CRASH
– CONTATTO FISICO – voto : 9—
Quando
la mia meravigliosa compagna Monique, nel prendermi in giro, sostiene
che definisco buoni tutti i film che scelgo di vedere, senza
bocciarne mai uno, io replico che questo avviene grazie al mio fiuto
per il cinema, che mi porta a scremare a priori le eventuali
fregature. Ovviamente non è vero, tutto s’intende. E’
falso che difenda ogni pellicola che propongo come non possiedo un
sesto senso in quel campo.
Crash
uscì sugli schermi italiani lo scorso autunno. Vidi i trailers
alla tv e ne rimasi colpito. Sentii anche qualche commento
radiofonico e tutti convergevano nel descrivere il lavoro di Paul
Haggis come veramente ottimo. Nonostante tutto trascorsero le
settimane, non troppe a dire il vero, e il film scomparve dalle sale
sia bolognesi che modenesi. Mi dispiacque, ma mi ripromisi di
catturarlo durante la stagione estiva dei cinema all’aperto.
Giunse
Marzo con il suo annuale appuntamento degli oscar hollywoodiani. In
quella circostanza tanto attesa da tutto l’ambiente, Crash ne uscì
non senza sorpresa da trionfatore: miglior film, miglior
sceneggiatura originale e miglior montaggio.
Come
naturalmente accade in questi casi la pellicola tornò ad
essere proiettata nelle sale. Decisi a non lasciarcela sfuggire,
Monique ed io avevamo già fissato la data della sua visione,
ma ecco che un pirata di dvd cinematografici di vecchia conoscenza,
mi consegna tra le mani una copia che mai fu più puntuale.
Il
giorno seguente alla vista mandai un sms a questo malvivente
mediatico per ringraziarlo del prezioso dono che mi aveva elargito.
Crash
è assolutamente splendido. Anche ora, ad alcune settimane
dalla visione, conservo indelebili numerose sequenze stampate nella
memoria.
Cercherò
di attaccarlo alla mia maniera, tentando di compiere un percorso a
ritroso che mi consenta di immergermi nuovamente in quel torrente di
emozioni in pieno tumulto. So che non sarà un compito
semplice, perché mi accade di dover faticare nel porre in
ordine il mare di parole che mi sgorgano dalla mente quando mi trovo
al cospetto di opere tanto ricche. Cominciamo dall’inizio.
Nel
corso delle scene d’apertura viene formulata una frase che
rappresenta l’anima di tutto il lavoro. Don Cheandle, il bravissimo
attore già interprete di “Hotel Ruanda”, “Ocean’s
Eleven”, “Ocean’s Twelve e tanti altri, qua nei panni di un
investigatore di polizia ( Graham), riflette su come in una città
di oltre 10 milioni di abitanti quale Los Angeles, la gente si muove,
si concentra, si addensa in nuclei, colonne, file e masse senza mai
toccarsi, senza mai entrare in contatto fisico. Si vive accanto agli
altri senza sfiorarsi. Solo quando ci si scontra il contatto si
stabilisce, solo quando un incidente t’impone un urto finalmente
tocchi un altro essere umano.
Partendo
da questa dolorosa analisi di un uomo in profondo conflitto con il
suo lavoro e con la sua famiglia, Crash diventa un viaggio tra le
vite di alcuni abitanti di una Los Angeles e di un America
contemporanea che mai come ora è lo specchio della paura e del
sospetto a sfondo razziale.
Il
film è magistralmente costruito raccontando le vicende
quotidiane di una nutrita galleria di personaggi che per estrazione
sociale, etnia e professione, possono costituire uno spicchio
rappresentativo dell’intera società americana.
Il
tema, scomodo, scottante e delicato è l’incapacità di
tollerare il diverso, da qualsiasi punto di vista provenga lo
sguardo. La diffidenza e la paura diventano una presenza fisica,
radicata talmente a fondo nella mente e nei pensieri, da toccarla con
mano, da divenire compagna delle tue giornate, da condizionare e
alterare la capacità di vivere e relazionare con gli altri. E’
in questo clima che i nostri abitanti di Los Angeles conducono la
loro battaglia quotidiana.
