giovedì 12 dicembre 2024   
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Visti per Voi » Crash Contatto fisico  
CRASH – CONTATTO FISICO – voto : 9—

Quando la mia meravigliosa compagna Monique, nel prendermi in giro, sostiene che definisco buoni tutti i film che scelgo di vedere, senza bocciarne mai uno, io replico che questo avviene grazie al mio fiuto per il cinema, che mi porta a scremare a priori le eventuali fregature. Ovviamente non è vero, tutto s’intende. E’ falso che difenda ogni pellicola che propongo come non possiedo un sesto senso in quel campo.

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Crash uscì sugli schermi italiani lo scorso autunno. Vidi i trailers alla tv e ne rimasi colpito. Sentii anche qualche commento radiofonico e tutti convergevano nel descrivere il lavoro di Paul Haggis come veramente ottimo. Nonostante tutto trascorsero le settimane, non troppe a dire il vero, e il film scomparve dalle sale sia bolognesi che modenesi. Mi dispiacque, ma mi ripromisi di catturarlo durante la stagione estiva dei cinema all’aperto.

Giunse Marzo con il suo annuale appuntamento degli oscar hollywoodiani. In quella circostanza tanto attesa da tutto l’ambiente, Crash ne uscì non senza sorpresa da trionfatore: miglior film, miglior sceneggiatura originale e miglior montaggio.

Come naturalmente accade in questi casi la pellicola tornò ad essere proiettata nelle sale. Decisi a non lasciarcela sfuggire, Monique ed io avevamo già fissato la data della sua visione, ma ecco che un pirata di dvd cinematografici di vecchia conoscenza, mi consegna tra le mani una copia che mai fu più puntuale.

Il giorno seguente alla vista mandai un sms a questo malvivente mediatico per ringraziarlo del prezioso dono che mi aveva elargito.

Crash è assolutamente splendido. Anche ora, ad alcune settimane dalla visione, conservo indelebili numerose sequenze stampate nella memoria.

Cercherò di attaccarlo alla mia maniera, tentando di compiere un percorso a ritroso che mi consenta di immergermi nuovamente in quel torrente di emozioni in pieno tumulto. So che non sarà un compito semplice, perché mi accade di dover faticare nel porre in ordine il mare di parole che mi sgorgano dalla mente quando mi trovo al cospetto di opere tanto ricche. Cominciamo dall’inizio.

Nel corso delle scene d’apertura viene formulata una frase che rappresenta l’anima di tutto il lavoro. Don Cheandle, il bravissimo attore già interprete di “Hotel Ruanda”, “Ocean’s Eleven”, “Ocean’s Twelve e tanti altri, qua nei panni di un investigatore di polizia ( Graham), riflette su come in una città di oltre 10 milioni di abitanti quale Los Angeles, la gente si muove, si concentra, si addensa in nuclei, colonne, file e masse senza mai toccarsi, senza mai entrare in contatto fisico. Si vive accanto agli altri senza sfiorarsi. Solo quando ci si scontra il contatto si stabilisce, solo quando un incidente t’impone un urto finalmente tocchi un altro essere umano.

Partendo da questa dolorosa analisi di un uomo in profondo conflitto con il suo lavoro e con la sua famiglia, Crash diventa un viaggio tra le vite di alcuni abitanti di una Los Angeles e di un America contemporanea che mai come ora è lo specchio della paura e del sospetto a sfondo razziale.

Il film è magistralmente costruito raccontando le vicende quotidiane di una nutrita galleria di personaggi che per estrazione sociale, etnia e professione, possono costituire uno spicchio rappresentativo dell’intera società americana.

Il tema, scomodo, scottante e delicato è l’incapacità di tollerare il diverso, da qualsiasi punto di vista provenga lo sguardo. La diffidenza e la paura diventano una presenza fisica, radicata talmente a fondo nella mente e nei pensieri, da toccarla con mano, da divenire compagna delle tue giornate, da condizionare e alterare la capacità di vivere e relazionare con gli altri. E’ in questo clima che i nostri abitanti di Los Angeles conducono la loro battaglia quotidiana.


