Una
storia toccante e profonda racconta di un disagio senza tempo
Il
Papà di Giovanna – voto : 7
La
trama
Siamo
a Bologna nel 1938, in pieno ventennio fascista, e Michele Casali (
Silvio Orlando ) è un professore di disegno che insegna nel
medesimo liceo frequentato dalla figlia Giovanna ( Alba Rohrwacher ).
Casali è un docente un po’ fuori le righe, spesso
controcorrente, ma il suo difetto più grande si rivelerà
il prolungare anche tra le mura scolastiche il suo ruolo di padre.
Giovanna è una 17enne non bella, ricca di complessi, dal
carattere difficile e chiuso, con la tendenza a distorcere la
percezione della realtà e molte difficoltà nel
socializzare. A complicare le cose concorre il comportamento del
padre che da sempre si rifiuta di vedere la figlia come una ragazza
diversa dalle sue coetanee. Michele ha un’adorazione quasi malata
per la figliola, assecondandone stranezze e fantasie, e cercando in
tutti i modi di incoraggiarla anche nell’inseguire sogni romantici
proibiti. Un atteggiamento questo, che sin dall’infanzia di
Giovanna è motivo di scontro con la moglie Delia ( Francesca
Neri ), una donna bellissima, ma aspra e frustrata. Una
insoddisfazione che nasce da una vita non facile in un epoca di
sacrifici, condita da un lungo matrimonio mai acceso dalla passione,
e dal peso nell’anima per quel cordone ombelicale tra padre e
figlia che a differenza di quello naturale nessuno ha mai troncato.

Il
professore un giorno, elargisce un trattamento di favore ad un
piacente studente, l’ennesimo gesto per assecondare una illusione
della figlia. Infatuatasi del compagno di scuola e incapace di
metabolizzare la inevitabile delusione sentimentale, Giovanna reagirà
con un violento e rabbioso gesto omicida dinanzi allo svanire di un
nuovo sogno, uccidendo la giovane amante del ragazzo. Toccherà
all’amico poliziotto e vicino di casa Sergio ( Ezio Greggio ),
arrestare con la morte nel cuore la disorientata Giovanna, incapace
di percepire la gravità della situazione. Seguiranno anni
difficili, dove tutta la famiglia pagherà le conseguenze di
quel tragico gesto; anni dove pur scontando un pesante destino,
ognuno ritroverà se stesso libero dalle ambiguità.
Una
storia toccante in una ambientazione riuscita
Il
regista bolognese festeggia i suoi 40 anni di cinema con il suo
38esimo film, confermandosi grande narratore di sentimenti e
revocatore dei ricordi attraverso storie che arrivano dal passato (
spesso emiliano ). Pupi Avati confeziona un buon prodotto, e
nonostante una critica non del tutto allineata al suo fianco, alcuni
ritengono “ Il papà di Giovanna “, tra i suoi migliori
lavori. Come sempre raffinato, elegante, descrittivo ( per alcuni a
volte eccessivamente), Avati ci riconduce in quella Bologna del 1938
che lo vide nascere, riportando in vita uno spaccato di storia
italiana attraverso i drammi del fascismo e le cicatrici della
guerra. Una ambientazione riuscita, che raggiunge lo spettatore
attraverso un mix di sequenze tratte da filmati dell’epoca e la
cura prestata alla ricostruzione scenica.

A
differenza di altre pellicole del passato pur sempre di finissima
qualità ma leggere, “ Il Papà di Giovanna “ graffia
a fondo lo spettatore, colpendolo con una storia toccante e
bellissima. La tetra e cupa atmosfera di un fascismo dilagante, delle
leggi razziali, dei primi cenni dell’incombente tragedia bellica,
fanno da sfondo ad un vincolo d’amore tra padre e figlia puro e
assoluto, capace di superare discriminazioni e guerre, e di elevarsi
come istintiva e unica ragione di vita. Un amore cieco, contaminato
da un reciproco distacco dalla realtà, ma che consentirà
a Michele di affrontare verità scomode grazie allo sguardo
sincero e impietoso di Giovanna: sapranno con l’aiuto reciproco
ritrovare insieme la luce in fondo al tunnel buio della distruzione
che li circonda. Padre e figlia aldilà della malattia della
giovane, si rivelano più simili di quanto si possa credere,
sognatori, sentimentali e bisognosi di amore fino all’estremo,
accomunati da una patologica repulsione verso la realtà delle
cose.
La
critica come si accennava si è disunita: non è isolata
la voce di chi rimprovera Avati di aver messo troppa carne al fuoco,
fondendo sentimenti privati e ricostruzione storica in modo troppo
confuso, e di aver puntato ad un revisionismo storico troppo marcato
( le uniche sentenze di morte sono esercitate dai partigiani).
Una
“ affettuosa dittatura “
Avati
si conferma inoltre un talent scout di eccezione, esaltando volti
emergenti del cinema ( oggi Alba Rohrwacher, come in passato
Mariangela Melato, Gianni Cavina, la meteora sfortunata Nick
Novecento, Vanessa Incontrada), o di riproporre sotto nuova luce
personaggi affermati ( qua Ezio Greggio come accadde a Diego
Abatantuono, Carlo delle Piane, Neri Marcorè, Katia
Ricciarelli, solo per citarne alcuni ). Il suo stile di regia e di
gestione del cast sul set, ha trovato l’unanime consenso degli
attori. Pupi insieme al fratello minore e produttore Antonio Avati,
esercitano secondo le parole di Silvio Orlando “ una affettuosa
dittatura “, preoccupati di infondere un calore che avvolgendo il
set si propaghi agli spettatori. Seguono gli attori da vicino, senza
limitarsi ad osservarli dai monitor, ma rimanendo durante le riprese
a pochi metri da loro, quasi a volerli guidare passo dopo passo. Una
vicinanza non ossessiva e soffocante, che anche per Francesca Neri è
stata una guida importante perché “ ci si sente protetti ad
ogni sguardo o battuta “.