Una
ricca e agiata casalinga di Brentwood ( Sandra Bullock), vive a
fianco del marito procuratore, nel suo dorato trend di donna
mantenuta e benestante, quasi sorvolando con leggerezza la vita reale
degli esseri che la circondano. La rapina a mano armata che subisce
una sera da parte di due giovani ladri d’auto di colore, scatena
una fobia acuta ma già latente, verso il diverso e le persone
di etnie differenti. Inizia un tormentato percorso di logorante astio
contro chiunque incontri, casualmente o meno. Diventano vittima delle
ingiurie e degli sfoghi paranoici la sua fedele domestica e l’operaio
chiamato a sostituire la serratura di casa, entrambi ispanici. La
paura e la diffidenza gli costruiranno un muro all’interno del
quale finisce per rinchiudere la sua vita. Solo quando in preda al
panico suscitato dalla solitudine in un frangente di bisogno fisico,
si ritroverà ad abbracciare la sua donna di servizio; verrà
riportata alla vita reale dal calore del suo contatto
fisico, si ritroverà in lacrime a ringraziare e
chiedere perdono per le tante brutte parole lanciate nel passato,
come se all’improvviso un tocco magico l’avesse riportata da un
luogo buio e lontano.
Un
iraniano, proprietario di un negozio e la sua figlia medico, sono il
bersaglio della tempesta antiaraba scatenatasi dopo l’11 settembre.
Gli sguardi e le parole della gente sono continue e penetranti
frecciate che scatenano nell’uomo la voglia di rivalsa. Decide di
acquistare un’arma contro il parere della ragazza, per difendere
quella proprietà che sente minacciata dal risentimento
razziale che gli giunge da tutte le direzioni. Anche l’armiere
bianco da cui acquista il revolver non perde occasione per trattarlo
a malo modo ed insultarlo. Non sono solo gli americani di pelle
bianca a trattarlo con diffidenza e sospetto però, anche
ispanici, afro americani e asiatici non risparmiano di colpirlo con
la violenza delle parole non pronunciate a piena voce. Una notte,
ladri e teppisti s’introducono nel negozio distruggendolo quasi
completamente. L’assicurazione non copre i danni e il proprietario
finirà per prendersela con l’operaio ispanico che solo pochi
giorni prima aveva sostituito la serratura, cercando di dirgli che la
riparazione sarebbe stata inutile senza una nuova porta. La
frustrazione accumulata nel tempo trova libero sfogo nella rabbia
cieca che porta il negoziante iraniano a rintracciare l’operaio per
ucciderlo. Lo raggiungerà davanti alla porta di casa e finirà
per sparargli nell’istante in cui la bimba della vittima corre ad
abbracciare il padre. L’eco dello sparo sarà come il battito
di mani che risveglia il paziente da un’ipnosi, il
contatto con la realtà. Il destino premierà
tutti in questo caso. La pallottola non uscirà mai dalla canna
della rivoltella, perché per le magie che il fato a volte
regala, la pistola era stata caricata a salve. L’iraniano rimane
attonito e sotto shock, ancora con l’arma stretta nella mano. Solo
adesso si rende conto di cosa stava per succedere e guarda quel
oggetto tra le dita con orrore.
Un
operaio di origine ispanica deve spesso subire l’onta dei commenti
e della diffidenza razziale. La dignità deve aggrapparsi alla
forza morale e all’onestà per non reagire a tutto questo. A
casa l’aspetta una moglie e una bimba, una splendida bimba, che
vive a sua volta con grande dolore il terrore per gli atti di
violenza che a volte subisce la famiglia per l’appartenenza alla
propria etnia. Il papà una sera inventa una storia per
calmarla e gli racconta di aver ricevuto da un mago un mantello
invisibile che lo proteggerà da ogni cosa e che ora questo
mantello sarà indossato da lei. Più serena si calma e
si addormenta. Quando alcuni giorni dopo un uomo di origine araba in
preda ad un raptus di follia, si presenterà davanti al cortile
di casa per sparare al papà nell’istante in cui sta per
abbracciarlo, si accorgerà di aver ricevuto lo sparo ma di non
aver sentito nulla. Ancora tremante di paura ma felice tra le braccia
del padre gli sussurra:” Funziona papà, il mantello,
funziona!”. Contatto fisico testimone di
vita.
Una
giovane coppia di colore, lui regista televisivo, lei infermiera. Una
sera vengono fermati da una coppia di agenti di polizia, entrambi
bianchi. L’agente più anziano, Ryan (Matt Dillon),ha un
atteggiamento volutamente provocatorio e offensivo. Non risparmia
pesanti allusioni al colore della pelle dei coniugi. La donna
reagisce rabbiosa mentre l’uomo comprendendo quanto pericolosa
possa diventare la situazione, cerca in tutte le maniere di avere un
comportamento che disinneschi le provocazioni del poliziotto. La
donna finisce per essere perquisita e nel corso di questi attimi Ryan
la molestia sessualmente palpeggiandola in modo inequivocabile.
