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… E ORA PARLIAMO DI KEVIN
di Enrico Gatti


Regia: Lynne Ramsay
Gran Bretagna, USA, 2011
Voto:8 ½



Dopo Ratcatcher e Morvern Callar, la scozzese Lynne Ramsay torna sul grande schermo con una storia tragica e potente, quella di …E ora parliamo di Kevin. Il film, diretto e sceneggiato dalla stessa Ramsay, è una finestra sulla tragedia di una famiglia alla prese con un giovane che definire problematico sarebbe un eufemismo. Dalla convincente, ed inquietante, interpretazione del giovane Ezra Miller (Kevin) emerge la personalità disturbata di chi, in un certo senso, sembra non voler essere messo al mondo. Con una storia che per certi versi ricorda quella de Il quinto figlio (di Doris Lessing), vengono delineati i difficili rapporti fra il figlio e la propria madre; madre che ad un certo punto deve esorcizzare se stessa da quella visione edulcorata di maternità che avrebbe voluto vivere, per lasciare il posto ad una realtà ben poco consolante. L’odio e l’amore sprigionati dalle potenti immagini del film riempiono di significato ciò che rimane imperscrutabile, non solo agli occhi di chi guarda, ma anche agli stessi protagonisti, incapaci di decifrare gli avvenimenti e tanto meno i loro sentimenti.
Per questo film la regista sceglie uno stile particolarmente ricco, barocco persino, a tratti visionario, carico di simbolismi e dettagli. Il montaggio gioca col tempo, scomponendolo e ricomponendolo in modo frammentato, e coi particolari dei corpi e degli oggetti imprimendo su ogni centimetro di pellicola un significato ben preciso. Questa complessità, a volte forzata, penalizza in parte il ritmo dell’intero lungometraggio, ma elude di gran lunga la banalità con la quale spesso questi temi vengono esposti. Anche grazie a questi virtuosismi infatti, i personaggi diventano tangibili al pari delle loro ansie e dei loro sentimenti. Non è solo la tragedia ad essere mostrata, quello che più emerge sono il vuoto, la solitudine e l’incomprensione di fondo che spesso governano i rapporti umani. La paura che nasce da questa insensatezza può assumere le più svariate forme tramutandosi in senso di colpa, inadeguatezza, odio, rabbia e ansia, e più diventa indispensabile la ragione per governare questi sentimenti, più quest’ultima deve arrendersi di fronte al caos dell’esistenza.
Coi suoi occhi, intensi ed enigmatici, profondi eppure vicinissimi, Tilda Swinton esprime tutto questo a anche di più, regalando al pubblico un’interpretazione fuori dall’ordinario. Il suo volto, le sue mani, il suo corpo parlano più forte delle parole riempiendo anche quei silenzi così immobili da essere più angosciosi della violenza palesata.
Un film non semplice per un tema irrisolvibile. Da non perdere.


Il film è l’adattamento cinematografico del romanzo di Loinel Shriver dal titolo Dobbiamo parlare di Kevin.
La musica di Jonny Greenwood stride nel voler essere originale a tutti i costi. La scelta del country risulta eccessivamente calcolata e per questo poco spontanea oltre che per niente riuscita.
Film non consigliato a chi ha problemi col colore rosso.

 

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