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INTO THE WOODS
di Enrico Gatti
Regia: Rob Marshall
USA, 2014
Into the Woods è un film strano, piuttosto strano. Il musical fiabesco di Rob Marshall, regista di Memorie di una geisha e Chicago, è la trasposizione cinematografica dell’omonimo musical di Broadway firmato da Stephen Sondheim e James Lapine nel 1986.
Nel grande bosco incantato, si intrecciano le storie di quattro famose fiabe; talmente conosciute che il film non sembra nemmeno voler perdere tempo a raccontarle. Maggiore attenzione è rivolta invece agli elementi che arricchiscono l’ingegnoso intreccio, divertente e suggestivo.
Sulla carta, sembrerebbe la classica riproposizione dei film Disney, l’ennesimo remake da botteghino, un altro prodotto con poca anima e sprazzi di godibile ironia culminante in uno scontato happy ending.
Peccato che l’atteso lieto fine arrivi più o meno a metà del film.
E dopo?
Una volta risoltesi le fiabe, secondo il finale che tutti conosciamo, prende piede una nuova storia.
Il bosco, sconvolto dall’arrivo di un gigante in cerca di vendetta, diventa un luogo buio e tetro, dove la natura, irriconoscibile e sfigurata, si stringe soffocante attorno ai protagonisti. In quello spazio incantato ora si materializzano le paure più folli ed emergono i lati più oscuri delle persone in esso imprigionate.
In un clima di completa anarchia, con la sensazione di un domani che non arriverà e di un perpetuo presente senza conseguenze, c’è chi fugge, chi abbandona, chi tradisce, e c’è chi, disperato, accusa tutti gli altri per trovare una spiegazione al male che si è scatenato.
Un male che, come mostra il film, non nasce dalla volontà di una singola persona quanto, piuttosto, dall’insieme di piccoli gesti, desideri e scelte, se non sbagliati, almeno egoistici, apparentemente innocui che, se sommati, portano a conseguenze inimmaginabili.
Un altro esempio di psicanalisi applicato al mondo delle fiabe?
Sembrerebbe proprio di sì. Questa volta però con riferimenti alla luce del sole, considerato che gli autori del musical non fecero mistero di essersi ispirati al libro dello psicanalista austriaco Bruno Bettelheim intitolato Il mondo incantato- Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe (Feltrinelli editore), nel quale l’autore spiegava il significato psicologico e l’importanza pedagogica della fiabe.
Con queste premesse verrebbe dunque da pensare che forse questo film si rivolga non tanto ai bambini, quanto invece più agli adulti. L’infrangersi della morale diventa elemento pedagogico, il tramite per una maggiore consapevolezza, l’allegoria di un viaggio al termine del quale la vita si scontra con le favole che raccontiamo, che ci raccontano e che ci raccontiamo.
E in quest’ottica potrebbe essere letta l’inusuale canzone di chiusura, particolarmente disturbante, che ammonisce il pubblico adulto con le parole:
Attenzione alle cose che raccontate, i bambini ascolteranno.
Attenzione alle cose che fate, i bambini vedranno.
E impareranno.
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