Saranno attimi di sordo dolore per la ragazza che dovrà subire
l’onta di quelle mani bianche e razziste. La coppia verrà
lasciata libera di proseguire grazie soprattutto al comportamento
ultra remissivo e accomodante del marito. Una volta liberi, la donna
vomita addosso all’uomo tutta la frustrazione per il gesto subito e
per la mancata reazione del marito in sua difesa. Volano parole
pesanti e anche nei giorni a seguire, l’ombra dell’episodio
grava su di loro come una cappa oscura. L’uomo, che sulle prime era
convinto di aver optato per il modo di agire più giusto,
s’interroga se la moglie non abbia davvero ragione nel ritenerlo
senza palle e orgoglio. Quando alcuni giorni dopo, nel corso di una
discussione di lavoro si accorge di aver ceduto alle ingiuste pretese
del superiore senza opporsi, la fiamma della frustrazione divampa in
incendio. Quasi nelle stesse ore l’uomo e la donna sono
protagonisti di due eventi paralleli e sconvolgenti. La moglie rimane
vittima di un incidente stradale e resta intrappolata nell’auto
rovesciata. A prestargli soccorso sarà proprio Ryan. Nel
vederlo avvicinarsi la donna viene presa dal terrore e dal panico,
non tanto per la situazione di estremo pericolo, ma per il trauma
evocato dall’episodio di alcune sere prima. La paura, la rabbia e
l’odio istintivi che ha provato per quel uomo sono superiori ad
ogni altra sensazione. L’uomo sembra diverso, non ha lo stesso
sguardo e sembra sincero quando gli grida che è lì per
salvargli la vita. Lo fissa negli occhi e si calma, gli occhi parlano
una lingua diversa. Lo tocca, gli si aggrappa, ma l’uomo non riesce
a liberarla, poi arrivano le fiamme, improvvise, rabbiose. L’aria
diventa rovente, e cresce palpabile la paura di morire. L’agente
viene tirato fuori dai colleghi e le mani della ragazza rimangono
prive di appiglio, di contatto. Urla, grida, disperata, tutto il suo
orrore e terrore per una morte assurda, improvvisa e terribile.
Sembra finita in quegli attimi interminabili dove rimane sola tra le
fiamme, ma all’improvviso sente l’appiglio afferrarla di nuovo,
come animato di energia vitale irresistibile. Si sente strappata alla
morte e dall’auto e viene portata in salvo pochi istanti prima che
l’ammasso contorto incandescente esploda. Si ritrova in piedi ad
abbracciare il suo salvatore con tutta l’anima, un
contatto fisico portatore di vita, capace di azzerare tutto
l’odio provato in passato.
Il
marito di ritorno dal lavoro viene aggredito da un giovane rapinatore
di colore, ma questa volta la rabbia immagazzinata gli dona coraggio
e forza sconosciute e irrazionali. Reagisce in modo sconsiderato ed
eccessivo fino a giungere al punto che l’auto con a bordo
rapinatore armato e rapinato viene fermata dalla polizia. Il regista
scende dall’auto ormai fuori di testa e urla contro le forze
dell’ordine tutta la sua incapacità di subire ancora. Giunge
ad un passo dal farsi ammazzare nel non assecondare gli ordini della
polizia, ma a salvargli la vita sarà l’intervento di un
giovane agente che lo riconosce. E’ il giovane collega di Ryan che
interviene prendendo in mano la situazione e riportando la tensione
sotto il livello di guardia. Lo scontro come contatto
che riporta alla ragione. Nel rientrare nella sua auto troverà
ancora il rapinatore che è rimasto accucciato e terrorizzato
nell’abitacolo. Tutti si sono dimenticati di lui e potrà
alla fine andarsene libero ma segnato nel profondo dall’accaduto.
E’
sera, turno di pattuglia lungo le strade della tormentata Los
Angeles. Ryan l’agente anziano e capo pattuglia ordina al suo
giovane collega di fermare un SUV sospetto. Entrambi sono consapevoli
che la descrizione dei ladri da ricercare non corrisponde agli
occupanti. Sono sulle tracce di due adolescenti neri ma bordo vi è
un uomo e una donna, ugualmente di colore e Ryan li ferma per questo.
