attivare dei processi contro i crimini di guerra anche per l’Iraq e l’Afghanistan.

Dopo Mr.Bashour, prende la parola il Direttore del quotidiano libanese “as Safir”, Talal Salman.


Talal Salman ci parla delle rivolte arabe, arrivate tardi rispetto alle dittature durate trenta o quaranta anni. Questi regimi erano forti contro il loro popolo e deboli con il nemico israeliano. Il regime egiziano, ad esempio, dopo il 1973 era completamente sottomesso alla volontà israeliana che gli aveva imposto di aumentare il numero degli armamenti dell’esercito e di vendergli a prezzi molto bassi, fuori del mercato, il petrolio ed il gas. Questo vale anche per il regime tunisino e libico. Gheddafi ha giocato per molti anni sulla questione palestinese. I palestinesi non potevano andare a lavorare in Libia, Tunisia ed Egitto. Il governo libico ha quindi espulso dalla Libia quasi tutti i palestinesi che vi risiedevano. In Siria i palestinesi avevano gli stessi diritti dei siriani ad eccezione del diritto al voto. Il regime siriano, in carica da moltissimi anni, è incapace di rinnovarsi, di cambiare, ha paura di cadere e, dopo sei mesi di scontri con il suo popolo, non ha trovato il coraggio di intraprendere nessuna vera riforma. Ha presentato solo alcune parziali riforme che però non hanno soddisfatto il popolo. Salman prende atto, con dispiacere, che le rivoluzioni in corso nei paesi arabi non coinvolgono la Palestina. L’embargo israeliano ed arabo e le divisioni palestinesi hanno solo prodotto stanchezza nel popolo palestinese. Ora, dopo tutto questo, hanno pensato di offrirgli l’alternativa del riconoscimento dello stato per, in verità, solo allontanare il vero problema. “Abbas andrà all’Onu – afferma Salman – farà il suo discorso, ma gli stati potenti utilizzeranno il veto, quindi perderemo un’altra battaglia che in questo momento sarebbe stato meglio evitare”.

Maurizio Musolino, costatando che normalmente noi siamo abituati a trovare un mondo arabo stabile ed il Libano in fermento, quest’anno, invece la situazione  è capovolta, chiede quindi a Salman, cosa stia succedendo in Libano e quali sono le sue nuove dinamiche.
Salman risponde che la situazione in Libano è tragicomica con un equilibrio molto bilanciato tra varie particelle che hanno formato due gruppi, uno di maggioranza rispetto all’altro. La differenza è veramente minima perché è sufficiente che una piccola particella di un gruppo decide di cambiare, per modificare la maggioranza. L’ago della bilancia di questo gioco di maggioranza e minoranza lo detiene Jumblatt perché ha un piccolo gruppo che se si sposta da una parte o dall’altra è in grado di modificare gli equilibri. Succede questo perché tutto si basa sul sistema delle confessioni. Il Libano è fermo perché aspetta quello che succederà in Siria. Il vecchio governo di Saad Hariri non conosceva le alleanze dentro il paese, non era in grado di giocare con queste e non ha neppure saputo approfittare della crisi tra l’Arabia Saudita e la Siria.
In Libano, nel momento in cui si forma un nuovo governo, bisogna tenere in considerazione le varie sensibilità delle confessioni esistenti, infatti, quando si è dovuto costituire il nuovo governo, si sono creati degli squilibri tra le parti. I sunniti hanno considerato la caduta di Hariri come un attacco nei loro confronti. E’ importante, in un caso come questo, non considerare la fine del governo contro i sunniti, ma, nemmeno come una vittoria degli Hezbollah, che sono sciiti. Dopo 4 mesi si è trovato finalmente un equilibrio ed è stato formato il nuovo governo, chiamato di “Hezbollah", ma le cose non stanno così come sono illustrate. L’ago della bilancia è stato giocato da Jumblat, dal suo piccolo gruppo (6 persone), ottenendo 3 ministri. Il governo libanese è molto fragile, ogni piccola cosa deve essere bilanciata con cura, per la paura di un’altra probabile rottura.
Per quanto riguarda la Siria, all’inizio c’era un’opposizione debole ed un regime forte che ha reagito tardi e male alle richieste della popolazione. Le forze di sicurezza non erano pronte per affrontare questa situazione ed ha sbagliato decidendo di sparare sulle persone. Un altro dato di fatto è che è tornato in Siria il movimento Al-Qaida che sta provocando violenze ed uccisioni. Non sono da dimenticare anche le presenze di un’opposizione salafita e dei Fratelli Musulmani. La Siria, inoltre, ha avuto per sei anni una forte carestia che ha causato un grande esodo dalle campagne alle città. Questa massa di persone si sono trovate, quindi, senza lavoro, senza possibilità di vivere ed hanno creato una forte opposizione sociale, dove, però si sono inserite altre proteste con l’intenzione di andare contro la polizia, creando così il caos. Il regime non ha capito cosa vuole la gente, chi sono i veri oppositori e quali sono le loro richieste.
La rivoluzione siriana, infine, sembra sia comandata dalle due emittenti tv arabe più importanti, Al-Jazeera (Qatar) e Al-Arabia (Arabia Saudita), da come si esprimono i giornalisti in merito alla rivoluzione siriana.
L’Emiro del Qatar ha dei contrasti con Assad, presidente siriano e, proprio per questo tra al-Jazeera ed il regime siriano è nata una guerra dichiarata, sfruttando tutte le varie possibilità. Lo stesso atteggiamento è usato anche da Al-Arabia. Tutto questo crea un problema molto serio per l’informazione che non corrisponde più alla realtà dei fatti, perché soggetta a manipolazione da tutte le parti in causa.



