Sono le piccole cose a rendere tale
l'occupazione
testo originale: http://www.economist.com/world/africa/displaystory.cfm?story_id=8571800
18 gennaio
2007 GERUSALEMME E RAMALLAH
Dall'edizione
cartacea di The Economist
Gli inconvenienti, apparentemente di
scarsa importanza, che rendono la vita un inferno
Durante il 2006, secondo B'Tselem,
un'organizzazione israeliana per i diritti umani, l'esercito di Israele ha
ucciso 660 palestinesi, almeno la metà dei quali erano dei passanti senza alcuna
colpa; di questi, 141 avevano meno di18 anni. Nello stesso periodo, i
palestinesi hanno ucciso 17 civili e sei soldati israeliani. Sono questi dati,
come i bombardamenti, le demolizioni di case, i raid a scopo di arresto, le
confische di terreni, a costituire i titoli di testa, nel conflitto
israeliano-palestinese. Ciò che raramente raggiunge i media, ma costituisce la
base della conversazione quotidiana fra palestinesi, sono le innumerevoli
piccole restrizioni che ostacolano la vita della maggior parte di loro,
strangolano l'economia e versano costantemente benzina sul fuoco degli
estremisti.
Di queste norme, una delle
caratteristiche più paralizzanti è l'arbitrarietà. Nessuno può prevedere come
andrà uno spostamento. Molte delle strade cisgiordane principali, per il bene
dei coloni israeliani, sono vietate ai veicoli palestinesi - fra quelle di
connessione nord-sud, questi possono transitare solo su una, ad esempio - e le
restrizioni cambiano di frequente. Così come cambiano di frequente le norme a
proposito di chi può attraversare i posti di blocco che dividono effettivamente
la Cisgiordania in un certo numero di regioni semi-connesse (vedere la
cartina).
Un nuovo ordine, che avrebbe dovuto
diventare esecutivo questa settimana, avrebbe proibito alla maggior parte degli
abitanti della Cisgiordania di spostarsi in auto con targhe israeliane, e quindi
di ricevere passaggi da parenti ed amici dei 1.600.000 palestinesi che sono
cittadini di Israele, così come da operatori umanitari, giornalisti, altri
stranieri. L'esercito ha deciso di sospenderne l'applicazione dopo proteste da
gruppi per i diritti umani, che sostenevano che avrebbe attribuito ai soldati
poteri arbitrari enormi - ma non l'ha revocato.
Gran parte degli abitanti del nord
della Cisgiordania, e di città specifiche, come Nablus e Gerico, semplicemente
non sono autorizzati a lasciare la zona di residenza senza permessi speciali,
che non sono sempre facili da ottenere. Se possono spostarsi, il tempo trascorso
nell'attesa ai posti di blocco, che varia da minuti ad ore, dipende dall'ora del
giorno e dall'umore dei militari. Un viaggio fra città che altrimenti
disterebbero meno di un'ora di guida può essere punteggiato da diversi posti di
blocco. Questi si muovono e si spostano ogni giorno, mentre le jeep
dell'esercito aggiungono imprevedibilità e seccature fermandosi e creandone di
mobili, ad hoc, in vari luoghi.
Secondo l'Ufficio ONU di
Coordinamento delle Questioni Umanitarie (OCHA), il numero di questi ostacoli è
aumentato: erano 376 nell'agosto del 2005, quando l'OCHA e l'esercito israeliano
avevano compiuto insieme un conteggio, hanno raggiunto i 534 a metà dicembre.
Quando il mese scorso Ehud Olmert, il primo ministro israeliano, aveva
acconsentito ad allentare le restrizioni ad alcuni dei posti di blocco, come
concessione a Mahmoud Abbas, il presidente palestinese, gli attivisti per i
diritti umani avevano riportato che non solo molti continuavano a funzionare
come prima - ma che, vicino a quelli in cui erano stati ridotti i controlli, ne
erano ora operativi invece di mobili, causando interruzioni e fastidi ancora
peggiori.