E’ carico, tracotante, l’animo profondamente razzista trasuda dai
pori, il desiderio di rompere le palle a quei due negri con quella
macchina da migliaia di dollari sale alle stelle. Nel controllare i
documenti li provoca, li insulta. L’uomo non reagisce alle
provocazioni, la donna sì. E’ ciò che cerca, intima
alla ragazza, molto bella e raffinata, di posizionarsi per ricevere
la perquisizione. La donna schiuma di rabbia ed è quello che
il poliziotto sperava. La fa appoggiare all’auto, mani in avanti e
inizia a perquisirla, a toccarla, pesantemente, senza equivoci. Le
mani con il loro tocco ripugnante violano la pelle della ragazza:
seno, fianchi, glutei, cosce vengono palpeggiati sotto gli occhi del
marito e del collega. Lo sbirro gode infinitamente di quegli istanti,
perché disprezza quel colore e forse tutti i colori. Non sa
nemmeno lui il perché. O forse si, ma non importa, ciò
che si deve fare è fargliela pagare in tutti i modi e questa
sera ha scelto questa donna, bella, di classe e soprattutto dal
temperamento ribelle. Con lei c’è più gusto, con
quello smidollato senza palle del marito non ci sarebbe da
divertirsi. Purtroppo non si può prolungare quegli istanti
all’infinito. Lo sguardo imbarazzato e schifato del suo collega,
quasi lo irritano e decide che è meglio finirla lì. Il
marito non gli regala la soddisfazione di dargli un pretesto per una
bella ripassata e quindi li lascia andare. Il turno finisce e giunge
l’ora di tornare a casa. Trova come sempre il padre gravemente
malato. Dinanzi alla vista del suo vecchio sofferente esplode la
rabbia e telefona per l’ennesima volta al centralino dei servizi
sociali. L’operatrice di turno viene inondata dal suo sfogo. Tenta
di essere d’aiuto ma l’arroganza di chi sta dall’altro capo del
filo valica il confine dell’offesa e non rimane altro che mandare
quel cafone a quel paese. Trascorrono i giorni e Ryan si reca di
persona in ufficio per chiedere aiuto. A riceverlo troverà la
medesima funzionaria che ironia della sorte è una signora di
colore. L’arroganza non è stata dimenticata e a nulla vale
l’appello dell’uomo di aiutare un vecchio malato, un uomo che nel
corso della sua vita ha difeso con onestà la legge e tutelato
gli afro americani. L’odio trasparente del figlio cancella l’onestà
del padre. La funzionaria dei servizi sociali lascia trasparire di
poter forse fare qualcosa, ma non per lui, non per suo padre. Non
lesina le rasoiate. Non dimostra comprensione per chi fa
dell’arroganza e del razzismo un uso così sfacciato. Un
altro giorno di lavoro. Ryan s’imbatte in un incidente
automobilistico appena verificatosi. Un auto è rovesciata e
all’interno vi è una donna intrappolata. Si precipita
all’interno per scoprire con immensa sorpresa di trovarsi di fronte
la giovane molestata alcune sere prime. La donna rimane sconvolta,
dimentica lo stato in cui si trova e in preda al terrore lo respinge
con tutte le sue forze. Grida e colpi verso l’uomo che passato il
momento di sorpresa cerca di riconcentrarsi sul lavoro da fare.
Inizia a parlare alla ragazza, a guardarla negli occhi e catturando
il suo sguardo riesce a toccarla per tranquillizzarla. Senza
rendersene conto, preso dall’istinto di poliziotto, mostra la parte
umana e priva di condizionamenti della sua anima. Gli occhi ne sono
lo specchio e trasmettono segnali nuovi.
Ryan
dovrà far ricorso a tutta la sua esperienza per calmare la
donna, ma proprio quando sembra riuscirvi la situazione precipita e
l’auto s’incendia. L’agente la prende con forza, tenta in tutte
le maniere di estrarla dalle fiamme ma non riesce a liberarla dalle
cinture bloccate. L’abitacolo è invaso dal fuoco ma non
molla la presa fino all’istante in cui i suoi colleghi lo strappano
dalle lamiere oramai prossime all’esplosione. Ryan è
trascinato lontano dall’auto, ma il suo sguardo è
pietrificato sul viso della donna che in lacrime urla disperata tra
le fiamme. Ha un impeto, un gesto rabbioso e con uno scatto sfugge
alla presa degli altri agenti e si tuffa nuovamente tra il groviglio
rovente. Una forza improvvisa lo anima, un vigore che non passa dal
cervello, che arriva direttamente da quella mistura di cellule e
chimica che ci rende essere umani, liberi dai pregiudizi, senza odi,
senza trappole costruite dal nostro passato o di chi ci ha cresciuto
o vissuto a fianco. La differenza tra la vita e la morte attraversa
istanti fulminei e Ryan coglie gli ultimi utili a sua disposizione:
senza nemmeno capire come, trova il modo di liberare la donna e di
scivolare dalle lamiere incandescenti pochi attimi prima che l’auto
deflagri. Una volta all’esterno stringe con passione la vita appena
salvata cha a sua volta si abbandona tra le sue braccia in un pianto
liberatorio. Contatto fisico che ridona alla
realtà il vero valore della vita umana.