5° Giorno


Siamo arrivati alla conclusione del nostro viaggio, questo è l’ultimo giorno dedicato agli incontri politici che termina con l’appuntamento con tutte le organizzazioni della resistenza palestinese e con il partito comunista libanese.


Sono presenti una decina di organizzazioni: Fronte di liberazione Palestinese, Hamas, Fronte democratico x la liberazione palestinese, Fronte di lotta popolare, Jihad islamica, Olp, Fronte popolare per la Palestina.
Viene ricordato il massacro di Sabra e Chatila, la situazione dei campi profughi, il difficile rapporto con il governo libanese, ma, la loro lotta per la liberazione continua, non vogliono perdere il diritto della loro patria e sperano, anche con il nostro aiuto, di portare questi criminali di guerra davanti ad un tribunale.
Oggi c’è una novità: tutte queste diverse realtà di resistenza palestinese hanno unito le loro differenze per poter trovare una nuova forza per portare avanti la lotta di un popolo per la propria libertà. La leadership palestinese sta portando avanti la richiesta per avere un posto all’Onu, mantenendo però ben fermi i due punti fondamentali: Gerusalemme ed il diritto al ritorno.
I vari confronti si susseguono toccando le questioni più sensibili, come la ricostruzione di Nahr al Bared, l’embargo di Gaza, la campagna di boicottaggio verso il governo israeliano (BDS), l’unità nazionale palestinese e la richiesta del riconoscimento dello Stato palestinese.
Il Bds è nato da un’idea palestinese, raccolta poi dalle molte associazioni internazionali che si occupano della questione palestinese, trasformandola in un’arma vincente verso Israele. Attraverso questa campagna che coinvolge sia le sfere economiche che quelle culturali, si fa informazione, raccontando e spiegando l’azione del governo israeliano nei confronti del popolo palestinese. Anche in Libano si è sviluppata una campagna BDS ed i libanesi che sono sensibili alla causa palestinese la considerano una campagna nazionale, patriottica che fa parte dei diritti palestinesi e libanesi boicottare i prodotti israeliani.
Il rappresentante di Hamas risponde ad una domanda sull’unità del popolo palestinese rimarcando la necessità di portare avanti la riconciliazione avvenuta con Al Fatah e che il popolo palestinese deve avere un’unica voce sia in Palestina che in Libano. La partecipazione deve essere di tutti perché la questione palestinese riguarda tutti. Gli ostacoli per trovare questa unità sono tanti e ne sono consapevoli, ma sono anche determinati ad andare avanti, anche a scontrarsi con la situazione internazionale che incontreranno sulla loro strada. Quello che manca ai palestinesi è una strategia politica a lunga scadenza.
La questione importante qui in Libano è la condizione di vita nei campi. Ogni gruppo politico di resistenza palestinese ha la propria idea e strategia da portare avanti, ma, ora la priorità per tutti è ritrovare un’unità nazionale e, proprio per questo motivo, hanno presentato al governo libanese un documento unitario per la rivendicazione dei loro diritti e trovare una soluzione per i campi. Non avere luce e acqua è un’umiliazione, una vergogna, “possiamo avere delle divergenze sui metodi da seguire ma non sul concetto d’indipendenza e di libertà”, afferma uno di loro.