Talvolta è difficile cercare di
capire la logica del regime dei posti di blocco. Un percorso da Ramallah, la
capitale amministrativa palestinese, a Gerusalemme, implica un'accurata
ispezione dei documenti, mentre su un altro i soldati - se sono al loro posto -
danno solo un'occhiata a chi viaggia in auto per vedere se ha l'aspetto arabo.
La legge di Israele proibisce rigorosamente ai cittadini israeliani di visitare
le principali città palestinesi, ma questi possono recarsi direttamente in auto
a Ramallah ed a Hebron senza alcuna discussione, mentre altre città, come Gerico
e Nablus, restano impermeabili. In molte località, la barriera che Israele
costruisce in Cisgiordania a scopo di sicurezza (secondo i palestinesi, però,
per appropriarsi di altri terreni), è monitorata con tutta l'attenzione di un
confine internazionale, mentre, intorno a Gerusalemme, l'esercito chiude un
occhio sulle centinaia di persone che, nel pendolarismo quotidiano, scivolano
tra le fenditure del muro.
A causa delle restrizioni agli
spostamenti interni, chi vuole traslocare da una città palestinese all'altra per
motivi di lavoro o di studio deve registrare il cambio dell'indirizzo, per
essere sicuro di poter risiedere lì. Ma non può. Il registro israeliano della
popolazione, che rilascia tanto le carte di identità palestinesi quanto quelle
israeliane, ai palestinesi di nuove ne ha fornite pochissime, da quando, nel
2000, è iniziata la seconda intifada. E questo significa anche che non si può
cambiare indirizzo. Ai palestinesi provenienti dall'estero, ciò rende altresì
praticamente impossibile ottenere la residenza, non dico in Israele, ma neppure
nei territori occupati, che si presuppone costituiscano il loro futuro
stato.
Non abbondano le vie
d'uscita
Oltretutto, nell'ultimo anno diverse
migliaia di palestinesi che avevano richiesto la residenza in Cisgiordania, ed
abitavano lì con permessi turistici semestrali rinnovabili, sono pure diventati
residenti illegali, soggetti ad essere fermati ed espulsi ad un qualunque posto
di blocco - non per aver commesso alcunché, ma per il fatto che Israele ha
sospeso i rinnovi da quando, un anno fa, Hamas, il movimento fondamentalista
islamico, ha assunto il controllo dell'Autorità Palestinese (AP). (Israele
sostiene che il motivo è che l'AP non consegna le richieste).
Come gli israeliani, i palestinesi
che violano le norme stradali nelle autostrade cisgiordane devono pagare la
multa ad un ufficio postale o ad una stazione di polizia di Israele. Ma in
Cisgiordania gli unici uffici postali e le uniche stazioni di polizia sono in
colonie israeliane, inaccessibili alla maggior parte dei palestinesi senza un
permesso, raramente rilasciato. Se non pagano, però, perdono la patente la prima
volta che la polizia li ferma. Questo macchia anche la fedina penale - ciò che
quindi rende praticamente impossibile ottenere il permesso di entrare in
Israele.
Alcune delle norme sfociano
nell'assurdo. Un anno fa un'ordinanza militare, senza un chiaro motivo,
includeva nell'elenco delle piante selvatiche protette, in Cisgiordania, lo
za'atar, (issopo), un'erba abbondante, di consumo comune fra i palestinesi. Per
un certo periodo, i soldati ai posti di blocco ne hanno confiscato mazzi da
abitanti sbigottiti, che volevano semplicemente qualcosa che ravvivasse
l'insalata. Negli ultimi tempi non ci sono stati rapporti di confisca di
za'atar, ma, riferisce Michael Sfard, il consulente legale di Yesh Din,
l'ordinanza è tuttora in vigore. Nel raccontare la storia, cerca di non ridere.
Non c'è molto altro da fare.
(traduzione di Paola
Canarutto)