Palestina: ''Peggio
dell'apartheid''
Gideon Levy - Haaretz
Una ventina di attivisti per i
diritti umani provenienti dal Sud Africa hanno visitato Israele.
Pensavo che si sentissero a casa propria, ma hanno detto che non
c'era paragone: per loro il regime dell'occupazione israeliana è
peggiore di qualunque avessero conosciuto sotto l'apartheid
di Gideon Levy
Haaretz, 10
luglio 2008
Pensavo che si sentissero a casa propria nei
vicoli del campo profughi di Balata, nella Casbah e al posto di
blocco di Hawara. Ma hanno detto che non c'era paragone: per loro il
regime dell'occupazione israeliana è peggiore di qualunque
avessero conosciuto sotto l'apartheid. Questa settimana, 21 attivisti
per i diritti umani, provenienti dal Sud Africa, hanno visitato
Israele. Fra loro, vi erano appartenenti all'African National
Congress (Anc) di Nelson Mandela; almeno uno aveva preso parte
alla lotta armata, e almeno due erano stati in carcere. Vi erano due
giudici della Corte Suprema del Sud Africa, un ex vice-ministro,
parlamentari, avvocati, scrittori e giornalisti; neri e bianchi,
almeno la metà ebrei, oggi in conflitto con l'atteggiamento
conservatore della comunità ebraica nel loro Paese. Alcuni
erano stati qui in precedenza, per altri era la prima visita.
Per
cinque giorni sono stati a visitare Israele in modo anticonformistico
-- senza Sderot, l'esercito e il ministero degli Affari esteri (ma
con Yad Vashem, il monumento allo sterminio, e un incontro con la
presidente della Corte suprema, la giudice Dorit Beinisch). Hanno
passato la maggior parte del tempo nelle aree occupate, dove quasi
nessun ospite ufficiale va - nei luoghi evitati pure dalla maggior
parte degli israeliani.
Il lunedì hanno visitato
Nablus, la città più imprigionata della Cisgiordania;
da Hawara alla Casbah, dalla Tomba di Giuseppe al monastero del Pozzo
di Giacobbe. Si sono spostati da Gerusalemme a Nablus con
l'autostrada 60, osservando i villaggi imprigionati che non hanno
accesso alla strada principale, e vedendo le "strade per gli
indigeni", che vi passano sotto. Hanno visto e non hanno detto
alcunché. Non c'erano strade separate, sotto l'apartheid. Sono
passati, muti, attraverso il posto di blocco di Hawara: non avevano
mai avuto barriere di quel tipo.
Jody Kollapen, che dirigeva
gli Avvocati per i diritti umani nel regime dell'apartheid, osserva
in silenzio. Vede la "giostra" in cui si schiacciano masse
di persone che vanno al lavoro, a vedere la famiglia o all'ospedale.
Neta Golan, che è vissuta per diversi anni nella città
assediata, spiega che solo l’un per cento degli abitanti ha il
permesso di lasciare la città in auto; si sospetta che siano
dei collaborazionisti con Israele. Nozizwe Madlala-Routledge, ex
vice-ministro della difesa e della sanità, attualmente
parlamentare, figura riverita nel suo Paese, è colpita dal
vedere un ammalato portato in barella. "Privare la gente di cure
mediche umane? Sapete, si muore, per quello", dice
sottovoce.
Le guide del tour - attivisti palestinesi -
spiegano che Nablus è isolata da sei posti di blocco; fino al
2005, uno era aperto. "Si suppone che vi siano motivi di
sicurezza per i posti di blocco, ma chiunque voglia perpetrare un
attacco può pagare 10 shekel per un taxi e percorrere
circonvallazioni, o camminare sulle colline. Il vero scopo è
rendere la vita difficile agli abitanti. La popolazione civile
soffre", dice Said Abu Hijla, lettore all'Università
Al-Najah, nella città.
Nell'autobus, faccio conoscenza
con i mie due vicini: Andrew Feinstein, figlio di sopravvissuti allo
sterminio, che ha sposato una musulmana proveniente dal Bangladesh,
ed è stato parlamentare per sei anni per l'Anc; e Nathan
Gefen, che ha come partner un uomo musulmano, e che da giovane
apparteneva al movimento di destra Betar. Nel suo Paese, devastato
dalla malattia, Gefen è attivo nel Comitato contro
l'Aids.
