GUERRA E PACE
Boris
Odore acre che si attacca
in gola e ai vestiti. Quella miscela velenosa di modernità che lentamente
consumandosi manda in fiamme i tuoi polmoni. Vorticosi coni di fumo nero e
bianco che dalle viscere della terra escono con innaturale forza avvolgendo
uomini disperati che con incontrollati gesti corrono senza nessuna meta.
In mezzo a loro altri
uomini in divisa che, percorrendo in senso contrario la massa di disperati in
fuga, sfidano la sorte alla ricerca di un cenno, di forse un ultimo gesto di
vita.
E’ quello che in questo momento vedo nelle
immagini che in diretta satellitare annunciano l’ennesimo tragico evento. Vite
strappate con la stessa violenza, in Iraq come a Londra o Madrid. Esseri umani
che certamente non meritavano di conoscere in questo modo, il profondo
contrasto e l’incolmabile differenza che passa tra la vita e la morte. E’
l’ennesima immagine di guerra, di morte a cui purtroppo molti si stanno
freddamente abituando. Quasi a considerarle alla stregua di una calamità naturale.
Un giusto riequilibrio. Una cosa che succede solo agli “altri”.
Diventa difficile scrivere sull’ennesimo
attacco di guerra portato sin dentro l’Europa con la giusta e sana lucidità con
cui sarebbe necessario non solo affrontare i fatti, ma capirne le possibili
ripercussioni.
Questo attentato arriva proprio in un momento
delicato per l’Europa. Come quello avvenuto a Madrid poco prima delle votazioni
che ha provocato non solo la perdita delle elezioni alla forza politica di
governo, fortemente interventista, ma anche a far decidere al loro premier
Zapatero il ritiro a breve tempo delle truppe dall’Iraq. Una strategia questa,
calibrata e calcolata. Calcolata al punto tale da far dimenticare che possa
essere stata pensata e condotta da uno sparuto gruppo di invasati religiosi che
in nome di sette vergini si lascia esplodere in mezzo alla folla. E la cosa si
ripete in Inghilterra. L’attentato avviene alcuni mesi dopo la rielezione del
suo premier laburista che sostenendo gli americani “senza se e senza ma…”
nell’attacco all’Iraq, ha di fatto ridato forza rilancio a una vera e propria
campagna neocolonialista tanto cara al popolo inglese. Un attentato eseguito
come ritorsione nei confronti di quel popolo che in modo democratico ha
ribadito il suo appoggio ad una coalizione di governo che senza problemi
continua a colpire il popolo Iracheno. Ovviamente la scelta del periodo in cui
si svolgeva il vertice del G8 non era solo per riuscire ad eludere meglio la
sorveglianza concentrata sul quel vertice ma anche per ribadire il loro
dissenso nei confronti di quelle cosiddette forze economiche e politiche
mondiali. Contro un vertice di capi di governo che nascondevano dietro ad un
“progetto Africa”, l’incapacità nei fatti di affrontare il problema guerra in
Iraq. Ovvero della loro possibile
uscita di scena senza ammettere la propria sconfitta politica. Una sconfitta
che non si limita al solo territorio iracheno o alla Cecenia, obolo pagato da
Bush nei confronti di Putin per non “criticare” l’intervento in Iraq ma anche
all’interno dei propri stati dove l’ormai manifestata crisi economica sta
trasformando i popoli, in nome della globalizzazione dei mercati, in veri e
propri sudditi.
Attraverso la lotta al terrorismo si sta
procedendo a una nuova spartizione del mondo. A una nuova divisione radicale
tra ricchi e poveri, tra oppressi ed oppressori che con insultante verità,
viene enunciata come necessaria alla nostra stessa sopravvivenza.
La cosa è certa: quest’ultimo attentato a
Londra non fa altro che ribadire con i fatti che siamo in guerra. E’ ora che i
nostri rappresentanti politici abbiano il coraggio di ammettere che i nostri
militari, come gli ormai numerosi cittadini Iracheni, sono morti inutilmente e
che questa guerra non ha portato e non porterà a nessuna soluzione democratica
di libertà. Se veramente vogliano ancora considerarci la “vera civiltà evoluta
esportatrice di democrazia”, come da alcuni fortemente sostenuto, dobbiamo
finirla di coprire con missioni di pace o false campagne umanitarie, dal
Kossovo alla Somaglia, dall’Iraq a forse il prossimo Iran, vere e proprie campagne di guerra che mirano
solo ed essenzialmente al dominio del petrolio e delle materie prime.
Ritirare oggi le nostre truppe non è solo
necessario ma un dovere morale a cui non possiamo sottrarci. Pena la nostra
possibile futura sopraffazione.