Il
film BOBBY sta riscuotendo molto interesse. Abbiamo così deciso di pubblicare
in contemporanea al nostro “classico” Ermanno anche la recensione di una nostra
attenta lettrice.
Il
ricordo di RFK per tornare a sperare
BOBBY
– voto : 5.5
di
Ermanno Bugamelli
Rileggendo la storia in una qualsiasi delle sue pagine, spesso non
riusciamo a sottrarci alla tentazione di chiederci quale diverso sviluppo gli
eventi avrebbero subito grazie ad un “SE”. Tra questi innumerevoli esempi, la
storia d’America ne conserva ancora uno, sospeso e fermo nel tempo, futile e
privo di concretezza come tutti gli altri, ma capace di ardere nel cuore di
tanti ancora oggi a quasi 40 anni di
distanza.
Quale diverso futuro avrebbe potuto seguire la storia Americana e
del mondo “SE” Robert Kennedy non fosse stato ucciso e con ogni probabilità
diventato Presidente degli Stati Uniti?
Emilio Estevez, regista attore nato a New York il 12 giugno del
1962, aveva quasi 6 anni quando sulle spalle del padre riuscì a stringere le
mani di Robert nel corso di una delle sue tante apparizioni tra la gente. Un
episodio che lo ha segnato ed emozionato per sempre. Il suo quarto film dietro
alla macchina da presa, è dedicato a questo statista così amato e mai
dimenticato.
E’ il 4 giugno 1968 e si svolgono in California le primarie del
Partito Democratico, tappa definita da tutti fondamentale per la corsa alla
Casa Bianca. Un appuntamento elettorale delicato visto che lo stesso Kennedy si
era dichiarato pronto ad abbandonare la sua candidatura in caso di sconfitta
contro il senatore Eugene McCarthy.
Il teatro della vicenda è l’Hotel Ambassador di Los Angeles,
quartiere generale dello staff di Robert, luogo in cui al termine della
conferenza stampa che sanciva la sua vittoria nella tornata di voti californiana,
fu vittima dei colpi di pistola di un
fanatico di origine araba, Sirhan Sirhan. Le gravi ferite riportate furono la
causa della sua morte dopo ore di agonia, il 6 giugno 1968.
Attraverso le storie di
22 personaggi che all’hotel lavoravano o soggiornavano, Estevez intendeva
ricostruire i sentimenti dell’America di quegli anni. Un crogiuolo di stati
d’animo, di paure, di sogni infranti o da realizzare, di speranze, di illusioni
e disillusioni, fuse alla rabbia e alle contestazioni sociali, ma immerse in
una smisurata ondata di bisogno e desiderio di cambiamento.
Tante storie, molti personaggi, un cast stellare. Un elenco
lunghissimo di prime firme del cinema americano si sono rese disponibili alla
realizzazione di questo progetto che il regista aveva in cantiere da anni:
Anthony Hopkins, Sharon Stone, Demi Moore, Helen Hunt, Martin Sheen, Elija
Wood, Lindsay Lohan, Christian Slater, William H.Macy sono solo alcuni.
Ho utilizzato il termine “intendeva” alcune righe fa, perché nel
complesso l’obbiettivo del progetto non è stato centrato, anche se alcuni
dettagli addolciscono la sostanziale bocciatura.
Le storie narrate, forse per troppa frammentazione, forse per
insufficiente incisività, finiscono per scalfire solamente il fine di scattare
una fotografia in profondità di cos’era l’America che aspettava Bobby. La
grande classe degli interpreti, ci regala momenti di grande emozione ( Sharon
Stone su tutti), ma isolati e insufficienti per parlare di un film all’altezza
delle attese e soprattutto delle intenzioni. Colpiscono le paure dei giovani,
capaci di sacrificare il sogno del matrimonio pur di sfuggire agli orrori di un
Vietnam oramai penetrato nella carne di un’intera generazione. Emoziona il
frustrante destino di una signora di mezza età, che getta tutta la sua passione
nel suo umile lavoro per farsi una ragione di una vita spesa al fianco
dell’uomo sbagliato, condizione comune per molte mogli, ancora più di ora,
condannate a rinunciare ai propri bisogni per salvaguardare il prestigio e il
buon nome del marito. Rivoli d’acqua
limpida che non bastano a rendere rigoglioso un terreno.
Estevez sceglie di lasciare ai filmati di repertorio il compito di
riportare in vita Robert Kennedy. Motiva la scelta con la difficoltà
d’individuare una figura in possesso del suo carisma e dell’aurea di “uomo
della gente”, capace di vestire i suoi panni sul set. Giustificazione anche
condivisibile, ma che finisce per delegare ad una sorta di documentario quelle
che sono tra le porzioni più coinvolgenti del film: le sequenze che rievocano i
suoi discorsi nei comizi e le tante immagini che vedono il politico a contatto
con le molteplici etnie che compongono
la società statunitense.