Una ricca e agiata casalinga di Brentwood ( Sandra Bullock), vive a fianco del marito procuratore, nel suo dorato trend di donna mantenuta e benestante, quasi sorvolando con leggerezza la vita reale degli esseri che la circondano. La rapina a mano armata che subisce una sera da parte di due giovani ladri d’auto di colore, scatena una fobia acuta ma già latente, verso il diverso e le persone di etnie differenti. Inizia un tormentato percorso di logorante astio contro chiunque incontri, casualmente o meno. Diventano vittima delle ingiurie e degli sfoghi paranoici la sua fedele domestica e l’operaio chiamato a sostituire la serratura di casa, entrambi ispanici. La paura e la diffidenza gli costruiranno un muro all’interno del quale finisce per rinchiudere la sua vita. Solo quando in preda al panico suscitato dalla solitudine in un frangente di bisogno fisico, si ritroverà ad abbracciare la sua donna di servizio; verrà riportata alla vita reale dal calore del suo contatto fisico, si ritroverà in lacrime a ringraziare e chiedere perdono per le tante brutte parole lanciate nel passato, come se all’improvviso un tocco magico l’avesse riportata da un luogo buio e lontano.


Un iraniano, proprietario di un negozio e la sua figlia medico, sono il bersaglio della tempesta antiaraba scatenatasi dopo l’11 settembre. Gli sguardi e le parole della gente sono continue e penetranti frecciate che scatenano nell’uomo la voglia di rivalsa. Decide di acquistare un’arma contro il parere della ragazza, per difendere quella proprietà che sente minacciata dal risentimento razziale che gli giunge da tutte le direzioni. Anche l’armiere bianco da cui acquista il revolver non perde occasione per trattarlo a malo modo ed insultarlo. Non sono solo gli americani di pelle bianca a trattarlo con diffidenza e sospetto però, anche ispanici, afro americani e asiatici non risparmiano di colpirlo con la violenza delle parole non pronunciate a piena voce. Una notte, ladri e teppisti s’introducono nel negozio distruggendolo quasi completamente. L’assicurazione non copre i danni e il proprietario finirà per prendersela con l’operaio ispanico che solo pochi giorni prima aveva sostituito la serratura, cercando di dirgli che la riparazione sarebbe stata inutile senza una nuova porta. La frustrazione accumulata nel tempo trova libero sfogo nella rabbia cieca che porta il negoziante iraniano a rintracciare l’operaio per ucciderlo. Lo raggiungerà davanti alla porta di casa e finirà per sparargli nell’istante in cui la bimba della vittima corre ad abbracciare il padre. L’eco dello sparo sarà come il battito di mani che risveglia il paziente da un’ipnosi, il contatto con la realtà. Il destino premierà tutti in questo caso. La pallottola non uscirà mai dalla canna della rivoltella, perché per le magie che il fato a volte regala, la pistola era stata caricata a salve. L’iraniano rimane attonito e sotto shock, ancora con l’arma stretta nella mano. Solo adesso si rende conto di cosa stava per succedere e guarda quel oggetto tra le dita con orrore.


Un operaio di origine ispanica deve spesso subire l’onta dei commenti e della diffidenza razziale. La dignità deve aggrapparsi alla forza morale e all’onestà per non reagire a tutto questo. A casa l’aspetta una moglie e una bimba, una splendida bimba, che vive a sua volta con grande dolore il terrore per gli atti di violenza che a volte subisce la famiglia per l’appartenenza alla propria etnia. Il papà una sera inventa una storia per calmarla e gli racconta di aver ricevuto da un mago un mantello invisibile che lo proteggerà da ogni cosa e che ora questo mantello sarà indossato da lei. Più serena si calma e si addormenta. Quando alcuni giorni dopo un uomo di origine araba in preda ad un raptus di follia, si presenterà davanti al cortile di casa per sparare al papà nell’istante in cui sta per abbracciarlo, si accorgerà di aver ricevuto lo sparo ma di non aver sentito nulla. Ancora tremante di paura ma felice tra le braccia del padre gli sussurra:” Funziona papà, il mantello, funziona!”. Contatto fisico testimone di vita.