Una
“ Coppa Volpi “ individuale, un elogio di squadra
Grazie
all’interpretazione di Michele Casali, Silvio Orlando ha vinto la
Coppa Volpi quale miglior attore all’ultimo Festival di Venezia.
Orlando è superlativo. Egli porta in scena tutta la fragilità
dell’essere padre, in un intensa collezione di errori per eccesso
di affetto anche con conseguenze drammatiche, che troveranno la
redenzione nell’unica via a lui conosciuta: amore istintivo
incondizionato e cieco verso la sua Giovanna.
Se il
riconoscimento ufficiale ha premiato solo Orlando, tutti sono
concordi nell’elogiare la prova di squadra del resto del cast.
Francesca Neri è una Delia “ forse troppo bella “ per
essere una mamma in quelle condizioni difficili. Come lei ha
dichiarato descrivendo il suo personaggio “ se Michele è
forse il padre che ogni figlia desidera, Delia è la madre che
nessuno vorrebbe avere”. Una attrice matura che ha interpretato con
intima sofferenza la storia di questa donna sprovvista degli
strumenti per far fronte agli eventi della sua vita.
Alba
Rohrwacher ed Ezio Greggio, rappresentano per motivi diversi le
sorprese del film.
Parlare
di Alba come di una vera sorpresa risulta restrittivo ed inesatto per
la crescente attenzione che produttori e registi gli riservano da 5
anni a questa parte. Nel 2007 poi l’abbiamo vista interprete in
quel “Giorni e Nuvole “ di Soldini, film che gli ha regalato il
David di Donatello come miglior attrice non protagonista dell’anno
per il nostro cinema, senza dimenticare il recente “ Caos Calmo “
con Nanni Moretti.
La sua
Giovanna ha una personalità complessa, da portare in scena
senza il fardello di nessun giudizio morale. La Rohrwacher sente che
pur senza condividere le reazioni estreme del suo personaggio, quella
componente rabbiosa e inconsapevole di Giovanna abita anche se
silenziosa e inattiva, in ognuno di noi. Interpretare una ragazza non
bella l’ha fatta sentire più libera ( anche se aggiunge “
che per lei Giovanna è bella “ ) e l’esperienza delle
scene girate nell’ex manicomio di Maggiano ( Reggio Emilia ), “
tra mura che ancora traspirano dolore “, sono state toccanti e
commoventi per l’intera troupe.

Ezio
Greggio si è messo a disposizione del regista con grande
umiltà, e la sua interpretazione è risultata
drammaticamente credibile e convincente. Sergio è un uomo
normale, una brava persona che era anche poliziotto, ma che soffre
enormemente per la tragedia che si abbatte sulla famiglia del vicino
amico. L’attore si è dichiarato entusiasta dell’esperienza,
e come è già accaduto ad altri artisti toccati dalla
mano di Avati, questa prova potrebbe aprire futuri scenari
professionali fino ad ora impensabili.
Un
disagio senza tempo
“ Il
Papà di Giovanna “, affronta temi di un disagio senza tempo.
Non è un caso che da un racconto ambientato 70 anni fa,
giungano gli echi dei medesimi conflitti che turbano le famiglie dei
giorni nostri; difficoltà nel rapporto tra genitori e figli;
disagio giovanile nel riportarsi ai dogmi della società, come
il peso del fattore estetico nell’esigenza dell’apparire; il
matrimonio spesso come un paravento sociale dietro cui rifugiarsi,
ponendo in secondo piano lo spessore e la sincerità dei
sentimenti.
Nella
nostra realtà come nella pellicola di Avati, buona parte di
queste difficoltà hanno origine negli squilibri emotivi e di
relazione che insorgono tra i componenti del nucleo familiare. Una
serie di ferite le cui cicatrici rischiano se non curate, di
condizionare l’intera nostra vita ricadendo a loro volta sui nostri
cari.
Ma
come ci insegna il regista nel suo finale, a volte guardarsi negli
occhi per finalmente leggere quanto ci dicono, può aprirci una
speranza su di un futuro diverso.