Due
adolescenti di colore. Il primo tarato mentalmente con la fobia
radicata del vittimismo razziale. Il secondo razionale e positivo,
capace di cogliere con oggettività la visione di una realtà
dura ma mai scontata, nel bene e nel male. Decidono di rapinare una
coppia di bianchi che per look e automobile appaiono visibilmente
ricchi. A mano armata si fanno consegnare portafogli e SUV. Con
l’auto appena rubata investono un signore asiatico. Si fermano, lo
raccolgono e lo scaricano davanti ad un pronto soccorso in fin di
vita. Si scoprirà che questo uomo era appena disceso da un
furgone dove trasportava clandestini immigrati dall’Asia. Tra un
tormentato e logorroico sproloquio del primo giovane e una battuta
del secondo, i due si separano. Il primo non resiste alla tentazione
e tenta di rapinare un uomo di colore salendo a mano armata sulla sua
auto. Il proprietario reagisce, la situazione degenera, vengono
inseguiti e fermati dalla polizia, ma sarà il comportamento
rabbioso e imprevedibile della sua vittima a consentirgli di uscire
senza danni dalla complicata circostanza. Una severa lezione che
lascerà un segno. Un destino che ancora una volta si dimostra
generoso con chi ha della vita una visione così limitata,
distorta dal pregiudizio, dove essere negri sia sinonimo obbligato di
sfortuna e persecuzione. Una sera il secondo rapinatore sta facendo
l’autostop. Nel cuore sente un vento nuovo e intende dopo una
giovane vita spesa in malo modo, dare una svolta positiva
all’esistenza. Viene caricato da un giovane bianco. I due ragazzi
all’inizio parlano tranquillamente, ma chiacchiere e sorrisi fanno
presto spazio ad una crescente tensione. E’ sera, è Los
Angeles, un nero sulla macchina di un bianco fa crescere il sospetto
di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il bianco si
comporta con fare sempre più sospettoso ed i suoi silenzi
sempre più lunghi addensano l’ansia e cresce il dubbio di
essere confusi con chi non si vuole essere in quel momento. Il nero
intuisce dagli sguardi dell’autista che il rigonfiamento nella
propria tasca della giacca a vento, è la fonte dei suoi dubbi.
Decide di allungare la mano verso la tasca, vuole mostrargli cosa
contiene, non è altro che una statuetta di un santo, identica
a quella che vi è sul cruscotto. Ne verrà fuori una
risata, tutto si aggiusterà, ma non riesce a completare ne il
pensiero, ne l’azione perché all’improvviso, dal niente,
spunta una pistola tra le mani del giovane bianco e l’arma fa fuoco
come animata di una vita sua, senza che grida o parole riempiano il
silenzio. In una frazione di secondo comprende che il suo soffio
vitale sta per esaurirsi e che non avrà più il tempo
per dire una parola, a nessuno. Riesce solo ad estrarre la mano e
mentre muore la apre con lentezza per rivelarne il contenuto, poi
tutto diventa buio e freddo. Scontro come fine
della strada, contatto che non lascia possibilità.
Graham
è un detective della polizia e lavora in coppia con una
avvenente collega di origini ispaniche. Stanno svolgendo un’indagine
scottante che riguarda un collega di colore ucciso da un sospetto di
pelle bianca. Il legame che conduce il sospettato ad un intrigo di
potere, porta gli investigatori a dover assecondare la realtà
che emerge dalle indagini agli ordini dettati da interessi politici.
Questo è solo uno dei compromessi che costella l’esistenza
di Graham. Fare sesso con la collega e subire costantemente i
rimbrotti dell’anziana madre che lo accusa di trascurare la
famiglia per il lavoro e le donne, sono le facce dello stesso dado.
