COMUNICATO DELL’ASSOCIAZIONE
DI AMICIZIA ITALO-PALESTINESE ONLUS (FIRENZE) SUGLI ULTIMI AVVENIMENTI IN
PALESTINA
Noi
non saremo “Amici” di alcuna gestione dittatoriale del potere in
Palestina!
Non
possiamo dimenticare che l’occupazione israeliana dei Territori è
ancora in atto; che non sono cessate le esecuzioni extragiudiziarie,
gli arresti, gli espropri, la pulizia etnica portate a termine dalle
forze armate israeliane, dai suoi gruppi speciali di intervento e dai
coloni ortodossi, integralisti e xenofobi.
Sappiamo
che il boicottaggio internazionale nei confronti del legittimo
governo palestinese e di tutte le istituzioni locali, connesse
eventualmente con il partito di Hamas, prosegue ininterrotto.
Osserviamo
che ciò che è stato considerato immorale, incivile, se
rivolto contro il popolo di Israele, diviene invece opportuno,
morale, giusto , quando applicato contro il popolo palestinese.
Riteniamo
che queste siano le cause prime della tragedia che in questi giorni
sta lacerando la Palestina, della profonda ferita che violenta il
corpo del suo popolo e diffonde il cancro dell’odio e della
diffidenza nel tessuto sociale e politico dei suoi figli.
Quanto
sta accadendo in queste ore nella Striscia di Gaza e nel West Bank,
anche se ci addolora profondamente, non ci meraviglia.
Da
tempo, gli USA, il Quartetto, l’UE, Israele hanno sostenuto, in
modo plateale e talvolta occulto, personaggi politici palestinesi
corrotti e compromessi, inadeguati alle necessità e alle
situazioni, screditati irrimediabilmente agli occhi del popolo,
propensi sempre e solo a rafforzare il loro potere personale in
qualsiasi modo, anche sottostando al compromesso di supportare gli
interessi di Israele.
Tutti
hanno chiuso volutamente gli occhi di fronte alle scelte democratiche
fatte dal popolo palestinese, che, con il voto di gennaio 2006, ha
rifiutato di appoggiare oligarchie personali politiche o economiche
legate al precedente governo.
Tutti
hanno girato la testa di fronte all’evidenza che la scelta a favore
di Hamas non era determinata da sentimenti integralisti e violenti,
dato che in moltissimi casi essa esprimeva la scelta di ampi strati
di una popolazione cristiana o che proveniva da aree precedentemente
controllate da Al-Fatah.
Riconfermando
il sostegno politico, economico e militare alle forze screditate del
partito degli Abu Mazen, dei Mohammed Dahlan, degli Abu Ala…., i
paesi “democratici” hanno rinnovato un atteggiamento coloniale
nella imposizione della “democrazia”.
Infatti,
a loro avviso, il nuovo governo avrebbe dovuto trascurare
completamente le indicazioni espresse dal popolo attraverso il voto –
come si usa fare ormai nei paesi a democrazia matura – per
conformarsi esclusivamente alle pretese israeliane e statunitensi.
Il
mondo delle nazioni “democratiche” ha approfittato della miseria,
della fame, delle malattie, della disperazione e del terrore di un
popolo continuamente soggetto alla violenza dell’aggressione
militare israeliana, per corromperne la dignità, l’umanità,
il senso di giustizia e di appartenenza ad un’unica nazione
palestinese e gettarlo nel pozzo senza fondo dello scontro
fratricida, della faida e della vendetta tra gruppi di potere ormai
scissi dal cordone ombelicali che li univa alla stessa madre
Palestina.
In
nome di tutto ciò, noi non potremo essere “Amici” di chi,
facendosi scudo di un’organizzazione qual è l’OLP, che
alla luce delle elezioni del gennaio 2006 non può più
essere considerata rappresentativa di tutto il popolo palestinese in
lotta per la propria “liberazione”, azzera con un colpo di spugna
l’abbozzo di esperienza di un governo di “unità nazionale”
appena costituito, dichiarandolo decaduto, ed impone uno stato di
emergenza al fine di reprimere con forza gli avversari politici.
Le
decisioni adottate forniranno infatti ad Abu Mazen e a Mohammed
Dahlan la gestione di un potere pressochè assoluto che
dovrebbe durare fino al lontano momento in cui sarà possibile
indire finalmente nuove elezioni che diano però garanzia di
ravvedimento da parte del popolo palestinese:
il
nuovo governo non potrà essere costituito che da marionette
che siano disponibili ad accettare il compito di imporre il volere
degli USA, dell’UE, del quartetto e, specialmente, di Israele, in
quella minima porzione di Territorio che conserverà ancora il
nome di Palestina.
Le ipoteche sulla Palestina
Comunicato del Forum Palestina
I drammatici sviluppi della situazione e i violentissimi scontri interni allo scenario politico palestinese, devono essere valutati nella loro interezza e nelle loro possibili conseguenze.
1.. Le responsabilità di quanto accaduto pesano enormemente sulla cosiddetta "comunità internazionale" e in modo particolare sull'Unione Europea (compreso il governo italiano), che ha assecondato la politica di strangolamento dei Palestinesi voluta da USA e Israele. Aver contribuito con l'embargo ad affamare la popolazione e a demolire quel minimo di struttura statale nei Territori Palestinesi - assecondando l'assedio di Arafat prima e la delegittimazione del governo palestinese poi, sistematicamente perseguiti da Israele - ha prodotto quella "africanizzazione" della realtà palestinese che ha aperto la strada alla ingovernabilità di Gaza. Il degrado, la miseria, l'assedio hanno prodotto l'autonomizzazione di gruppi e clan che hanno sostituito le istituzioni nella soluzione dei problemi della vita quotidiana di quasi un milione di persone rinchiuse in quella prigione a cielo aperto che è Gaza. La cinica ostinazione con cui Unione Europea e Stati Uniti hanno impedito al governo palestinese democraticamente eletto di fare fronte alle esigenze della popolazione, ha volutamente mirato a questo risultato.