Una giovane coppia di colore, lui regista televisivo, lei infermiera. Una sera vengono fermati da una coppia di agenti di polizia, entrambi bianchi. L’agente più anziano, Ryan (Matt Dillon),ha un atteggiamento volutamente provocatorio e offensivo. Non risparmia pesanti allusioni al colore della pelle dei coniugi. La donna reagisce rabbiosa mentre l’uomo comprendendo quanto pericolosa possa diventare la situazione, cerca in tutte le maniere di avere un comportamento che disinneschi le provocazioni del poliziotto. La donna finisce per essere perquisita e nel corso di questi attimi Ryan la molestia sessualmente palpeggiandola in modo inequivocabile. Saranno attimi di sordo dolore per la ragazza che dovrà subire l’onta di quelle mani bianche e razziste. La coppia verrà lasciata libera di proseguire grazie soprattutto al comportamento ultra remissivo e accomodante del marito. Una volta liberi, la donna vomita addosso all’uomo tutta la frustrazione per il gesto subito e per la mancata reazione del marito in sua difesa. Volano parole pesanti e anche nei giorni a seguire, l’ombra dell’episodio grava su di loro come una cappa oscura. L’uomo, che sulle prime era convinto di aver optato per il modo di agire più giusto, s’interroga se la moglie non abbia davvero ragione nel ritenerlo senza palle e orgoglio. Quando alcuni giorni dopo, nel corso di una discussione di lavoro si accorge di aver ceduto alle ingiuste pretese del superiore senza opporsi, la fiamma della frustrazione divampa in incendio. Quasi nelle stesse ore l’uomo e la donna sono protagonisti di due eventi paralleli e sconvolgenti. La moglie rimane vittima di un incidente stradale e resta intrappolata nell’auto rovesciata. A prestargli soccorso sarà proprio Ryan. Nel vederlo avvicinarsi la donna viene presa dal terrore e dal panico, non tanto per la situazione di estremo pericolo, ma per il trauma evocato dall’episodio di alcune sere prima. La paura, la rabbia e l’odio istintivi che ha provato per quel uomo sono superiori ad ogni altra sensazione. L’uomo sembra diverso, non ha lo stesso sguardo e sembra sincero quando gli grida che è lì per salvargli la vita. Lo fissa negli occhi e si calma, gli occhi parlano una lingua diversa. Lo tocca, gli si aggrappa, ma l’uomo non riesce a liberarla, poi arrivano le fiamme, improvvise, rabbiose. L’aria diventa rovente, e cresce palpabile la paura di morire. L’agente viene tirato fuori dai colleghi e le mani della ragazza rimangono prive di appiglio, di contatto. Urla, grida, disperata, tutto il suo orrore e terrore per una morte assurda, improvvisa e terribile. Sembra finita in quegli attimi interminabili dove rimane sola tra le fiamme, ma all’improvviso sente l’appiglio afferrarla di nuovo, come animato di energia vitale irresistibile. Si sente strappata alla morte e dall’auto e viene portata in salvo pochi istanti prima che l’ammasso contorto incandescente esploda. Si ritrova in piedi ad abbracciare il suo salvatore con tutta l’anima, un contatto fisico portatore di vita, capace di azzerare tutto l’odio provato in passato.

Il marito di ritorno dal lavoro viene aggredito da un giovane rapinatore di colore, ma questa volta la rabbia immagazzinata gli dona coraggio e forza sconosciute e irrazionali. Reagisce in modo sconsiderato ed eccessivo fino a giungere al punto che l’auto con a bordo rapinatore armato e rapinato viene fermata dalla polizia. Il regista scende dall’auto ormai fuori di testa e urla contro le forze dell’ordine tutta la sua incapacità di subire ancora. Giunge ad un passo dal farsi ammazzare nel non assecondare gli ordini della polizia, ma a salvargli la vita sarà l’intervento di un giovane agente che lo riconosce. E’ il giovane collega di Ryan che interviene prendendo in mano la situazione e riportando la tensione sotto il livello di guardia. Lo scontro come contatto che riporta alla ragione. Nel rientrare nella sua auto troverà ancora il rapinatore che è rimasto accucciato e terrorizzato nell’abitacolo. Tutti si sono dimenticati di lui e potrà alla fine andarsene libero ma segnato nel profondo dall’accaduto.