Al di sopra c’è una consapevole incapacità di trovare
un equilibrio, in una città e società dove la realtà
delle cose è sopraffatta dalla freddezza dell’anima e dalla
gelida razionalità delle situazioni. Essere nero e ambire ad
un ruolo di rilievo, comporta l’accettare che ancora oggi non vi è
l’uguaglianza razziale tanto rivendicata. L’ambizione può
indurti a voler più o meno consciamente, cancellare le proprie
origini, per allontanarti dalle discriminazioni che ancora mietono le
carriere. Tutto ciò può avere un prezzo salato però
e Graham lo comprenderà nel ritrovare il proprio fratello
minore morto ammazzato a lato della strada. Il respiro si ferma. La
coscienza esplode. Morte che crea fratture insanabili. La madre lo
incolperà della sua fine. Lo accuserà di aver scordato
di avere un fratello. Quel fratello oscurato quasi a voler cancellare
il ricordo del colore della propria pelle. Graham è distrutto
perché in cuor suo sa che la madre ha ragione. Un ragazzo che
aveva una possibilità perché risiedeva nobiltà
nel suo cuore, ma incapace di farcela da solo in un’america così
ancora troppo dura per tanti. Un contatto che
si stinge troppo tardi,
Non
sempre avere come compagni di pattuglia agenti esperti e abili del
mestiere come Ryan è sinonimo di serenità. Se nel tuo
dna risiede la capacità di sognare, una visione del mondo
ancora regolata da principi e valori d’uguaglianza e di rispetto
per il prossimo, può diventare un problema il tollerare un
superiore che fa dell’arroganza e del sopruso un metodo di lavoro
ed uno stile di vita. E’ così che dopo aver assistito una
sera ad un vergognoso episodio di provocazione e violenza verso una
coppia di colore, l’ennesimo, ci si sente con la voglia di dire
basta. Si riflette sul senso che abbia vestire una divisa da
poliziotto se poi si deve restare testimoni silenziosi di simili
atti. Contro il parere di tutti, consapevole d’incontrare
l’ostilità dei colleghi, ma fedele al proprio senso di
giustizia, il giovane e biondo agente denuncia l’accaduto e
richiede formalmente di cambiare il compagno di lavoro. La reazione
dell’ambiente sarà dura e senza sconti. I panni sporchi
vanno lavati in famiglia: chi si comporta in contro tendenza corre il
rischio dell’isolamento. Il cameratismo di gran parte degli altri
agenti solidali a Ryan, comporta derisione e lavoro in solitudine. La
cosa più importante è aver fatto prevalere ciò
che si riteneva giusto. Quando un giorno, fedele al proprio credo e
animato di coraggio ed iniziativa, sarà capace di risolvere
una situazione delicata salvando la vita di un bravo uomo frustrato e
confuso, si sentirà in pace con se stesso. Si sente più
forte, più sicuro di se e delle sue scelte. Il caso gli ha
persino permesso di risarcire un debito che sentiva di aver contratto
verso quel cittadino, per non essersi opposto all’operato del
superiore.
Una
sera, finito il turno di servizio, è in auto per le strade di
una Los Angeles mai serena. Vede un ragazzo di colore a lato della
carreggiata che fa l’autostop. Si ferma e lo fa salire a bordo. Il
giovane ha un’aria serena e sorridente e non sembra pericoloso. Si
chiacchiera e si sorride come deve essere normale tra qualsiasi
coppia di giovani di ogni angolo del mondo. Lentamente però,
come una presenza animata di vita propria, s’insinua nell’abitacolo
dell’auto il seme della diffidenza. Cresce rapidamente, silenziosa.
Le parole lasciano spazio al silenzio e questo alimenta il sospetto.
Nella mente dell’agente, la cultura, l’addestramento, il luogo
comune che vede tanto spesso giovani neri come il ragazzo che ha di
fronte, protagonisti attivi di rapine e omicidi prendono il
sopravvento. Al di sopra di ogni cosa, prevale quella porzione di noi
che accetta con fatica il diverso, quella frazione incapace di
azzerare i condizionamenti e le paure dettate dalle regole
dell’ambiente che ci circonda. Eppure la sua mente sembrava libera
e positiva, capace di far fronte a questo male. Il suo sguardo si
posa sulla tasca della giacca a vento del passeggero. E’ rigonfia,
contiene un oggetto ingombrante. Cosa può essere?
La
mente compie una scansione istantanea e la risposta è una
sola: ragazzo nero, di strada, è sera, tasca gonfia, oggetto,
arma. Pochi secondi e comprende come il nero gli abbia letto nella
mente e vede muovere la sua mano verso la tasca. Senza accorgersene,
mossa da un riflesso condizionato dettato dal terrore, il biondo
giovane agente impugna la pistola e fa fuoco in un solo istante.
Nessuna parola, nessun perché! Vede negli occhi del ragazzo di
colore orrore e sorpresa. Si spegne e gli muore accanto senza
riuscire ad esalare un sospiro. Il bianco è sotto shock, non
si è reso conto di ciò che è accaduto. Si trova
a stringere una pistola fumante e ha appena sparato ad un coetaneo al
suo fianco, nella sua auto. Solo un minuto prima era sereno, felice,
orgoglioso di se. La mano della vittima si apre lentamente. Prima di
esalare l’ultimo respiro riesce a mostrargli cosa conteneva la sua
tasca: una statua di San Cristoforo, identica a quella che lui stesso
ha sul cruscotto. Lo shock diventa orrore totale, accecante,
assordante. Crash, contatto fisico sinonimo di
morte, fine della vita, dei sogni, pregiudizio che vince sul cuore,
anima destinata a bruciare per l’eternità.
Ho
scelto volutamente di entrare nel dettaglio di ogni singola porzione.
