USCIRE DALL’ASSEDIO DI GAZA Bassam
Saleh
Non
ho alcun dubbio che, il compagno George Habash, quando ha chiuso gli
occhi per l’ultima volta, era soddisfatto, perché ha visto
crollare una parte del muro di Rafah, sotto la pressione dei
cittadini di Gaza e, con l’aiuto di pochi chili di esplosivo, è
stato rotto l’embargo. Gli assediati sono riusciti a rifornirsi del
necessario per continuare a vivere o meglio a sopravvivere. Il Hakim,
il medico Habash, che nel 1948 ha visto l’inizio della Nakba del
suo popolo, costretto a venti anni a lasciare la sua città
Lodd, come altre centinaia di migliaia di palestinesi, aveva
diagnosticato la malattia e anche la cura.
Come
liberare la terra usurpata con il ferro e con il fuoco, era la
risposta, in altre parole con la violenza rivoluzionaria, con
determinazione e fermezza.
Il
medico combattente, lo ricordano in tanti,oggi, nei campi profughi a
curare, gratis, e incitare alla resistenza. La sua scomparsa fisica
dalla scena politica palestinese è dolorosa, ma i suoi ideali,
la sua moralità e la sua determinazione, saranno sempre una
guida per tutti i palestinesi.
I
fatti di Gaza, inducono a una riflessione profonda. Certamente non ai
regimi arabi che ormai hanno legato il loro destino agli Stati Uniti,
ma ai popoli arabi in generale: fino a quando dovrete sopportare
questi regimi? In particolare, la riflessione, è rivolta al
movimento nazionale palestinese: fino a quando questa situazione di
divisione deve durare? Quando finirà questa noiosa ed
estenuante attesa di una soluzione internazionale che non arriva, e
non arriverà, in quanto il padrino di questa soluzione è
il protettore indiscusso di Israele e suo alleato strategico?
Il
movimento nazionale palestinese, e qui intendo, le organizzazioni
storicamente indipendenti, Fatah, Fplp, e Fdlp si rendono conto che è
ora di riprendere l’iniziativa, e tenere stretta la causa
nazionale, prima che cada definitivamente nelle mani dei gruppi
fondamentalisti? Sono convinto che, lo spazio di
movimento sta diventando molto stretto e bisogna fare presto, le
scommesse su Annapolis, e sulla generosità israeliana, non
hanno più credibilità, Israele non lascerà
Cisgiordania e Gerusalemme se non sarà costretto. Non c’e
più posto per altri illusioni.
Questo
invito per una svolta, non è nostalgia dei vecchi tempi di
Fatah, quando, Abu Jihad, Habash, Hawtmeh, Salah Khalf, insieme a
Arafat, caratterizzavano lo scenario politico palestinese e tenevano
salda l’unità nazionale; ma è il timore, del pericolo
che la divisione, riporti indietro i palestinesi all’epoca della
Nakba, e che quindi la Cisgiordania ritorni alla Giordania e Gaza
sotto mandato egiziano.
Israele
non ha potuto rimanere a Gaza e ora - dopo la breccia nel muro
- riconosce l’impotenza del suo embargo e scarica la responsabilità
(in quanto paese occupante) sull’Egitto. E’ una premessa per
spianare la strada e scaricare quel che rimane della
Cisgiordania sulla Giordania. La tattica israeliana, trova il suo eco
nei regimi arabi, nella comune paura dei movimenti fondamentalisti, e
nello stesso tempo raggiunge i suoi obiettivi tesi a cancellare la
causa palestinese dalla faccia della terra.
Di
fronte alla “chiara” strategia israeliana, il movimento nazionale
palestinese, non puo’ più rimanere congelato nella
burocrazia e nelle illusioni delle scommesse perdenti. Questo non
significa rompere il negoziato con Israele, ma cercare di armare il
negoziatore palestinese con un carta più forte: la resistenza,
dunque di non andare disarmato alle trattative, come un ospite
pesante e indesiderato in casa dell’occupante che non vede l’ora
di farlo fuori.
L’assenza
di un orizzonte politico della leadership, dell’autorità e
del governo palestinesi, evoca preoccupazione e paura. È
lecito domandarsi, fino a quando Abbas e Fayyad possono continuare
con le loro scommesse illusioniste? E fino a quando Fatah potrà
rimanere paralizzata, e messa fuori gioco da un piccolo ed estraneo
gruppo di dirigenti che non hanno mai militato dentro questa
organizzazione? L’annunciato congresso di primavera, potrà e
dovrà essere una rivoluzione interna, di cambiamento radicale,
che rimette in gioco uno dei principi fondamentale di Fatah l’unità
nazionale sintetizzato in: tutti i fucili contro il nemico, e
riprendere i suoi rapporti di trasparenza e onestà con le
masse, isolando e processando arrampicatori e opportunisti.
La
rinascita di Fatah è decisiva per tutto il laico movimento
nazionale palestinese ed è fondamentale per riprendere il suo
protagonismo nella lotta di liberazione nazionale. L’unità
nazionale implica una nuova strategia di resistenza, altrimenti,
rimane senza senso. E qui bisogna superare le discussione su
legittimità e legalità politica e coniugare le due
legittimità con la legalità politica. Nel caso
specifico non accettare le conseguenze del golpe di Hamas, che possa
diventare un precedente minaccioso, su tutto il sistema politico
palestinese. Allora, l’orizzonte per uscire dalla crisi è di
mettere in campo, appunto, un programma politico nazionale,
condiviso, che imponnga il retro marcia dal golpe, a favore di una
nuova strategia politica di lotta.
L’assenza
di un progetto politico nazionale di lotta, del movimento
palestinese, non avrà come conseguenza, la cristallizzazione
dello stato unico bi-nazionale, come sognano in tanti, ma al
contrario, mette in gioco l’opzione Giordana, e il ritorno di Gaza
sotto il controllo egiziano, il che vuol dire la fine della
possibilità di uno stato palestinese e la sepoltura della
identità e della causa palestinese.
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Forum Palestina