E’ sera, turno di pattuglia lungo le strade della tormentata Los Angeles. Ryan l’agente anziano e capo pattuglia ordina al suo giovane collega di fermare un SUV sospetto. Entrambi sono consapevoli che la descrizione dei ladri da ricercare non corrisponde agli occupanti. Sono sulle tracce di due adolescenti neri ma bordo vi è un uomo e una donna, ugualmente di colore e Ryan li ferma per questo. E’ carico, tracotante, l’animo profondamente razzista trasuda dai pori, il desiderio di rompere le palle a quei due negri con quella macchina da migliaia di dollari sale alle stelle. Nel controllare i documenti li provoca, li insulta. L’uomo non reagisce alle provocazioni, la donna sì. E’ ciò che cerca, intima alla ragazza, molto bella e raffinata, di posizionarsi per ricevere la perquisizione. La donna schiuma di rabbia ed è quello che il poliziotto sperava. La fa appoggiare all’auto, mani in avanti e inizia a perquisirla, a toccarla, pesantemente, senza equivoci. Le mani con il loro tocco ripugnante violano la pelle della ragazza: seno, fianchi, glutei, cosce vengono palpeggiati sotto gli occhi del marito e del collega. Lo sbirro gode infinitamente di quegli istanti, perché disprezza quel colore e forse tutti i colori. Non sa nemmeno lui il perché. O forse si, ma non importa, ciò che si deve fare è fargliela pagare in tutti i modi e questa sera ha scelto questa donna, bella, di classe e soprattutto dal temperamento ribelle. Con lei c’è più gusto, con quello smidollato senza palle del marito non ci sarebbe da divertirsi. Purtroppo non si può prolungare quegli istanti all’infinito. Lo sguardo imbarazzato e schifato del suo collega, quasi lo irritano e decide che è meglio finirla lì. Il marito non gli regala la soddisfazione di dargli un pretesto per una bella ripassata e quindi li lascia andare. Il turno finisce e giunge l’ora di tornare a casa. Trova come sempre il padre gravemente malato. Dinanzi alla vista del suo vecchio sofferente esplode la rabbia e telefona per l’ennesima volta al centralino dei servizi sociali. L’operatrice di turno viene inondata dal suo sfogo. Tenta di essere d’aiuto ma l’arroganza di chi sta dall’altro capo del filo valica il confine dell’offesa e non rimane altro che mandare quel cafone a quel paese. Trascorrono i giorni e Ryan si reca di persona in ufficio per chiedere aiuto. A riceverlo troverà la medesima funzionaria che ironia della sorte è una signora di colore. L’arroganza non è stata dimenticata e a nulla vale l’appello dell’uomo di aiutare un vecchio malato, un uomo che nel corso della sua vita ha difeso con onestà la legge e tutelato gli afro americani. L’odio trasparente del figlio cancella l’onestà del padre. La funzionaria dei servizi sociali lascia trasparire di poter forse fare qualcosa, ma non per lui, non per suo padre. Non lesina le rasoiate. Non dimostra comprensione per chi fa dell’arroganza e del razzismo un uso così sfacciato. Un altro giorno di lavoro. Ryan s’imbatte in un incidente automobilistico appena verificatosi. Un auto è rovesciata e all’interno vi è una donna intrappolata. Si precipita all’interno per scoprire con immensa sorpresa di trovarsi di fronte la giovane molestata alcune sere prime. La donna rimane sconvolta, dimentica lo stato in cui si trova e in preda al terrore lo respinge con tutte le sue forze. Grida e colpi verso l’uomo che passato il momento di sorpresa cerca di riconcentrarsi sul lavoro da fare. Inizia a parlare alla ragazza, a guardarla negli occhi e catturando il suo sguardo riesce a toccarla per tranquillizzarla. Senza rendersene conto, preso dall’istinto di poliziotto, mostra la parte umana e priva di condizionamenti della sua anima. Gli occhi ne sono lo specchio e trasmettono segnali nuovi.

Ryan dovrà far ricorso a tutta la sua esperienza per calmare la donna, ma proprio quando sembra riuscirvi la situazione precipita e l’auto s’incendia. L’agente la prende con forza, tenta in tutte le maniere di estrarla dalle fiamme ma non riesce a liberarla dalle cinture bloccate. L’abitacolo è invaso dal fuoco ma non molla la presa fino all’istante in cui i suoi colleghi lo strappano dalle lamiere oramai prossime all’esplosione. Ryan è trascinato lontano dall’auto, ma il suo sguardo è pietrificato sul viso della donna che in lacrime urla disperata tra le fiamme. Ha un impeto, un gesto rabbioso e con uno scatto sfugge alla presa degli altri agenti e si tuffa nuovamente tra il groviglio rovente. Una forza improvvisa lo anima, un vigore che non passa dal cervello, che arriva direttamente da quella mistura di cellule e chimica che ci rende essere umani, liberi dai pregiudizi, senza odi, senza trappole costruite dal nostro passato o di chi ci ha cresciuto o vissuto a fianco. La differenza tra la vita e la morte attraversa istanti fulminei e Ryan coglie gli ultimi utili a sua disposizione: senza nemmeno capire come, trova il modo di liberare la donna e di scivolare dalle lamiere incandescenti pochi attimi prima che l’auto deflagri. Una volta all’esterno stringe con passione la vita appena salvata cha a sua volta si abbandona tra le sue braccia in un pianto liberatorio. Contatto fisico che ridona alla realtà il vero valore della vita umana.