"Guardate a sinistra e a destra", spiega la
guida, con l'altoparlante, "sulla cima di ogni collina, sul
Gerizim e sull'Ebal, c'è un avamposto dell'esercito israeliano
che ci osserva". Qui ci sono fori di proiettili nel muro di una
scuola e c'è la Tomba di Giuseppe, sorvegliata da un gruppo di
poliziotti palestinesi armati. Qui c'era un posto di blocco, e qui è
dove è stata uccisa una passante a cui avevano sparato, due
anni fa. L'edificio governativo che c'era qui è stato
bombardato e distrutto da aerei da guerra F-16. Mille abitanti di
Nablus sono stati uccisi nella seconda intifada: novanta
nell'Operazione scudo difensivo, più che a Jenin. Due
settimane fa, il giorno che è entrata in vigore la tregua
nella Striscia di Gaza, Israele ha compiuto quelli che, ad oggi, sono
i suoi due ultimi assassinii. La notte scorsa i soldati sono di nuovo
entrati, arrestando gente.
È passato molto tempo, da
quando qui ci sono stati turisti in visita. C'è qualcosa di
nuovo: gli innumerevoli poster-memoriali, attaccati ai muri per
commemorare i caduti, sono stati sostituiti, in ogni angolo della
Casbah, da monumenti di marmo e da placche di metallo.
"Non
gettate la carta nel gabinetto, perché manca l'acqua",
dicono agli ospiti negli uffici del Comitato popolare della Casbah,
posto in alto, in un edificio spettacolare, di pietra vecchia. L'ex
vice-ministro si siede a capotavola. Dietro di lei ci sono ritratti
di Yasser Arafat, Abu Jihad e Mrwan Barghouti, il leader dei Tanzim,
in carcere. Rappresentanti dei residenti nella Casbah descrivono le
difficili esperienze a cui fanno fronte. Nell'antico quartiere, il
novanta per cento dei bambini soffrono di anemia e di malnutrizione,
la situazione economica è terribile, continuano le incursioni
notturne, e alcuni abitanti non sono autorizzati a lasciare la città
per alcun motivo. Usciamo per un giro sulla traccia delle
devastazioni compiute negli anni dall'esercito israeliano.
Edwin
Cameron, giudice nella Corte suprema d'appello, dice ai suoi ospiti:
"Siamo venuti qui con scarse conoscenze, e abbiamo sete di
sapere. Siamo colpiti da quanto abbiamo visto finora, ci è
molto chiaro che la situazione qui è intollerabile". Un
poster, attaccato a un muro esterno, ha la foto di un uomo che ha
trascorso 34 anni in un carcere israeliano. Mandela è stato in
prigione per sette anni di meno. Uno dei componenti ebrei della
delegazione è pronto a dire, purché non si faccia il
suo nome, che il paragone con l'apartheid è assai pertinente,
e che gli israeliani sono persino più efficienti
nell'implementare il regime di separazione razziale di quanto non
fossero i Sud Africani. Se lo affermasse pubblicamente, sostiene,
sarebbe attaccato dagli appartenenti alla comunità
ebraica.
Sotto un albero di fichi, nel centro della Casbah,
uno degli attivisti palestinesi spiega: "I soldati israeliani
sono vigliacchi. È per questo che hanno creato vie per
spostarsi con i bulldozer. Nel far ciò, hanno ucciso con i
bulldozer tre generazioni di una famiglia, gli Shubi". Qui c'è
il monumento in pietra alla famiglia - nonno, due zie, mamma e due
bambini. Sulla pietra sono incise le parole "Non dimenticheremo
mai, non perdoneremo mai".
