Pubblichiamo un articolo di Piero Maestri tratto
dal prossimo numero del notiziario di Sinistra Critica
sull’Afghanistan. Un articolo che cerca in modo sintetico di
riassumere la situazione in Afghanistan, i suoi risvolti e le future
strategie in gioco per quell’area del mondo.
VIA
DALL’IRAQ VIA DALL’AFGHANISTAN!
Dopo
quasi 5 anni dai primi bombardamenti statunitensi sull’Afghanistan,
questo paese non solo non è stato “pacificato e
stabilizzato”, ma la guerra e la violenza sono aumentate
gradualmente – così come il numero di morti anche civili –
e la guerriglia talebana e dei suoi alleati non è mai stata
così forte come in questi ultimi mesi.
La
situazione economica afgana non ha visto quasi nessun miglioramento,
ed è stretta tra la crescita della produzione e del commercio
dell’oppio e un intervento di organizzazioni internazionali e
non-governative che non producono in alcun modo sviluppo, ma
rischiano di favorire un processo di concentrazione dell’economia
nelle mani delle multinazionali straniere e dei signori della guerra.
Come scrive Elaheh
Rostami Povey
in “The reality of life in Afghanistan since the fall of
Taliban” (http://www.stateofnature.org/lifeAfghanistan.html):
“molti afgani sono preoccupati riguardo al futuro della propria
economia, basata su una combinazione di capitali stranieri e dei
signori della guerra”.
La
popolazione afgana continua a dover sopportare il peso di questa
situazione di miseria e guerra – soprattutto fuori da Kabul.
In
questo quadro nel mese di marzo si è avuta la notizia della
decisione statunitense di ritirare gran parte dei propri militari
dalla zona meridionale dell’Afghanistan, dove maggiore è la
pressione talebana. Questa decisione non rappresenta in alcun modo un
“disimpegno” dalla guerra in Afghanistan, ma un ridisegno della
propria strategia. E questa deve essere vista a tutto campo,
nell’insieme di quella regione che gli Usa amano definire “grande
medioriente”. L’amministrazione Bush sceglie quindi di
concentrare maggiormente la sua presenza su Kabul e nelle diverse
basi militari che si stanno consolidando in tutto il paese, e di
chiedere alla Nato un impegno maggiore direttamente in missioni di
combattimento.
Così
i governi canadese, olandese e – soprattutto – britannico hanno
già inviato oltre 7.000 soldati nel sud del paese per
sostituire il 2500 statunitensi.
Anche
l’Italia assume un ruolo sempre maggiore in Afghanistan, per ora
non in termini di un invio di altri soldati (che comunque sembrano
aver modificato le regole d’ingaggio, senza che questo sia passato
per un dibattito o perlomeno una seria informazione in Parlamento) ma
certamente riguarda l’invio di maggiori mezzi militari. In
particolare ci riferiamo alla notizia dell’invio di 6
cacciabombardieri Amx, che avranno il compito di supporto alle
missioni terrestri, anche nel quadro dell’operazione “Enduring
freedom”.
In
questo modo perde sempre più significato qualsiasi differenza
– alla quale non abbiamo mai creduto – tra una missione di guerra
e una di “peacekeeping”, e la Nato si trova a gestire
direttamente una missione di combattimento.
E’
altrettanto chiaro che la missione italiana è totalmente
inserita – come sempre in maniera subalterna – nella complessiva
strategia di “guerra permanente” degli Stati uniti,
dall’Afghanistan all’Iraq, con i rischi di un’estensione verso
nuove e ancora più pericolose avventure in Iran.
E’
quindi tenendo conto di questa cornice che deve essere collocata la
scelta di un ritiro dei soldati italiani dall’Iraq e
dall’Afghanistan: non è possibile pensare ad alcun ruolo
positivo delle forze armate italiane, perché queste agiscono
in sintonia con le strategie statunitensi e Nato, e ancora una volta
la “copertura” dell’Onu rappresenta solamente la foglia di fico
dietro la quale nascondere i reali interessi strategici e le reali
intenzioni statunitensi.
