Un
microcosmo rifugio di sensualità e sogni
Caramel
– voto
: 7/8
In occasione di
queste festività, a disegnare un’isola di assoluta
eccellenza sugli schermi italiani ( privilegio purtroppo riservato a
sole 30 sale ), giunge “ Caramel “, lavoro di produzione franco
libanese e opera prima della regista Nadine Labak.
La regista nata a
Beirut 33 anni fa, completamente sconosciuta al pubblico occidentale,
è già celebre in medio oriente per aver diretto video
musicali e spot pubblicitari: performance che le hanno creato qualche
problema per l’eccessiva “audacia femminile” contenuta nelle
immagini.
La bellissima
artista, che nel film interpreta anche il ruolo da protagonista (
Layale ), ambienta la sua storia in un salone di bellezza della
capitale libanese. Le esistenze di chi lavora, frequenta e ruota
attorno al locale, danno vita ad un prezioso ritratto della sua sfera
femminile. Quel luogo si trasforma in un rifugio per i sogni, le
speranze, i drammi delle donne che lo animano, senza porre barriere
religiose o culturali. Un angolo di Beirut dove l’intreccio di
confidenze e sensazioni trova accoglienza, al riparo da una società
dominata dalla cultura maschilista, piena di pregiudizi e veti alla
libera espressione delle donne.
Qui incontriamo
Layale, e le sue pene per un amore adombrato dalla clandestinità,
e Nisrine ( Jasmine Al Masri ), alle prese con una verginità
perduta prima del matrimonio a cui porre rimedio; conosciamo Rima (
Joanna Moukarzel ) con l’inquietudine di una giovane che prova
attrazione solo per altre ragazze. Assistiamo a come Jamale ( Gisele
Aouad ) non accetti il tempo che avanza inesorabile, rifiutando i
mutamenti inevitabili che l’età lascia sul corpo ; siamo
commossi da Rose ( Siham Haddad ), i cui sogni per un amore galante
atteso forse da sempre, si scontrano con le esigenze della anziana e
malata sorella Lilì ( Aziza Semaan ).
Nadine Labak
costruisce ad arte un ambiente dal clima soffuso, dove il profumo del
caramello da ceretta e il fluire dello shampoo, estirpano e lavano
via le inquietudini della mente, consentendo di sognare e sperare. Un
luogo che stride con la realtà che ognuna delle protagoniste
deve affrontare per le strade di un Libano ancora alla ricerca di
pace, stabilità e di una modernizzazione sociale.
Un film dove il
bisogno d’amore viene posto in cima ai desideri femminili, ma per
ognuna delle donne nella storia, la limpidezza del sentimento
sognato, verrà minato dagli ostacoli della vita.
Un inno fortissimo
alle donne libanesi e non solo. Una pellicola che esalta la loro
irresistibile sensualità e bellezza mediorientale,
rimarcandone il coraggio e l’intraprendenza, ma che non manca di
sottolineare la tristezza racchiusa nel ritrovare se stesse solo in
quel microcosmo.
Una lode assoluta
all’incalcolabile valore da attribuire all’auto ironia, una dote
spiccatamente femminile, quasi che madre natura abbia donato le donne
di una speciale virtù, per addolcire le tante amarezze che la
vita gli ha da sempre riservato.
Artisticamente il
film è un autentico gioiello. Una sinfonia di atmosfere dove i
silenzi trasmettono emozioni meglio di ogni parola.
La Labak è
stata molto abile nel consegnare ad un sottile e sensuale gioco di
sguardi, il compito di comunicare limpidi messaggi allo spettatore,
senza cadere nelle trappole che la rigida moralità araba
avrebbe trasformato in censura.
Alcune sequenze
come la conversazione telefonica, bivio tra sogno e realtà per
Layale e Youssef, le lavande ai capelli di Rima ad una splendida
cliente, o le caramel al viso sempre di Youssef, cristallizzano una
consolidata maturità alla regia . A completare la miscela una
struggente e malinconica colonna sonora ( Khaled Mouzannar ), mix di
brani mediterranei, e una fotografia accesa dai colori vivi e caldi
di abiti e arredamenti. Il tutto nel chiaro intento di esaltare la
ricchezza di una cultura troppo spesso associata a violenza ed
arretratezza, e di fornire l’immagine di un Libano che nel
crogiuolo etnico crede come speranza per il futuro. Il cast di
attrici è composto per intero da non professioniste, che per
lo più portano in scena se stesse, o figure a loro vicine. Un
gruppo di interpreti di grande bravura e spontaneità, capaci
come ha dichiarato la regista, di creare sul set un clima di stretta
complicità.
La dedica finale
della regista “ Alla mia Beirut “, racchiude il grande
significato che l’intero lavoro cela alle sue origini. Il film è
stato girato nell’estate del 2006, e pochissimi giorni dopo, si è
scatenato l’ultimo sanguinoso attacco israeliano sulla antica terra
dei cedri.
Il progetto,
sempre per le parole della regista, è stato lungamente messo
in pericolo dai risvolti della guerra. Per molto tempo Nadine Labak
non sentiva giusto mostrare al mondo un film “ così
leggero”, in relazione alla morte e distruzione che aveva sconvolto
la sua gente. Poi con l’aiuto della produttrice francese Anne
Dominique Touissant, e il coinvolgimento di enti internazionali
franco libanesi, è maturata la convinzione che il film fosse
un importante veicolo per lanciare oltre i confini, il forte
desiderio di vita, di normalità, di pace della gente del
Libano.
Egli ha inoltre
dichiarato: “Come
ho cercato di far vedere nel film, la nostra non è una società
molto aperta, alcune questioni vengono vissute di nascosto, però
le reazioni al film sono state molto positive forse perchè non
ho voluto fare nessun tipo di provocazione, non ho voluto fare
lezioni o dare giudizi. Mi sono limitata a mostrare la realtà,
è arrivato il momento di far vedere le cose come sono
realmente”.
A riguardo dei
preconcetti sulla verginità femminile prematrimoniale
prosegue: “La rivergination è un intervento più che
diffuso, come mi hanno confermato molti dei medici ai quali ho
chiesto informazioni”.
La pellicola rappresenterà il suo
paese agli Oscar di Hollywood e spera nella candidatura come miglior
film straniero.
Aldilà di
eventuali successi o premi, condivido a pieno il commento di una
porzione della critica: “ Un film di donne, indispensabile per gli
uomini”.