IL
PIANISTA – voto: 8
Ho
perso il conto oramai di quanti film ho visto, libri ho letto, storie
narrate ho ascoltato sul nazismo e sulla persecuzione ebraica. Ho
perso il conto dicevo, ma non riesco ancora a provare assuefazione, e
mi auguro con tutto me stesso di continuare a sentire le stesse cose
per molto tempo. Credo fermamente che alcuni film dovrebbero essere
proiettati ad ora di pranzo, o di cena, o nelle scuole, nei
ristoranti, nelle pizzerie, perché risultino dei pugni nello
stomaco, che tolgano l’appetito, il sonno e per alcuni istanti la
voglia di ridere, di parlare, di sognare. Ciò che è
avvenuto in tutto il centro Europa in quegli anni, rappresenta il
peggior orrore per dimensioni, crudeltà e premeditazione che
la storia dell’umanità possa ricordare. Sono frasi
retoriche, concetti già espressi un sacco di volte, ma ho la
netta sensazione che mano a mano il tempo ci allontana da quei
giorni, vi sia una porzione della nostra società, che cerchi
in maniera subdola e meschina di lasciar scivolare nelle retrovie
della memoria quella immane e vergognosa carneficina. Cercano di
farlo nell’ombra, non alla luce del sole, perché
risulterebbe ai più un atto talmente ignobile, che si
rischierebbe il pubblico ludibrio. E’ proprio per questo, che tutti
i gesti, le opere e le testimonianze che conservano vivi i ricordi di
quei giorni, meritano da parte mia un premio speciale per il solo
fatto di esistere. Il PIANISTA è molto di più di una
semplice opera: è un grande film. Leggendo alcune recensioni,
c’è chi sostiene che questo è il capolavoro della
carriera di Roman Polanski; non lo so, perché non conosco
molto gli altri lavori di questo artista. Posso affermare però,
con assoluta certezza, che questo film è splendido, che con
assoluto merito ha conquistato la palma d’oro all’ultima rassegna
cinematografica di Cannes. E’ un inno disperato e fortissimo alla
vita, da strappare ad ogni costo ad un destino che non lascia
speranze.
Il
pensiero diventa dolore se con totale trasporto, si viene guidati
nelle vite degli uomini protagonisti di quel tempo. Spesso davanti a
queste storie cerco di lasciarmi andare, per entrare nel cuore di chi
racconta, o di chi è narrato, per cercare di catturare anche
solo per un attimo, la sofferenza che uomini come me hanno dovuto
attraversare; è inutile, non si riesce. Non si può
ricostruire nell’immaginazione tanto dolore ed inumana crudeltà.
Non si può concepire come la vita che scorre il suo corso
naturale, con le gioie, i dolori, i sentimenti che legano e dividono
le vite di tante persone, i figli da crescere, il lavoro che ogni
mattina ti aspetta, come ogni grande e piccola seccatura da
affrontare quotidianamente, ogni cosa, venga improvvisamente
cancellata. E’ un “improvvisamente” molto relativo, che avanza
piano, ma talmente mostruoso da ritenerlo impossibile a verificarsi.
Quando la tragedia si manifesta in tutta la sua atrocità,
Wladislaw Szpilman, tra i più celebri, famosi, e abili
pianisti polacchi, vede il suo mondo, la sua arte, la famiglia, gli
amici, tutta la sua vita, travolta da una serie di eventi e
limitazioni che si susseguono a catena. Sono talmente immense nella
loro crudeltà da apparire inverosimili, fino al momento in cui
la già tremenda rinuncia alle proprie cose, che ha il suo
culmine nella reclusione nel ghetto di Varsavia con i primi atti di
repressione violenta ed eliminazione fisica in pubblico, si trasforma
nella vera soluzione finale. Szpilman è un uomo mite,
apparentemente fragile, incapace di qualsiasi atto di ribellione, con
il grave handicap di non saper fare null’altro che suonare il
piano. Quando la sopravvivenza diventa difficile e la differenza tra
vivere e morire è legata al caso, al camminare sul lato destro
anziché sinistro della strada, al riuscire a piantare un
chiodo o meno, al esser capaci di portare una cariola più
carica di un altro uomo, comprende tutta la sua incapacità al
poter sopportare tutto questo. Non c’è il tempo per
riflettere, non c’è spazio per i tentennamenti. La sua
famiglia verrà completamente deportata, gli amici alienati, e
da ora solo l’istinto e il fato potranno salvarlo. Inizia un
lunghissimo viaggio che lo porterà fino ad un passo dalla
morte in un numero incredibile di circostanze. Come in altre tante
occasioni, le testimonianze dei sopravvissuti, mettono in risalto
come il loro essere ancora in vita non aveva in se nulla di eroico.
Erano vivi per puro caso, per le ragioni misteriose che regolano
l’universo, dove ognuno di noi ritrova la forza della propria fede
religiosa o del destino. Il fato a volte aveva sembianze umane,
incarnandosi in uomini e donne che a rischio della propria vita,
costruirono una rete clandestina che aiutò a vivere nell’ombra
decine di ebrei per mesi e anni, portandoli prima fuori dal ghetto, e
poi trovandogli un rifugio, cibo e sostentamento. Il nostro
protagonista che ha il volto di un bravissimo Adrien Brody, toccherà
l’inferno della solitudine quando la totale distruzione che
Varsavia subirà nella parte finale della guerra, taglierà
i ponti con qualsiasi tipo di contatto amico. Ma anche qua quando la
fine è oramai ad un passo, il caso prende la forma di una
particella di umanità che per miracolo è scampata al
disastro. Sarà un ufficiale tedesco che cogliendolo nell’atto
di suonare al pianoforte di una casa diroccata, decide che è
il momento di dire basta, è l’ora di fermare la bestia umana
che ha sconvolto il mondo, e forse uno dei primi uomini a beneficiare
di quel mutamento di coscienze è il nostro artista polacco. La
musica lo stava per uccidere, e la musica gli salverà la vita.
Un inno alla vita citavo all’inizio, un omaggio al desiderio di
continuare a respirare comunque e a qualsiasi costo anche solo per
strappare pochi minuti per volta alla morte. Uno degli aspetti più
terribili è se si pensa per quanto tempo questi uomini hanno
dovuto sopportare tutto questo, e che per tanti la morte è
arrivata a pochi giorni se non ore dalla libertà, dopo aver
comunque sofferto e patito quel che sappiamo.
Ho
terminato improvvidi lettori di questa mia scalcinata e
dilettantistica recensione. Tante volte ho cercato di immaginare che
ne sarebbe stato di me, se trasportato in quel tempo mi fossi trovato
al posto di quelle persone: non vi è risposta. L’unica
riflessione sensata che riesco a formulare, è che mi ritengo
incredibilmente fortunato a vivere questa di epoca, pur con tutte le
sue difficoltà ed i suoi disagi. Di questo si deve ringraziare
in primo luogo tutti coloro che negli anni hanno dato la vita per
difendere il diritto ad essere liberi, e questa amici non la si deve
mai considerare una frase retorica. Ora sta a noi !