Troppe le emozioni da raccontare per relegare alcune parti ad una
fredda sintesi. Nonostante mi sia sforzato di ricercare le parole più
vere sò di non poter rendere giustizia ad un lavoro così
profondo e ben costruito. Paul Haggis credo sia alla prima prova da
regista, ma numerose sono le sue collaborazioni e tra queste è
il caso di segnalare la sceneggiatura di “Million Dollar Baby”,
film sovrano della scorsa stagione. “Crash” ha suscitato una
discreta sorpresa nell’aggiudicarsi tre statuette agli oscar 2006
ma lo stupore scompare una volta visto la pellicola. Il premio al
miglior film, alla miglior sceneggiatura originale e al miglior
montaggio, fotografano i meriti a pieno. Come dicevamo all’inizio
la scelta del tema, difficile e denso di potenziali trappole, una
sceneggiatura complessa e articolata, capace di comporre come una
sinfonia, un quadro d’insieme della società multi etnica
americana a dir poco inquietante e un montaggio incalzante che ti
costringe per lunghi tratti a restare incollato alla storia con il
fiato sospeso, rendono a parer mio“Crash”, il miglior film della
stagione fino ad oggi.
Ognuna
delle storie che ho ripercorso separatamente è stata fusa ed
intrecciata nell’altra con abilità e sensibilità.
Haggis ci porta all’interno della vita di uomini e donne della
strada, che popolano Los Angeles come qualsiasi altra metropoli
d’america. Sono esistenze dure, difficili, popolate da incubi di
varia natura, che trovano un punto d’incontro nella comune
diffidenza reciproca. Si respira un clima di tutti contro tutti,
senza un minimo di solidarietà. Un sentimento che dovrebbe
accomunare quanto meno chi è costretto a navigare nelle
medesime precarie condizioni. Invece non è così. Afro
americani, bianchi, asiatici, ispanici, arabi, tutti impegnati in una
continua caccia reciproca, tutti incapaci di comprendere come i
motivi della loro rabbiosa insoddisfazione abiti nella non capacità
da parte di una società, di consentire a tutti un’opportunità
senza che questa passi per il dover sopraffare un tuo simile. Credo
molto nell’antico detto che dice”Chi semina vento, raccoglie
tempesta!”. Chi come il governo degli Stati Uniti è stato
così impegnato negli ultimi anni ad “esportare” la sua
democrazia, ignorando la giustizia sociale dei suoi abitanti, non può
che raccogliere oggi i frutti di una sconsiderata e premeditata
politica. Da sempre, le porzioni più deboli e vulnerabili
della comunità, è consigliabile conservarle in un clima
di conflitto reciproco per impedire che possano con la consapevolezza
e la forza dell’unione, costituire un pericolo per chi vuole del
potere fare un’opera di arricchimento per pochi privilegiati. Il
governo Bush è una testimonianza esemplare di questo concetto.
Una volta in carica, trascuriamone il discutibile percorso
elettorale, ha centrato il suo mandato nel soddisfare tutti coloro
che avevano profumatamente finanziato la sua corsa alla presidenza.
Che questo potesse cadere in forte contraddizione con i bisogni reali
del suo popolo è risultato assolutamente secondario. Ha
calpestato ogni pillola di buon senso in ambito finanziario,
ambientale, sociale, fottendosene degli interessi pubblici, ma
prestando attenzione ad arricchire solo una ristretta cerchia di
collaboratori. Ho conservato per ultima quella che è stata “la
madre di tutte le sue nefandezze”: la politica estera e le guerre
ad Afghanistan e Iraq. Sfruttando la comprensibile emotività
collettiva, scatenatasi dopo l’11 settembre(vi giuro che nonostante
l’orrore che un simile pensiero fa sorgere, sempre di più mi
pongo la domanda se non ci abbiano preso per i fondelli al riguardo),
ha trovato la strada spianata per poter finalmente svuotare gli
arsenali e soddisfare le impellenti necessità imprenditoriali
di tutto il settore che ruota attorno all’industria della guerra.
Il tutto con la benedizione della comunità nazionale ed
internazionale. I maggiori finanziatori della sua campagna
elettorale, residenti nel settore petrolifero e bellico, hanno
riscosso il bonus che gli spettava. Ma non si è fermato qui.