2.. L'attuale frammentazione dello scenario politico palestinese spazza via definitivamente l'inganno e le ambiguità del processo negoziale di Oslo e il conseguente ruolo dell'ANP, attraverso la quale si è cercato di liquidare l'OLP come organismo unitario della lotta di liberazione palestinese, rappresentativo sia della popolazione dei Territori Occupati che dei milioni di Palestinesi della diaspora e del loro diritto al ritorno. In questo processo, le responsabilità principali sono di Al Fatah, che è stata la maggiore organizzazione e la fondatrice dell'OLP ma che si è prestata a tale operazione. Nonostante le pressanti richieste dei suoi militanti migliori, a partire dai dirigenti detenuti nelle carceri israeliane, la mancata autoriforma interna di Al Fatah, che non ha più convocato il suo congresso, non ha orientato i suoi militanti e soprattutto non ha voluto fare piazza pulita dei corrotti e dei collaborazionisti filo-israeliani al suo interno, hanno portato ad una crisi di credibilità profonda e per molti versi irreversibile. Oggi l'unica soluzione possibile sarebbe lo scioglimento dell'ANP, la conseguente denuncia degli accordi di Oslo (mai rispettati dagli occupanti israeliani) e la convocazione del congresso di Al Fatah che spazzi via la sua attuale direzione politica e riconsegni quell'organizzazione al suo ruolo storico di movimento di liberazione del popolo palestinese, accanto alle altre forze della resistenza.
3.. Nella specifica situazione di Gaza, la decisione di Abu Mazen e di Al Fatah di forzare la mano, affidando nuovamente nei mesi scorsi la sicurezza della Striscia ad un personaggio inviso come Mohammed Dahalan, è stata una scelta sciagurata che ha privilegiato l'idea di sostituire una credibilità perduta con manipoli di uomini armati e finanziati da U.S.A., Egitto e Israele. Questa decisione ha legittimato e scatenato la reazione delle correnti più estreme di Hamas, che hanno avuto gioco facile nella contrapposizione politica, morale e militare con Al Fatah a Gaza, dove il suo volto era rappresentato da personaggi come Dahlan, il cui ruolo di collaborazionista, torturatore e corrotto speculatore non era e non è sconosciuto a nessuno.
4.. Oggi si affaccia concretamente il rischio che i Territori Palestinesi si trasformino in bantustans separati tra loro. Esiste cioè il pericolo che il progetto coloniale israeliano si realizzi pienamente con la divisione dei Palestinesi tra Gaza, due enclavi in Cisgiordania e un ghetto sempre più ridotto a Gerusalemme Est.
Questa prospettiva viene oggi invocata da tutti i circoli sionisti più aggressivi e non trova proposte alternative da parte della cosiddetta comunità internazionale, che anzi sembra pronta a collaborare per la realizzazione di questo scenario, con il dispiegamento di una forza militare multinazionale a Gaza, irresponsabilmente evocato tempo fa dal ministro D'Alema ed oggi rilanciato dal premier israeliano Olmert e da Javier Solana per l'Unione Europea (con accezioni diverse tra loro). Questa forza non avrebbe altro compito che quello di gendarmeria antipalestinese ed è stata giustamente respinta sia da Mustafà Barghouti sia da Hamas come forza occupante da trattare di conseguenza.
5.. E' bene che questa situazione venga tenuta presente dai tanti, troppi che nel nostro Paese hanno subito la fascinazione dell'intervento in Libano e potrebbero ripetere lo stesso errore sostenendo quello a Gaza. A costoro chiediamo quale pensano possa essere la reazione di una popolazione che subisce da oltre un anno l'affamamento provocato dall'embargo cui è stata sottoposta per non aver votato come volevano a Washington e Tel Aviv: come si pensa verrebbero accolti dai Palestinesi i soldati dei governi, come quello italiano, che hanno contribuito alla disperazione ed alla miseria di Gaza e dell'intera Palestina?
6.. Infine, la situazione sul campo, se da un lato ipoteca fortemente le prospettive di decenni di lotta di liberazione dei palestinesi, dall'altro sposta in avanti le soluzioni possibili, mettendo fine all'ipocrisia dei "due Stati per due popoli" e ponendo nuovamente alla discussione la prospettiva di "un solo Stato, laico, democratico e multietnico", fondato sul concetto di cittadinanza piuttosto che su quello di sangue e religione, uno Stato modernamente inteso che ponga fine, almeno in quell'area, all'orrore storico degli stati confessionali ed etnicamente puri.
Il Forum Palestina in questi anni si è assunto la responsabilità di tenere la questione palestinese dentro l'agenda politica dei movimenti e nel nostro Paese, di impedire con ogni mezzo la liquidazione della "seccatura palestinese" nel dibattito e nell'azione politica della sinistra italiana. Riteniamo che oggi questo compito non sia affatto esaurito, semmai è più drammatico ed urgente. Per questo invitiamo tutte le realtà che in questi anni hanno animato la rete nazionale attivatasi intorno al Forum Palestina ad incentivare le occasioni di confronto e di iniziativa. Anche se il vuoto lasciato dalla scomparsa di Stefano Chiarini non sarà facile da riempire, riteniamo di dovere e potere mantenere gli impegni e il lavoro intrapreso in questi anni, con il contributo di tutti gli amici del popolo palestinese, della pace e della giustizia.
Il Forum Palestina