Due adolescenti di colore. Il primo tarato mentalmente con la fobia radicata del vittimismo razziale. Il secondo razionale e positivo, capace di cogliere con oggettività la visione di una realtà dura ma mai scontata, nel bene e nel male. Decidono di rapinare una coppia di bianchi che per look e automobile appaiono visibilmente ricchi. A mano armata si fanno consegnare portafogli e SUV. Con l’auto appena rubata investono un signore asiatico. Si fermano, lo raccolgono e lo scaricano davanti ad un pronto soccorso in fin di vita. Si scoprirà che questo uomo era appena disceso da un furgone dove trasportava clandestini immigrati dall’Asia. Tra un tormentato e logorroico sproloquio del primo giovane e una battuta del secondo, i due si separano. Il primo non resiste alla tentazione e tenta di rapinare un uomo di colore salendo a mano armata sulla sua auto. Il proprietario reagisce, la situazione degenera, vengono inseguiti e fermati dalla polizia, ma sarà il comportamento rabbioso e imprevedibile della sua vittima a consentirgli di uscire senza danni dalla complicata circostanza. Una severa lezione che lascerà un segno. Un destino che ancora una volta si dimostra generoso con chi ha della vita una visione così limitata, distorta dal pregiudizio, dove essere negri sia sinonimo obbligato di sfortuna e persecuzione. Una sera il secondo rapinatore sta facendo l’autostop. Nel cuore sente un vento nuovo e intende dopo una giovane vita spesa in malo modo, dare una svolta positiva all’esistenza. Viene caricato da un giovane bianco. I due ragazzi all’inizio parlano tranquillamente, ma chiacchiere e sorrisi fanno presto spazio ad una crescente tensione. E’ sera, è Los Angeles, un nero sulla macchina di un bianco fa crescere il sospetto di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il bianco si comporta con fare sempre più sospettoso ed i suoi silenzi sempre più lunghi addensano l’ansia e cresce il dubbio di essere confusi con chi non si vuole essere in quel momento. Il nero intuisce dagli sguardi dell’autista che il rigonfiamento nella propria tasca della giacca a vento, è la fonte dei suoi dubbi. Decide di allungare la mano verso la tasca, vuole mostrargli cosa contiene, non è altro che una statuetta di un santo, identica a quella che vi è sul cruscotto. Ne verrà fuori una risata, tutto si aggiusterà, ma non riesce a completare ne il pensiero, ne l’azione perché all’improvviso, dal niente, spunta una pistola tra le mani del giovane bianco e l’arma fa fuoco come animata di una vita sua, senza che grida o parole riempiano il silenzio. In una frazione di secondo comprende che il suo soffio vitale sta per esaurirsi e che non avrà più il tempo per dire una parola, a nessuno. Riesce solo ad estrarre la mano e mentre muore la apre con lentezza per rivelarne il contenuto, poi tutto diventa buio e freddo. Scontro come fine della strada, contatto che non lascia possibilità.


Graham è un detective della polizia e lavora in coppia con una avvenente collega di origini ispaniche. Stanno svolgendo un’indagine scottante che riguarda un collega di colore ucciso da un sospetto di pelle bianca. Il legame che conduce il sospettato ad un intrigo di potere, porta gli investigatori a dover assecondare la realtà che emerge dalle indagini agli ordini dettati da interessi politici. Questo è solo uno dei compromessi che costella l’esistenza di Graham. Fare sesso con la collega e subire costantemente i rimbrotti dell’anziana madre che lo accusa di trascurare la famiglia per il lavoro e le donne, sono le facce dello stesso dado. Al di sopra c’è una consapevole incapacità di trovare un equilibrio, in una città e società dove la realtà delle cose è sopraffatta dalla freddezza dell’anima e dalla gelida razionalità delle situazioni. Essere nero e ambire ad un ruolo di rilievo, comporta l’accettare che ancora oggi non vi è l’uguaglianza razziale tanto rivendicata. L’ambizione può indurti a voler più o meno consciamente, cancellare le proprie origini, per allontanarti dalle discriminazioni che ancora mietono le carriere. Tutto ciò può avere un prezzo salato però e Graham lo comprenderà nel ritrovare il proprio fratello minore morto ammazzato a lato della strada. Il respiro si ferma. La coscienza esplode. Morte che crea fratture insanabili. La madre lo incolperà della sua fine. Lo accuserà di aver scordato di avere un fratello. Quel fratello oscurato quasi a voler cancellare il ricordo del colore della propria pelle. Graham è distrutto perché in cuor suo sa che la madre ha ragione. Un ragazzo che aveva una possibilità perché risiedeva nobiltà nel suo cuore, ma incapace di farcela da solo in un’america così ancora troppo dura per tanti. Un contatto che si stinge troppo tardi,


