giovedì 1 maggio 2025   
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Medio Oriente » P Chiarini - Angelo Stefanini  

Prima di leggervi  questa relazione del prof.  Angelo Stefanini
…vorrei invitarvi ad un piccolo esercizio…recuperate dal presente o dai ricordi l’immagine di un ragazzino…ha una età compresa tra 11-12 anni e i 16-17…scegliete liberamente… un parente, un conoscente, un vostro amichetto d’infanzia o dei vostri figli, o se preferite voi stessi…è un’età tanto difficile: dove in ogni parte del mondo si possono fare cose sbagliate, cose stupide, anche molto gravi…ma dove la responsabilità per quei gesti non può mai ricadere completamente su chi li compie…perché sono BAMBINI…e specie per chi cresce in una terra come la Palestina dove da generazioni è sconosciuto il senso pieno dei vocaboli “pace e libertà”…se volete…prendete per mano quel bambino e fatelo accomodare al vostro fianco…


“Bambini Palestinesi nelle carceri militari israeliane”

“Il test di una democrazia sta nel trattamento riservato ai detenuti, alle persone in carcere, e in modo particolare ai minori”
Lo dichiarava nel gennaio del 2012 Mark Regev, portavoce del Primo Ministro israeliano Benyamin Netanyahu. Un recentissimo rapporto dell’Unicef, basato su oltre 400 casi documentati di detenzioni e maltrattamenti di giovani detenuti, mette in serio dubbio il livello di democrazia esistente in Israele.
Il rapporto afferma: “i minori palestinesi che entrano in contatto con il sistema di detenzione militare israeliano sono sottoposti a maltrattamenti molto diffusi, sistematici e istituzionalizzati.
Negli ultimi dieci anni, circa 7000 minori palestinesi di età compresa tra dodici e quattordici anni sono stati arrestati, interrogati, perseguiti e/o imprigionati all’interno del sistema di giustizia militare israeliana; una media di 700 bambini l’anno, due al giorno. L’analisi dei casi monitorati da Unicef ha identificato esempi di pratiche che equivalgono a trattamenti crudeli, inumani o degradanti secondo la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e la Convenzione contro la Tortura.
Il documento, dopo una breve introduzione al contesto giuridico e alla struttura del sistema detentivo israeliano, racconta con scarno ma raggelante realismo la spaventosa esperienza di un adolescente palestinese qualunque, in genere accusato di aver lanciato sassi contro un veicolo militare israeliano.


L’Arresto
Una massiccia pattuglia di militari armati irrompe in casa nel cuore della notte svegliando tutti di soprassalto. Dopo una furiosa ricerca, spesso accompagnata dalla devastazione di mobili e oggetti, il giovane sospettato è legato ai polsi, e con gli occhi bendati, in preda al terrore viene strappato alla famiglia. E’ molto giovane, spesso sui 14-16 anni di età. Alcuni arresti si effettuano nelle vie attorno a casa, oppure nei pressi delle strade riservate ai coloni israeliani o altri ancora ai posti di blocco dell’esercito all’interno della Cisgiordania.
L’esperienza è devastante, tra urla e minacce verbali, e membri della famiglia costretti a rimanere fuori casa in camicia da notte mentre il giovane viene portato via con la violenza. Sono vaghe le spiegazioni fornite dalle autorità come: ”vieni con noi, lo riportiamo più tardi”, o semplicemente che il giovane è “ricercato”. Raramente gli astanti sono informati di dove l’arrestato verrà condotto, il motivo e fino a quando. Senza potere salutare i genitori ne rivestirsi in modo adeguato, il bambino è caricato su una jeep, bendato, costretto a sedersi sul pavimento del veicolo e spesso colpito con pugni e calci mentre viene legato.
Il viaggio verso il luogo dell’interrogatorio può durare da un’ora ad una intera giornata e solitamente comprende delle soste in insediamenti colonici o basi militari dove il giovane prigioniero può aspettare ore ed ore, a volte anche un giorno intero, senza cibo ne acqua e senza accesso al bagno. Durante queste fermate molti ragazzini vengono visitati da personale medico, ad alcuni rimosse le bende agli occhi, ma sempre con blando interesse al loro stato di salute. Anche nel caso di corpi con evidenti segni di abusi, è molto raro che ricevano adeguata attenzione medica. Poi di nuovo con occhi bendati, i bambini sono quindi condotti al luogo definitivo dell’interrogatorio.
In queste fasi nessun bambino è accompagnato da un avvocato o un famigliare, nonostante l’articolo 37 d della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia preveda che: “Ogni bambino privato della sua libertà deve avere rapido accesso ad assistenza legale o ogni altra assistenza adeguata”. Nonostante quanto affermato dall’articolo 37, i prigionieri raramente sono informati dei loro diritti, in particolare del diritto di non auto accusarsi.
Non è prevista alcuna supervisione esterna a garanzia dei diritti minorili durante l’interrogatorio. Spesso le intimidazioni si fondono a isolamento, violenze fisiche e minacce di morte e di abusi sessuali sia verso loro stessi, che i loro famigliari, con il chiaro intento di costringerli a confessare. Durante l’interrogatorio i prigionieri sono legati, in alcuni casi alla sedia su cui siedono. Questa posizione viene fatta mantenere a forza, per lunghi periodi di tempo, e conseguente dolore a mani, schiena e gambe. Alla fine, la maggior parte dei prigionieri ammette tutto ciò di cui erano accusati (di solito di “lancio di sassi”) e firma la confessione su di un modulo in ebraico, nella maggioranza dei casi senza la minima idea di quanto sia in esso contenuto.
Alcuni bambini vengono rinchiusi in celle d’isolamento per un periodo da due giorni a un mese prima dell’udienza e dopo la condanna. Esperienze che generano un impatto così devastante sulla loro giovane psiche che il Rapporto Unicef marchia queste pratiche come crudeli e disumane.