Swee Chai, chirurgo ortopedico di nazionalità malese che, nel 1982 lavorava al Gaza Hospital nel campo di Sabra e che fu anche una dei testimoni contro Ariel Sharon, si rivolge ai palestinesi presenti invitandoli a non presentarsi come organizzazioni o fazioni, ma come partiti politici, perché questa è la verità dei fatti. L’ultima domanda è quella relativa al riconoscimento dello Stato Palestinese che, se fosse accolta, la Palestina sarebbe lo Stato n. 194 dell’Onu. 194, come la risoluzione Onu del Diritto al Ritorno. Come reagiranno le super potenze?
I diritti fondamentali proclamati nelle prime lotte del 1964 erano tre: il diritto al ritorno, l’autodeterminazione ed il diritto ad uno stato. Nel 1964 si era convinti di cacciare via l’occupante e di far ritornare i profughi, ma ora la situazione reale è diversa ed è  possibile  chiedere politicamente lo stato ma non il diritto al ritorno. La lotta dei palestinesi quindi continua sia per la liberazione che per i diritti. I palestinesi rimarranno nella condizione di profughi fino al loro possibile ritorno in patria. Due sono le soluzioni alle quali non rinunceranno mai: la richiesta del diritto al ritorno e del diritto di avere tutti gli aiuti da parte dell’organizzazione dell’UNRWA, creata appositamente per loro.

Arriviamo alla sede del Partito Comunista Libanese. Incontriamo il vice presidente del partito e segretario della Commissione affari esteri, Marie Nassif-Debs.  Marie assicura che loro non hanno dimenticato Sabra e Chatila e che, anche se ci sarà un futuro stato palestinese, la lotta continua perché questa è una lotta comune di tutto il popolo arabo fino a raggiungere il riconoscimento del Diritto al ritorno.
Non si poteva non parlare delle nuove rivolte in corso nel mondo arabo. L’imperialismo americano, sempre secondo Marie, insieme alla Nato, sta cercando di colpire la contro rivoluzione del mondo arabo, non per il bene dei popoli, ma solo per l’interesse imperialista basato sulla ricchezza economica e geopolitica di quei paesi. La volontà è quella di dividere non di unire il grande Medio Oriente. Il Pcl è un’organizzazione di resistenza e da più di un anno ha invitato ad un incontro tutte le forze di sinistra per affrontare il piano antimperialista del mondo arabo.
Marie  lancia una proposta precisa a tutte le forze progressista in Europa: cancellare tutte le basi militari Nato. Questo dovrebbe contribuire ad arrivare alla pace in questa regione e costituire lo stato palestinese con Gerusalemme, capitale.
Dall’inizio delle rivoluzioni arabe, il Pcl sta facendo una campagna contro il regime confessionale in Libano.
Il Libano, da tantissimo tempo, è un paese diviso in 18 confessioni, dove di fatto qualsiasi cambiamento risulta essere impossibile e che ha dato origine a varie guerre interne provocando la morte di tantissime persone. Il Pcl ha chiesto di modificare sia la legge elettorale attuale con un sistema di tipo proporzionale e sia la legge sul diritto alla cittadinanza. Il Libano è stato ferito da tutte le guerre civili  e questo sistema non ha contribuito a farlo uscire da questa situazione di crisi. Israele nell’ultima guerra ha distrutto tutte le infrastrutture del paese provocando un danno enorme all’economia della cittadinanza libanese. Un’altra cosa da non dimenticare è quella che, durante il governo Hariri, il Libano ha accettato tutte le condizioni imposte dalla Banca Mondiale. In questo momento, quindi, c’è la necessità di studiare una nuova politica economica, di procedere con il processo di cambiamento, di riformare il sindacalismo del paese e di rivedere la legge sulla tassazione. Questo non è un programma socialista, ma questo serve per mantenere una patria democratica, libera, insieme alla resistenza libanese. La liberazione senza una riforma democratica non porta a niente. Marie continua il suo intervento, parlando della lotta contro Israele. L’ebraismo non è una nazione, ma una religione e il Pcl combatte il sionismo come movimento reazionario razzista e fascista, non solo in Libano ma in tutte le realtà del mondo arabo.