Non sempre avere come compagni di pattuglia agenti esperti e abili del mestiere come Ryan è sinonimo di serenità. Se nel tuo dna risiede la capacità di sognare, una visione del mondo ancora regolata da principi e valori d’uguaglianza e di rispetto per il prossimo, può diventare un problema il tollerare un superiore che fa dell’arroganza e del sopruso un metodo di lavoro ed uno stile di vita. E’ così che dopo aver assistito una sera ad un vergognoso episodio di provocazione e violenza verso una coppia di colore, l’ennesimo, ci si sente con la voglia di dire basta. Si riflette sul senso che abbia vestire una divisa da poliziotto se poi si deve restare testimoni silenziosi di simili atti. Contro il parere di tutti, consapevole d’incontrare l’ostilità dei colleghi, ma fedele al proprio senso di giustizia, il giovane e biondo agente denuncia l’accaduto e richiede formalmente di cambiare il compagno di lavoro. La reazione dell’ambiente sarà dura e senza sconti. I panni sporchi vanno lavati in famiglia: chi si comporta in contro tendenza corre il rischio dell’isolamento. Il cameratismo di gran parte degli altri agenti solidali a Ryan, comporta derisione e lavoro in solitudine. La cosa più importante è aver fatto prevalere ciò che si riteneva giusto. Quando un giorno, fedele al proprio credo e animato di coraggio ed iniziativa, sarà capace di risolvere una situazione delicata salvando la vita di un bravo uomo frustrato e confuso, si sentirà in pace con se stesso. Si sente più forte, più sicuro di se e delle sue scelte. Il caso gli ha persino permesso di risarcire un debito che sentiva di aver contratto verso quel cittadino, per non essersi opposto all’operato del superiore.

Una sera, finito il turno di servizio, è in auto per le strade di una Los Angeles mai serena. Vede un ragazzo di colore a lato della carreggiata che fa l’autostop. Si ferma e lo fa salire a bordo. Il giovane ha un’aria serena e sorridente e non sembra pericoloso. Si chiacchiera e si sorride come deve essere normale tra qualsiasi coppia di giovani di ogni angolo del mondo. Lentamente però, come una presenza animata di vita propria, s’insinua nell’abitacolo dell’auto il seme della diffidenza. Cresce rapidamente, silenziosa. Le parole lasciano spazio al silenzio e questo alimenta il sospetto. Nella mente dell’agente, la cultura, l’addestramento, il luogo comune che vede tanto spesso giovani neri come il ragazzo che ha di fronte, protagonisti attivi di rapine e omicidi prendono il sopravvento. Al di sopra di ogni cosa, prevale quella porzione di noi che accetta con fatica il diverso, quella frazione incapace di azzerare i condizionamenti e le paure dettate dalle regole dell’ambiente che ci circonda. Eppure la sua mente sembrava libera e positiva, capace di far fronte a questo male. Il suo sguardo si posa sulla tasca della giacca a vento del passeggero. E’ rigonfia, contiene un oggetto ingombrante. Cosa può essere?

La mente compie una scansione istantanea e la risposta è una sola: ragazzo nero, di strada, è sera, tasca gonfia, oggetto, arma. Pochi secondi e comprende come il nero gli abbia letto nella mente e vede muovere la sua mano verso la tasca. Senza accorgersene, mossa da un riflesso condizionato dettato dal terrore, il biondo giovane agente impugna la pistola e fa fuoco in un solo istante. Nessuna parola, nessun perché! Vede negli occhi del ragazzo di colore orrore e sorpresa. Si spegne e gli muore accanto senza riuscire ad esalare un sospiro. Il bianco è sotto shock, non si è reso conto di ciò che è accaduto. Si trova a stringere una pistola fumante e ha appena sparato ad un coetaneo al suo fianco, nella sua auto. Solo un minuto prima era sereno, felice, orgoglioso di se. La mano della vittima si apre lentamente. Prima di esalare l’ultimo respiro riesce a mostrargli cosa conteneva la sua tasca: una statua di San Cristoforo, identica a quella che lui stesso ha sul cruscotto. Lo shock diventa orrore totale, accecante, assordante. Crash, contatto fisico sinonimo di morte, fine della vita, dei sogni, pregiudizio che vince sul cuore, anima destinata a bruciare per l’eternità.