L’Udienza e la Sentenza
Dopo l’interrogatorio il piccolo imputato è in genere condotto davanti a un tribunale militare per l’udienza. Entra in aula con manette ai polsi, catene alle gambe e indosso l’uniforme carceraria. Tutto questo è in contrasto con le norme minime per il trattamento dei detenuti, che prevedono di non utilizzare catene e ceppi, mentre altre forme di contenzione devono essere usate solo in determinate, limitate circostanze. Il giovane incontra per la prima volta il proprio avvocato nel tribunale militare per minorenni e la sua custodia cautelare può essere estesa, contrariamente a quanto prescritto dalle norme internazionali, fino ad un periodo di 188 giorni, 6 mesi. In ulteriore violazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia non esiste in pratica alcuna possibilità di rilascio su cauzione.
Non tutti i legali hanno un facile accesso alla necessaria documentazione militare e alla legislazione criminale di Israele poiché non sempre disponibili in lingua araba, come invece richiesto dal diritto internazionale. Gli avvocati difensori palestinesi non godono a cospetto delle procure del trattamento paritario vitale per garantire un processo equo ai propri giovani assistiti.
Infine, arriva la sentenza, quasi sempre molto severa. Due delle carceri dove la maggior parte dei bambini palestinesi sconta la pena si trovano, in violazione della Convenzione di Ginevra, all’interno di Israele, il paese occupante. In termini pratici, questo rende molto difficili, e in alcuni casi impossibili, le visite dei familiari: i regolamenti vietano ai palestinesi della Cisgiordania di viaggiare all’interno di Israele, e i tempi necessari per il rilascio di un permesso acuiscono tali difficoltà. Secondo l’articolo 37(c) della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, un bambino ”ha il diritto di mantenere i contatti con la sua famiglia per mezzo di corrispondenza e di visite, tranne che in circostanze eccezionali”. La carcerazione dei piccoli prigionieri ha su di loro ovvi effetti deleteri nel lungo termine. Tagliato fuori dalla sua famiglia, a volte per mesi, la detenzione provoca ad un bambino un profondo stress emotivo, oltre a violare il diritto del giovane alla istruzione.
I piccoli palestinesi accusati di reati seguono un iter giudiziario molto diverso dai loro coetanei israeliani: mentre i primi sono processati in tribunali militari ai sensi della legislazione militare israeliana, i bambini israeliani fruiscono del diritto penale e civile israeliano che naturalmente offre loro ben maggiori garanzie.


…In conclusione…
Non è la prima volta che organismi internazionali denunciano il maltrattamento di bambini palestinesi detenuti dall’esercito israeliano. Preoccupazioni in merito erano state sollevate nel luglio 2012 dalla Commissione speciale delle Nazioni Unite sulle pratiche israeliane nei Territori occupati: “Secondo le testimonianze raccolte, Israele pratica l’isolamento nel 12% dei bambini palestinesi detenuti”.
Un rapporto di Defence for Children International (DCI) dell’aprile 2012 dal titolo “Legati, bendati e imprigionati” rivelava come, su 311 testimonianze giurate raccolte tra il 2008 e il 2012, il 75% dei detenuti palestinesi dai dodici ai diciassette anni di età subivano maltrattamenti durante l’arresto, gli interrogatori e la detenzione in attesa di giudizio.
Come raccomanda un editoriale del Lancet, “Le autorità militari israeliane devono immediatamente adottare e far rispettare le raccomandazioni (dell’Unicef). I bambini palestinesi prigionieri devono essere trattati in conformità con il diritto e gli standard internazionali, con divieto assoluto di tortura e di tutte le forme di altri maltrattamenti, senza eccezioni”.
Commenta amaramente il giornalista israeliano Gydeon Levy rivolgendosi ai suoi connazionali: “Tutto questo avviene in un paese dove i bambini sono considerati una fonte di gioia, in cui la preoccupazione per il loro benessere è la massima priorità. Tutto questo accade nel vostro paese, a meno di un’ora dalle stanze da letto dei vostri figli.”


Angelo Stefanini, Centro Salute Internazionale, Università di Bologna.

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