Non
possiamo credere a chi ci racconta che i militari italiani sono
necessari alla protezione della popolazione afgana e al processo di
democratizzazione, perché il proseguimento della guerra Usa, e
la sua alleanza con i fondamentalisti dell’Alleanza del Nord e i
signori della guerra stanno trascinando la popolazione afgana verso
un nuovo baratro.
Il
movimento contro la guerra in Italia ha manifestato fin dall’ottobre
2001 “contro la guerra senza se e senza ma” (cioè “con o
senza l’Onu”). E’ arrivato il momento di riprendere questa
iniziativa e chiedere ai parlamentari del centrosinistra una scelta
coraggiosa e necessaria: ritirarsi dall’Iraq e dall’Afghanistan,
per dare avvio ad una politica estera alternativa alle politiche di
guerra statunitensi ed europee.
Una
missione di guerra
La maggior parte dei militari italiani in
Afghanistan è inquadrata nella missione della Nato denominata
Isaf ma non solamente. Il contributo militare italiano è
complesso, e si dispiega dentro tutto il quadro della strategia
statunitense di “guerra preventiva e permanente”, che dal
novembre 2001 stanno portando avanti proprio a partire dall’invasione
dell’Afghanistan.
vediamo
allora nel dettaglio questa presenza italiana.
Missione
“Enduring freedom”
Attualmente
sono presenti oltre 250 uomini, dei quali 240 uomini imbarcati sulla
fregata "Euro" dal 1 febbraio 2006, che con la
ricostituzione del Gruppo Navale di Euromarfor è entrata a far
parte del Gruppo Navale di questa nell'ambito dell'Operazione
"Risolute Behaviour".
Secondo il sito del Ministero
della Difesa italiano, “i principali compiti svolti dalla nostra
unità sono essenzialmente i seguenti: operazioni di
interdizione e contrasto navale, in particolare nei confronti della
leadership di Al-Qaeda; controllo del traffico marittimo; scorta di
unità della coalizione”.
In
pratica questi militari agiscono come supporto alla missione di
guerra statunitense coprendola sul versante marittimo (in un’area
ampia che arriva fino all’Oceano indiano e alle coste del Corno
d’Africa).
E’
interessante ricordare che l’Euromarfor è una Forza Navale
Multinazionale nata nel 1995 e alla quale a cui partecipano Italia,
Francia, Spagna e Portogallo: una di quelle forze “europee” che
rappresentano la base di costruzione di una forza armata continentale
nel quadro della Nato.
Missione
Isaf
Si
tratta in questo caso di una missione della Nato autorizzata da una
risoluzione dell’Onu.
I
compiti ufficiali di questa operazione sono quelli di protezione e di
assistenza alla popolazione afgana.
Le
forze armate italiane partecipano alla missione Isaf dall’inizio
(2001). attualmente sono presenti nell’area di Kabul circa 1.450
militari.
In particolare 400 di questi sono inquadrati nel “Corpo
d'Armata di Reazione Rapida” della Nato (NRDC-IT), che ha il
proprio comando in Italia – a Solbiate Olona (VA), pochi chilometri
da Milano. In questa veste il Generale di Corpo d'Armata Mauro Del
Vecchio ha mantenuto la guida della missione Isaf a Kabul dall’agosto
2005 fino alla fine dell’aprile scorso.
In Afghanistan non manca
alcun arma italiana: esercito (con il reggimento “Ariete”),
marina (con i suoi elicotteri), aviazione e carabinieri, a cui si
aggiunge anche la Croce Rossa (che opera nel quadro della missione
militare).
Nel
marzo scorso il generale Castagnetti (notizia poi confermata dal
capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Leonardo
Tricarico) – durante un convegno organizzato
dall’Udc - annuncia che l’Italia avrebbe schierato in
Afghanistan 6 aerei da combattimento Amx, spiegando che sarebbero
serviti a “fotografare i campi di oppio”. E’ il segnale che la
presenza italiana non solo non sta per diminuire, ma che acquisterà
sempre più un carattere di guerra, conseguente alla scelta
statunitense di ridurre la propria presenza e affidare quindi alla
Nato il compito di combattere in Afghanistan.
Altro
che “riflessione” sulla missione italiana!