Un finale molto toccante ci mostra le drammatiche scene
dell’attentato con le parole di Bobby che le accompagnano. Parole tese ad unire
un popolo, a ridargli fiducia nel futuro, attraverso la solidarietà, la
compassione, il rifiuto alla discriminazione di ogni tipo. Parole lanciate
contro la violenza, di condanna all’uso delle armi come mezzo per regolare i
conflitti umani di ogni tipo, contro chi ha reso il Vietnam un luogo di morte.
Parole soffocate dalla sua scomparsa, ma che resteranno per sempre negli occhi
e nel cuore di chi in lui credeva, di chi con lui sperava in un futuro diverso.
Estevez non avrà fatto centro, ma gli va riconosciuto il merito di
aver riportato alla luce della memoria la grandezza di uno degli ultimi
statisti ricordati per il suo spessore morale, il suo carisma. Un uomo in grado
di riunire un america spaccata da un recente passato stracolmo di violenza ( le
morti del fratello John, di Martin Luther King, il Vietnam) e lacerata da
ingiustizie sociali e povertà.
Una via per condurci ad
una riflessione sul presente, costruito sulle rovine della presidenza Bush.
Allora come ora il paese è infangato in una guerra lontana condotta da uomini
che hanno mentito al loro popolo.
Un popolo che nel 1968, come oggi, non vuole più vedere i propri
ragazzi tornare avvolti nelle bandiere. Nonostante questo, Johnson il presidente 39 anni fa, era
ostinatamente convinto a portare altre migliaia di soldati in Vietnam,
esattamente come intende fare Bush in Iraq. Il tempo non ha insegnato nulla.
Quasi 40 anni di storia non sono bastati per trovare il rimedio ai
contrasti etnico religiosi, per costruire una società più equa dove anche i più
deboli siano tutelati.
L’America di oggi volge lo sguardo al suo passato perché il
ricordo di uomini come RFK, sia di stimolo alla speranza di un domani migliore.
Un futuro che non sia prigioniero di nessun “SE”.
BOBBY
di
Emanuela
1968.
Se non fosse per il cast d' eccezione e per le poche immagini di
repertorio - utilizzate più come collante che come punto di riferimento
- il film di Estevez non avrebbe “storia”
4
giugno 1968. All’’Hotel Ambassador di Los Angeles sono in atto i
preparativi per la serata d’onore della campagna elettorale del
senatore Robert Kennedy, avvenimento che si sarebbe tragicamente
concluso con il suo barbaro e agghiacciante assassinio In questo
contesto - ideale contenitore di una società americana in bilico fra l’
amarezza di un sogno infranto e la speranza di poter credere di nuovo
in una sua rinascita – s’intrecciano inconsapevolmente i percorsi umani
di 22 personaggi, tra ospiti e dipendenti dell’albergo, le cui
esperienze individuali di vita tratteggiano, riprodotto “nel piccolo”e
nel “personale”, il clima emozionale e politico in cui in quel momento
è immerso il Paese Ma l’ intenzione di raccontare l’ America degli anni
‘60 attraverso il corale intersecarsi casuale di “vite minime” quali
emblematiche rappresentazioni di grandi temi irrisolti - la guerra, il
razzismo, i diritti dei deboli, la difesa ambientale, la pace fra i
popoli, la speranza nel futuro - è disattesa dalla debolezza dell’uso
di un linguaggio filmico incolore sminuzzato privo di originalità
spesso incline alla retorica e mai capace di raggiungere la forza
comunicativa di quello altmaniano al quale apertamente si richiama.
Il ricorso ai brani di repertorio come filo conduttore del discorso si
risolve in una mera operazione di cucitura che se da un lato ha il
merito di ricondurre ogni tanto l’argomento nell’ambito in cui vorrebbe
essere inserito dall'altro ha il grave demerito di banalizzare il
valore profondo di quel significativo reale momento storico
indebolendone sensibilmente i contorni.
Le parole riferite ai passi principali dell’indimenticabile discorso
pronunciato da Bob Kennedy prima di essere assassinato si smarriscono
scorrendo velocemente nei sottotitoli durante gli ultimi minuti di
proiezione quando l’attenzione dello spettatore è distratta dalle
drammatiche e concitate sequenze dell’attentato.
Le immagini in bianco e nero di momenti felici di vita della famiglia
Kennedy sono relegate nei titoli di coda forse nell’estremo tentativo
di far rammentare quale fosse l’obiettivo e il fine reale del film
.
Un' opera inutile dalla quale gli spettatori che “sanno” ne escono
delusi e quelli che “non sanno” ne escono indifferenti Un’occasione
persa per ricordare far rivivere e riproporre “l’altra America” quella
colpevolmente calpestata dalla barbarica amministrazione bushana e che
ora sta tentando faticosamente di risorgere con la forza della propria
insopprimibile capacità d' autocritica e di senso di responsabilità ...
...nonostante
i balbettanti tentativi di questo film del quale tuttavia viene fatta
salva la lodevole – anche se irrisolta – buona intenzione