KILL ME PLEASE
di Enrico Gatti
Regia: Olias Barco
Belgio Francia, 2010
Voto 7 ½
Non potendo fare un’ordinaria recensione di questo film, non ordinario, cercherò di descrivere in breve: l’esperienza a fasi di Kill me please.
1° Fase: Realizzare che il cinema deserto non dipende dal fatto che tutti gli spettatori sono già entrati in sala.
2° Fase: Compiacersi insieme agli altri (due) di essere fra i pochi che ancora vanno vedere film indipendenti. Sollazzarsi nel pregustare due ore di film d’autore per di più in bianco e nero.
3° Fase: Dopo i primi minuti di film controllare il biglietto per accertarsi di essere entrati nella sala giusta, per poi chiedersi se il termine ‘commedia’ nelle recensioni fosse una allucinazione momentanea o un errore ripetuto di stampa.
4° Fase: Confermata l’identità del film grazie al titolo. Si noti come in questa fase l’attenzione del cinefilo sia attirata dall’insolito bianco e nero molto contrastato, piuttosto sgranato. Essenziali le riprese a camera fissa alternate solo in alcuni momenti con movimenti a spalla.
Interessante anche la composizione delle inquadrature (compreso lo specchio deformante che ricorda la pittura classica fiamminga).
5° Fase: Momento di massima concentrazione per cercare di capire che film si sta guardando.
6° Fase: Arresto cardiaco dello spettatore. I primi spari insensati ed inaspettati rompono la concentrazione e il silenzio della sala.
7° Fase: Omicidi in serie. La trama è ormai un miraggio. I personaggi svaniti. La pellicola piena di sagome, fucili, bare, sangue e neve. Ogni tanto si ride, ma non si sa perché.
8° Fase: Titoli di coda. Encefalogramma piatto del cinefilo che stordito cerca di tirare le fila di quello che si è appena concluso.
9° Fase: Si accendono le luci. Rinvenimento. Tutti cercano lo sguardo altrui per cercare qualcosa di simile ad un conforto telepatico.
10° e ultima Fase: Nel parcheggio. Auto convincimento (più simile ad un atto di fede) per illudersi di trovare una spiegazione a quanto visto.
In breve: non c’è una vera interpretazione del film. La vita come la morte non possono essere spiegate, e tanto meno razionalizzate. Ancor meno, di fronte al suicidio, è possibile prendere posizioni e giudicare. Non sono possibili generalizzazioni. Ognuno si accosta a questo gesto in maniera differente, più o meno (ir)razionalmente, con motivazioni e caratteri diversi come mostrano i tanti personaggi del film. Per questo la pellicola rinuncia a qualsiasi logica di causa ed effetto. Rinuncia a spiegare le motivazioni e i gesti che animano gli eventi della storia.
Il modo migliore per spiegare l’inspiegabile, è non cercare una spiegazione.
Assurdo. Originalissimo. Strano. Violento. Cattivo (?).
Vincente.
“Guai chiedersi perché siamo al mondo, vivremmo solamente di illusioni”
O. Welles. L’orgoglio degli Amberson.