Ho scelto volutamente di entrare nel dettaglio di ogni singola porzione. Troppe le emozioni da raccontare per relegare alcune parti ad una fredda sintesi. Nonostante mi sia sforzato di ricercare le parole più vere sò di non poter rendere giustizia ad un lavoro così profondo e ben costruito. Paul Haggis credo sia alla prima prova da regista, ma numerose sono le sue collaborazioni e tra queste è il caso di segnalare la sceneggiatura di “Million Dollar Baby”, film sovrano della scorsa stagione. “Crash” ha suscitato una discreta sorpresa nell’aggiudicarsi tre statuette agli oscar 2006 ma lo stupore scompare una volta visto la pellicola. Il premio al miglior film, alla miglior sceneggiatura originale e al miglior montaggio, fotografano i meriti a pieno. Come dicevamo all’inizio la scelta del tema, difficile e denso di potenziali trappole, una sceneggiatura complessa e articolata, capace di comporre come una sinfonia, un quadro d’insieme della società multi etnica americana a dir poco inquietante e un montaggio incalzante che ti costringe per lunghi tratti a restare incollato alla storia con il fiato sospeso, rendono a parer mio“Crash”, il miglior film della stagione fino ad oggi.

Ognuna delle storie che ho ripercorso separatamente è stata fusa ed intrecciata nell’altra con abilità e sensibilità. Haggis ci porta all’interno della vita di uomini e donne della strada, che popolano Los Angeles come qualsiasi altra metropoli d’america. Sono esistenze dure, difficili, popolate da incubi di varia natura, che trovano un punto d’incontro nella comune diffidenza reciproca. Si respira un clima di tutti contro tutti, senza un minimo di solidarietà. Un sentimento che dovrebbe accomunare quanto meno chi è costretto a navigare nelle medesime precarie condizioni. Invece non è così. Afro americani, bianchi, asiatici, ispanici, arabi, tutti impegnati in una continua caccia reciproca, tutti incapaci di comprendere come i motivi della loro rabbiosa insoddisfazione abiti nella non capacità da parte di una società, di consentire a tutti un’opportunità senza che questa passi per il dover sopraffare un tuo simile. Credo molto nell’antico detto che dice”Chi semina vento, raccoglie tempesta!”. Chi come il governo degli Stati Uniti è stato così impegnato negli ultimi anni ad “esportare” la sua democrazia, ignorando la giustizia sociale dei suoi abitanti, non può che raccogliere oggi i frutti di una sconsiderata e premeditata politica. Da sempre, le porzioni più deboli e vulnerabili della comunità, è consigliabile conservarle in un clima di conflitto reciproco per impedire che possano con la consapevolezza e la forza dell’unione, costituire un pericolo per chi vuole del potere fare un’opera di arricchimento per pochi privilegiati. Il governo Bush è una testimonianza esemplare di questo concetto. Una volta in carica, trascuriamone il discutibile percorso elettorale, ha centrato il suo mandato nel soddisfare tutti coloro che avevano profumatamente finanziato la sua corsa alla presidenza. Che questo potesse cadere in forte contraddizione con i bisogni reali del suo popolo è risultato assolutamente secondario. Ha calpestato ogni pillola di buon senso in ambito finanziario, ambientale, sociale, fottendosene degli interessi pubblici, ma prestando attenzione ad arricchire solo una ristretta cerchia di collaboratori. Ho conservato per ultima quella che è stata “la madre di tutte le sue nefandezze”: la politica estera e le guerre ad Afghanistan e Iraq. Sfruttando la comprensibile emotività collettiva, scatenatasi dopo l’11 settembre(vi giuro che nonostante l’orrore che un simile pensiero fa sorgere, sempre di più mi pongo la domanda se non ci abbiano preso per i fondelli al riguardo), ha trovato la strada spianata per poter finalmente svuotare gli arsenali e soddisfare le impellenti necessità imprenditoriali di tutto il settore che ruota attorno all’industria della guerra. Il tutto con la benedizione della comunità nazionale ed internazionale. I maggiori finanziatori della sua campagna elettorale, residenti nel settore petrolifero e bellico, hanno riscosso il bonus che gli spettava. Ma non si è fermato qui. Il terrorismo internazionale è divenuto un pretesto per acuire oltre ogni misura il senso d’insicurezza della gente, seminando in modo diffuso la paura e la diffidenza verso gli arabi e gli stranieri. In una nazione come gli USA, dove il multi razziale è insito nel dna della comunità, agire in questo modo è quasi un atto criminale. Invece di rinsaldare le fila e mirare alla coesione delle tante razze, puntando ai concetti di solidarietà, si è ricordato di ispanici e neri solo nel momento di mandarli in guerra a morire per il petrolio iracheno, inventando la sola delle armi di distruzione di massa. Gli arabi poi, sono stati messi sotto la lente senza sforzi ulteriori, semplicemente sull’onda della psicosi generale. Giocare su questo clima per rinfoltire le azioni che miravano ai suoi progetti è venuto da sé. Il risultato in termini di ricadute sulla collettività sono evidenti e ben raccontati da questo film, che sarà pura una narrazione, ma che trae spunto da una realtà inconfutabile.