Marie Nassif, dopo il suo intervento, risponde alle nostre domande relative alla situazione dei palestinesi, a quella interna libanese ed a quella egiziana. E’ innegabile una discriminazione a tutti i livelli nei confronti dei palestinesi che vivono nei campi. Il Pcl ha organizzato un convegno internazionale di tutte le forze di sinistra sui diritti del popolo palestinese ed ha lavorato con i palestinesi che vivono in Libano per preparare manifestazioni, sit-in per la loro causa. La Palestina deve essere una terra unica dove tutti possono vivere insieme. Tra le 18 confessioni in Libano c’è anche quella ebraica che vive qui tranquillamente. Marie ribatte che la loro lotta è verso il sionismo e verso qualsiasi stato religioso. Secondo il suo punto di vista il sistema confessionale in Libano è ormai finito, è diventato una minaccia e la paura di nuove possibili guerre civili è molto reale. C’è la necessità di una vera riforma elettorale e, per questo, hanno invitato tutte le forze libanesi ad un congresso nazionale per iniziare un dibattito serio. Al momento nessuna risposta da parte di Hezbollah. Per quanto riguarda il processo per l’uccisione di Hariri, come Pcl, dal 2005 sono sempre stati contrari nel trasformare questo processo interno libanese in un processo internazionale. Questi tribunali internazionali sono sotto l’egemonia americana, sono pilotati a livello politico e non hanno mai concluso niente di serio. La posizione del partito comunista libanese in merito a questo problema è stata sottoscritta in un documento ufficiale.
Il Pcl, attraverso un comunicato stampa, ha criticato la nuova formazione del governo perché in realtà non si dimostra molto diverso da quelli precedenti. La minima differenza che lo contraddistingue è data solo dalla questione nazionale e, per il momento, non avendo fatto ancora proposte serie, si rimane in attesa di verificare il suo operato.
Anche la situazione in Egitto non è definitiva, i nuovi cambiamenti sono molto buoni ma bisogna fare di più.
Le classi economiche del vecchio potere insieme alle forze americane lavorano per eliminare i gruppi più radicali, come quelli degli operai o dei contadini, per rivestire di nuovo il vecchio regime. L’Egitto rappresenta l’ago della bilancia. Nel 1952 ha cambiato il mondo arabo, perché quindi la situazione non si può ripetere anche oggi? Il partito comunista libanese conosce bene l’Egitto ed è sicuro che avrà la capacità di vincere questa rivoluzione.

 


Alla sera durante la cena offerta da tutti i partiti della resistenza palestinese ascoltiamo le parole del rappresentante di Hamas a Gaza e di Hezbollah.

20/11/2011

 


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