Il terrorismo internazionale è divenuto un pretesto per acuire
oltre ogni misura il senso d’insicurezza della gente, seminando in
modo diffuso la paura e la diffidenza verso gli arabi e gli
stranieri. In una nazione come gli USA, dove il multi razziale è
insito nel dna della comunità, agire in questo modo è
quasi un atto criminale. Invece di rinsaldare le fila e mirare alla
coesione delle tante razze, puntando ai concetti di solidarietà,
si è ricordato di ispanici e neri solo nel momento di mandarli
in guerra a morire per il petrolio iracheno, inventando la sola delle
armi di distruzione di massa. Gli arabi poi, sono stati messi sotto
la lente senza sforzi ulteriori, semplicemente sull’onda della
psicosi generale. Giocare su questo clima per rinfoltire le azioni
che miravano ai suoi progetti è venuto da sé. Il
risultato in termini di ricadute sulla collettività sono
evidenti e ben raccontati da questo film, che sarà pura una
narrazione, ma che trae spunto da una realtà inconfutabile.
Pare
però che 4 anni di simili crimini non siano bastati, perché
alla prova del nove, il caro Bush è stato rieletto dal “suo
popolo”con uno tsunami di voti.
Mi
sono lasciato prendere la mano, ma ci sono cose che mi fanno
veramente imbestialire.
Per
come è stato concepito, “Crash” non consegna a nessun
attore il ruolo di protagonista assoluto. Possiamo parlare di un
contributo corale da parte degli artisti che hanno recitato. Ognuno a
svolto la propria parte, incastonando il proprio apporto tra quello
degli altri colleghi, secondo la direzione del maestro d’orchestra.
Piuttosto che di un’interpretazione più di un'altra, mi
sembra giusto parlare di sequenze con picchi d’emozione che si sono
elevati al di sopra di una media già di per se altissima.
Momenti che manco a dirlo, corrispondono con alcuni dei “contatti”
che Haggis ci racconta.
Tra
i tanti vorrei ricordarne alcuni.
Sul
gradino più alto dell’angoscia generata non vi è
dubbio di poter posizionare l’attimo che vede il negoziante
iraniano sparare alla bambina ispanica. La mia Monique è
saltata dal divano. In un secondo interminabile, dove il tempo si
ferma, temi l’orrore assoluto. Lo temi perché sei entrato
nel clima della dura realtà raccontata e sai che non vengono
fatti sconti. Invece con un vero tocco di magia, realizzi come un
dettaglio assolutamente marginale, sorpassato da più di
mezz’ora di film, consenta alla bimba di sopravvivere e di uscire
senza tragedie dal “contatto fisico”.
Grande
spunto emotivo è trasmesso dalla sequenza dove Ryan salva la
vita alla giovane di colore dall’auto in fiamme. La metamorfosi del
poliziotto davanti all’orrore della morte, lo porta a ritrovare
tutta la sua umanità e con esso coraggio e spirito di
sacrificio. E’ bastato toccare la donna, sentirla veramente e
guardarla con occhi di uomo, per ribaltare le energie in circolo, per
trasformare l’odio razziale in ostinata lotta per la vita. Attori
bravissimi, grande cura della espressività, degli sguardi e
dei tempi. Suspence vera che sfocia in un rabbioso e conclusivo
finale positivo liberatorio.
Per
ultimo, e non in ordine d’importanza, pongo il frangente dove il
giovane agente biondo finisce per sparare al ragazzo di colore che si
scoprirà fratello di Graham. E’ una tragedia che Haggis ti
spara in faccia all’improvviso. In altri momenti ti porta a temere
il peggio per poi risparmiarti, ma qua consegna al “contatto”un
messaggio di morte. Dramma che colpisce e condanna vittima ed
uccisore. Istante carico di un significato particolare, perché
vede contaminato con il seme del pregiudizio uno dei pochi personaggi
che aveva mostrato tutta la forza in suo possesso per alzarsi al di
sopra del grigiore generale. Il suo nobile spirito non riuscirà
a salvarsi dai condizionamenti e la sua auto che brucia per
cancellare le prove, è metafora della sua anima che arderà
all’infinito.
Una
parola per le musiche della colonna sonora, incalzanti e angoscianti,
a scandire un susseguirsi di drammi sfiorati o centrati,
apparentemente irreali ma consapevolmente possibili.
Il
contatto umano viene eletto come terapia da adottare con posologia
giornaliera. Una cura contro il male della diffidenza. Una via per
costruire una casa meno ostile per tutti. Non dobbiamo dimenticare di
essere prima di tutto uomini e che quasi sempre, la persona anche
sconosciuta o straniera che ci troviamo dinanzi, è uguale a
noi, con le stesse paure e le medesime speranze: teme il diverso e ha
bisogno di calore umano. Purtroppo è insita nel nostro animo,
la tendenza a catturare e ricordare su tutto gli episodi negativi,
dove l’incontro ha dato frutti amari. Questi vengono conservati in
cima alla lista e formano il pregiudizio, cancellando le circostanze
ben più numerose dove il contatto ha generato calore.
Pensiamoci.