Pare però che 4 anni di simili crimini non siano bastati, perché alla prova del nove, il caro Bush è stato rieletto dal “suo popolo”con uno tsunami di voti.

Mi sono lasciato prendere la mano, ma ci sono cose che mi fanno veramente imbestialire.

Per come è stato concepito, “Crash” non consegna a nessun attore il ruolo di protagonista assoluto. Possiamo parlare di un contributo corale da parte degli artisti che hanno recitato. Ognuno a svolto la propria parte, incastonando il proprio apporto tra quello degli altri colleghi, secondo la direzione del maestro d’orchestra. Piuttosto che di un’interpretazione più di un'altra, mi sembra giusto parlare di sequenze con picchi d’emozione che si sono elevati al di sopra di una media già di per se altissima. Momenti che manco a dirlo, corrispondono con alcuni dei “contatti” che Haggis ci racconta.

Tra i tanti vorrei ricordarne alcuni.

Sul gradino più alto dell’angoscia generata non vi è dubbio di poter posizionare l’attimo che vede il negoziante iraniano sparare alla bambina ispanica. La mia Monique è saltata dal divano. In un secondo interminabile, dove il tempo si ferma, temi l’orrore assoluto. Lo temi perché sei entrato nel clima della dura realtà raccontata e sai che non vengono fatti sconti. Invece con un vero tocco di magia, realizzi come un dettaglio assolutamente marginale, sorpassato da più di mezz’ora di film, consenta alla bimba di sopravvivere e di uscire senza tragedie dal “contatto fisico”.

Grande spunto emotivo è trasmesso dalla sequenza dove Ryan salva la vita alla giovane di colore dall’auto in fiamme. La metamorfosi del poliziotto davanti all’orrore della morte, lo porta a ritrovare tutta la sua umanità e con esso coraggio e spirito di sacrificio. E’ bastato toccare la donna, sentirla veramente e guardarla con occhi di uomo, per ribaltare le energie in circolo, per trasformare l’odio razziale in ostinata lotta per la vita. Attori bravissimi, grande cura della espressività, degli sguardi e dei tempi. Suspence vera che sfocia in un rabbioso e conclusivo finale positivo liberatorio.

Per ultimo, e non in ordine d’importanza, pongo il frangente dove il giovane agente biondo finisce per sparare al ragazzo di colore che si scoprirà fratello di Graham. E’ una tragedia che Haggis ti spara in faccia all’improvviso. In altri momenti ti porta a temere il peggio per poi risparmiarti, ma qua consegna al “contatto”un messaggio di morte. Dramma che colpisce e condanna vittima ed uccisore. Istante carico di un significato particolare, perché vede contaminato con il seme del pregiudizio uno dei pochi personaggi che aveva mostrato tutta la forza in suo possesso per alzarsi al di sopra del grigiore generale. Il suo nobile spirito non riuscirà a salvarsi dai condizionamenti e la sua auto che brucia per cancellare le prove, è metafora della sua anima che arderà all’infinito.

Una parola per le musiche della colonna sonora, incalzanti e angoscianti, a scandire un susseguirsi di drammi sfiorati o centrati, apparentemente irreali ma consapevolmente possibili.

Il contatto umano viene eletto come terapia da adottare con posologia giornaliera. Una cura contro il male della diffidenza. Una via per costruire una casa meno ostile per tutti. Non dobbiamo dimenticare di essere prima di tutto uomini e che quasi sempre, la persona anche sconosciuta o straniera che ci troviamo dinanzi, è uguale a noi, con le stesse paure e le medesime speranze: teme il diverso e ha bisogno di calore umano. Purtroppo è insita nel nostro animo, la tendenza a catturare e ricordare su tutto gli episodi negativi, dove l’incontro ha dato frutti amari. Questi vengono conservati in cima alla lista e formano il pregiudizio, cancellando le circostanze ben più numerose dove il contatto ha generato calore. Pensiamoci.

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