Non meno bello del famoso
Pere-Lachaise, a Parigi, il cimitero centrale di Nablus riposa
all'ombra di un bosco di pini. Fra le centinaia di pietre tombali,
spiccano quelle delle vittime dell'intifada. Qui c'è la
sepoltura fresca di un ragazzo ucciso alcune settimane fa al posto di
blocco di Hawara. I sudafricani camminano silenziosamente fra le
tombe, fermandosi davanti a a quella di Abu Hijla, madre della nostra
guida; era stata raggiunta da 15 proiettili. "Non ci
arrenderemo, te lo promettiamo", hanno scritto i bambini sulla
sua lapide; era conosciuta come "madre dei poveri".
Il
pranzo è in un albergo della città, e parla
Madlala-Routledge. "È difficile per me descrivere quel
che sento. Quel che vedo qui è peggiore di quello che abbiamo
sperimentato. Ma mi dà coraggio trovare che qui ci sono dei
coraggiosi. Vogliamo sostenervi nella lotta, con ogni mezzo
possibile. C'è un discreto numero di ebrei nella nostra
delegazione, e siamo molto orgogliosi che siano stati loro a condurci
qui; dimostrano il loro impegno a sostenervi. Nel nostro Paese siamo
stati capaci di unire tutte le forze in una sola lotta, e fra di noi
vi erano bianchi coraggiosi, ebrei compresi. Spero che vedremo più
ebrei israeliani unirsi alla vostra battaglia".
È
stata vice-ministro alla difesa dal 1999 al 2004; nel 1987 era stata
in carcere. Più tardi, le ho chiesto in quali modi la
situazione qui è peggiore dell'apartheid. "L'assoluto
controllo sulla vita delle persone, la mancanza di libertà di
movimento, la presenza dell'esercito dappertutto, la separazione
totale e le ampie distruzioni che abbiamo visto".
Madlala-Routledge
pensa che la lotta contro l'occupazione non abbia successo qui a
causa del sostegno Usa per Israele: con l'apartheid, che le sanzioni
internazionali hanno contribuito a distruggere, il caso era diverso.
Qui, l'ideologia razzista è anche rinforzata dalla religione;
in Sud Africa non era così. "Discorsi sulla 'terra
promessa' e il 'popolo eletto' aggiungono una dimensione religiosa,
che noi non avevamo, al razzismo".
Egualmente aspre sono
le osservazioni del caporedattore del Sunday Times del Sud
Africa, Mondli Makanya, di 38 anni. "Quando osservi da lontano
sai che qui va male, ma non sai quanto male. Nulla può
prepararti a quanto abbiamo visto qui. In un certo senso, è
peggiore, peggiore, peggiore, di tutto quel che abbiamo sopportato.
Il livello di discriminazione, il razzismo e la brutalità sono
peggiori di quelli del periodo più cupo dell'apartheid.
Il
regime dell'apartheid considerava i neri inferiori; io penso che gli
israeliani non considerino affatto i palestinesi esseri umani. Come
può il cervello di un uomo architettare questa separazione
totale, le strade separate, i posti di blocco? Quel che abbiamo
passato era terribile, terribile, terribile - e tuttavia non c'è
paragone. Qui è più terribile ancora. Noi sapevamo
anche che un giorno sarebbe finito; qui non c'è una fine in
vista. L'uscita dal tunnel è nerissima.
Sotto
l'apartheid, vi erano posti in cui bianchi e neri si incontravano.
Gli israeliani e i palestinesi non si incontrano più affatto;
la separazione è totale. Mi sembra che agli israeliani
piacerebbe che i palestinesi sparissero. Nel nostro caso, non c'è
mai stato alcunché del genere: i bianchi non volevano che i
neri si dileguassero. Ho visto i coloni a Silwan [a Gerusalemme Est]
persone che vogliono espellerne altre, dalle loro case".
Dopo
abbiamo camminato in silenzio per i vicoli di Balata, il più
grande campo profughi in Cisgiordania, indicato sessanta anni fa come
rifugio temporaneo per 5mila persone, che ora ne ospita 26mila. Nei
vicoli scuri, ampî all'incirca quanto un individuo magro, vi
era un silenzio opprimente. Ognuno era immerso nei suoi pensieri, e
il silenzio era interrotto solo dalla voce del muezzin.
(Traduzione
di Paola Canarutto)